Wednesday 7 January 2015

La Essenza del Lam Rim












La Essenza del Lam Rim







Geshe Gedun Tharchin
Istituto Lamrim/Fondazione Maitreya-Roma

(GIOVEDI 2006)










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INDICE


Roma - Giovedi 2006

Atīsa e i testi del Lam Rim  


Parte Prima: *gennaio - luglio 2006*
Introduzione agli insegnamenti del giovedi
Pratica di Dharma come Grande Compassione
La Gioia del Buon Cuore e il Coraggio del Bodhicitta
Ritornare allo Stato naturale della Mente nella Meditazione
Gli insegnamenti del Buddha suddivisi nel Tripitaka
Le tre caratteristiche del praticante Lam Rim e i testi fondamentali
L’oggetto della Preghiera e del Rifugio
I tre livelli della pratica del Lam Rim
Attitudini, Scopi e Mezzi dei tre livelli del Lam Rim
Sakya Pandita e il Dharma, essenza della quotidianità
le quattro caratteristiche testi Lam Rim
I punti abbreviati del sentiero graduale Lam Rim Bsdus Dön
Nuova presa Rifugio
Il significato del lignaggio nel Lam Rim e le tre grandezze nel Bsdus Dön
Come ascoltare l’insegnamento del Dharma
Compleanno Dalai Lama e ripasso con interrogazione


Parte Seconda: *settembre - dicembre 2006*

Meditazione sulla Vacuità
Svantaggi di non meditare sull’impermanenza
Vantaggi di meditare sull’impermanenza
Meditazione su impermanenza e morte
Meditazione sugli svantaggi di coltivare orgoglio e gelosia
Abbandona questa vita - da Atīsa a Dormtompa
Pratica del Tong Len
Gli estremi di eternalismo e nichilismo e corretta visione dei fenomeni
nell’apparenza e vacuità
Dharma e meditazione
Il stato naturale di nascita e morte

Testi annessi: pag. 119
I tre Aspetti Principali del Sentiero di Lama Tsong Khapa pag. I
Dedica - Preghiera di Geshe Gedun Tharchin pag. IV
Gli Otto Versi di Trasformazione della Mente di Geshe Langri Tangpa pag. V
Il Cuore della Perfezione della Saggezza pag. VI
La Lampada sul Sentiero dell’Illuminazione di Atīsa pag. VIII
I Versi dell’Esperienza - Lam Rim Bsdus Dön di Lama Tsong Khapa pag. XII
Preghiera di Māhamudhrā pag. XVII
Preghiera in Sette Rami pag. XVIII









PRIMA   PARTE
Gennaio  -  Luglio 2006   

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Introduzione agli insegnamenti del giovedi


Grazie a tutti per essere qui oggi così numerosi.
Come sapete il mercoledi trattiamo diffusamente il testo del “Bodhicaryāvatāra” che nel buddhismo tibetano corrisponde ad una Bibbia, mentre il giovedì terremo insegnamenti sul Lam Rim basandoci sui testi di Atīsa e sui “Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong-Kha-Pa.
Dunque non si tratta soltanto di ascoltare una persona, bensì di affrontare un sistematico studio di documenti per poterne approfondire la filosofia, in un’azione collettiva che crei un’esperienza di vita dharmica.
Non dovete pensare di venire qui per ricevere chissà quali poteri, una particolare energia o benedizione da me, nulla di trascendentale, ci ritroviamo per costruire insieme il Dharma offerto in dono, lo si deve saper cogliere.
Per comprendere cosa sia il Dharma dobbiamo semplicemente rivolgere lo sguardo alla nostra mente, al nostro cuore. Tutta la felicità, la gioia che possiamo sperimentare nell’universo sono esclusivamente originati dal nostro cuore-mente, non provengono dall’esterno, scaturiscono in noi; il nostro universo è la nostra mente-cuore, ognuno di noi lo possiede interamente in sé.
Questi incontri hanno dunque un significato particolare e iniziamoli introducendo una buona abitudine formativa: ognuno entrando prenderà dalla pila il cuscino che poi riporrà prima di uscire lasciando tutto in ordine, perché la pulizia del luogo è parte integrante della pratica.
Sedendosi in silenzio a meditare ci si predispone a sviluppare le qualità della mente-cuore ed è dunque necessario mantenere la presenza mentale vigile per tutta la durata dell’incontro, perché quando dimentichiamo la mente-cuore non facciamo altro che dimenticare il Dharma ed è come se perdessimo noi stessi, avvertiamo una sensazione di freddo interiore.
Il cuore buono e caldo, o duro e freddo, è direttamente conseguente alla presenza mentale o alla sua assenza.
Naturalmente non ci si riferisce al cuore fisico, ma al centro del proprio sé, ed è un fenomeno tanto sottile che non può essere collocato a destra o a sinistra nel proprio corpo, o ricercato con macchinari sofisticati, lo si coglie solo nella meditazione che possiede la capacità di prendersene cura.
E’ un cuore percepito, sentito, visto, sviluppato nella meditazione e più se ne avrà cura più se ne avvertirà il calore pulsante; la persona che lo possiede sarà serena felice e pacifica. Questa è la spiritualità che non necessita di miracoli né di magie ed è tangibile nell’esperienza.
La spiritualità è strettamente correlata all’accumulazione dei meriti e va al di là dei beni materiali. I meriti sono la ricchezza che si deposita nella mente-cuore, la fonte della felicità, della gioia, della pace di cui godremo.
Quando siamo infelici e agitati cerchiamo di superare questo senso di vuoto e di insoddisfazione nella moltiplicazione frenetica delle attività, senza però ottenere alcun risultato, perché la pace, la gioia, sono unicamente frutto dei meriti accumulati e non delle acquisizioni materiali.
In occidente mi ha incuriosito l’altezza e la comodità dei materassi, in oriente si dorme su una tavola dura ricoperta al massimo da un tappetino, però nessuna delle due soluzioni offre piena soddisfazione perché, sia in occidente che in oriente, la gente dorme più o meno bene e ricerca sempre nuovi modi per migliorare una condizione comunque limitata e carente. In realtà il sonno beato o irrequieto dipende esclusivamente dallo stato della nostra mente-cuore, dunque prendersene cura è il nostro compito di Dharma, la spiritualità che dobbiamo sviluppare.
Leggiamo i primi versi del primo capitolo del Bodhicaryāvatāra di Sāntideva “Elogio della mente del risveglio”:
In adorazione io rendo omaggio ai Sugata e ai loro figli, e ai loro corpi di Dharma, e a tutti coloro degni di lode. In breve, in accordo con le scritture, esporrò l’intraprendere la pratica dei figli dei Sugata.
Nulla di nuovo qui si dirà, né per la composizione ho particolari abilità. Non immagino quindi di riuscire utile agli altri. Ho composto questo per profumare la mia mente.
Nel farlo, cresce l’impeto della mia ispirazione a coltivare ciò che è salutare. Se poi anche un altro, con le mie stesse inclinazioni, dovesse vederlo, potrebbe ricavarne beneficio anch’egli.
Tale momento propizio è estremamente difficile da incontrare. Una volta incontrato, produce il benessere dell’umanità. Se il vantaggio viene ora trascurato, quando mai avverrà di nuovo questo incontro?
Come di notte, nell’oscurità fitta di nuvole, un lampo dà luce un momento, così una volta o l’altra, per il potere del Buddha, ad atti di merito la mente del mondo potrebbe volgersi un momento.
Stando così le cose, il potere del bene è debole, sempre, mentre il potere del male è enorme e terribile. Quale altro bene potrebbe soggiogarlo, se non la perfetta mente del risveglio?
Quest’opera che indica essenzialmente come realizzare la bodhicitta, la mente del risveglio, altruistica, richiede uno studio così approfondito che non può essere esaurito in uno o due anni, deve essere praticato per tutta la vita e probabilmente una sola esistenza non è sufficiente e per metterne in pratica le istruzioni si devono applicare le sei pāramitā o perfezioni.
Sāntideva porge omaggio ai Buddha, ai loro figli, i Bodhisattva, a coloro che sono degni di lode, compresi tutti i maestri del passato che appartengono al lignaggio e che diffondendo l’insegnamento consentono che ne usufruiamo tuttoggi.
Il Bodhicaryāvatāra è un testo che mostra integralmente la via, l’ideale, la pratica del Bodhisattva, inizia con l’omaggio ai “Sugata”, un termine sanscrito per indicare coloro che hanno raggiunto lo stato di pace e in questo contesto riferito ai Buddha.
Lo stato di pace conseguito tramite il Dharmakāya, termine traducibile con “Corpo di Dharma” o “Corpo di Illuminazione”, è un ottenimento del processo di purificazione della mente ordinaria.
Il nostro compito non consiste dunque nell’avere visioni di divinità, o nell’acquisizione di particolari facoltà, ma nel pulire e purificare la mente-cuore con determinazione e continuità, perché essa è costantemente presente, non ci abbandona mai.
Il Dharmakāya può essere considerato in base a due aspetti, il primo concerne la perfetta purificazione della mente ordinaria e il secondo è relativo alla saggezza, qualità della mente illuminata che acquisisce l’onniscienza.
Ogni fenomeno presenta due forme, una rispondente alla verità convenzionale, e l’altra alla verità ultima.
La natura della mente è la forma della saggezza definitiva.
Un’immagine concreta della duplice immagine dei fenomeni potrebbe essere fornita dall’osservazione di un oggetto, ad esempio questo rosario: il rosario che conosciamo è rappresentato dalla verità convenzionale, ma nella sua realtà ultima esso non è altro che vacuità.
Ugualmente il Dharmakāya mostra la doppia apparenza di verità convenzionale nella forma di saggezza, e di verità definitiva che è la vacuità della sua forma di saggezza.
Le due modalità di esistenza si applicano ad ogni fenomeno, dunque anche alla mente-cuore, che ha una presenza convenzionale nella coscienza e nel contempo un’espressione definitiva corrispondente alla vacuità, entrambe le forme di esistenza interagiscono, si completano vicendevolmente e non si contrappongono in alcun modo, al contrario, sono facce della stessa medaglia.
E’ fondamentale riconoscere la sussistenza contemporanea e complementare di ambedue gli aspetti, relativo e ultimo, intrinseci ad ogni fenomeno, così da non cadere nella visione errata degli estremismi dell’eternalismo o del nichilismo che rappresentano la catena che vincola alla condizione di sofferenza ininterrotta.
Dobbiamo liberarci dalla concezione illusoria e parziale della realtà che osserva ogni fenomeno in modo univoco, come se non esistesse alternativa: o è un tutto eterno, o è il nulla assoluto.
I difetti del mondo, la globale confusione della società, i conflitti, sono causati da questa ignoranza che ci immerge costantemente nel dualismo catapultandoci inevitabilmente in uno dei due estremi.
Anche in ambito religioso si sono costruite barriere altissime volendo separare, etichettare, codificare la spiritualità, vanificandola nella coercizione delle rigide categorie di monoteismo, politeismo, animismo, fino a parcellizzarla all’infinito.
Tutte le tavole rotonde, le conferenze tra le varie confessioni servono esclusivamente a rafforzare le divisioni perché ognuno tende ad affermare le proprie peculiarità come uniche e superiori, distinte da quelle degli altri. È un errore storico che continua a mantenersi inalterato, anzi alimentato dalle istituzioni religiose. Nel XXI° secolo invece questi ostacoli dovrebbero essere completamente eliminati e superati dall’unità della spiritualità autentica.
Le divisioni provocano difficoltà in ogni contesto, anche politico e sociale, ne ho visto le ripercussioni in Nepal in cui si contrappongono tre gruppi di potere, monarchico, democratico e maoista, ma tutto è instabile, le alleanze si disfano e ricompongono in modo imprevedibile secondo le opportunità del momento, in un continuo conflitto che però ha poco impatto sulla popolazione che convive senza avvertire divisioni di tipo ideologico.
In occidente invece, nel medioriente in particolare, le differenze marchiate da presunte motivazioni religiose sono fortemente radicate e aggressive, gli attentati, i kamikaze che producono un immenso dolore ne sono il risultato.
Ogni tentativo di applicare un’etichetta religiosa ha un indubbio impatto negativo, l’autentica unità, oppure la divisione, la si realizza soltanto nel proprio cuore.
Per questo dobbiamo considerare il testo del Bodhicaryāvatāra come se fosse una Bibbia, ma non escludente, anzi in grado di aprirci alla comprensione di tutte le altre bibbie, la Bibbia, la Bhagavad Gita, il Corano. Questo è il modo contemporaneo di apprendere e riflettere sul Dharma, è una forza potentissima per lo sviluppo delle qualità interiori ed è una potente accumulazione di meriti.
Al contrario creereste un pesante karma negativo se pensaste di approfondire e studiare Bodhicaryāvatāra negando gli altri insegnamenti, della Bibbia, della Bhagavad Gita, del Corano e di ogni diversa tradizione spirituale.
Nel XXI° secolo dovremmo essere maturi e non ricercare più le divisioni tra buddhismo, cristianesimo, ebraismo, islamismo, separazioni negative e inesistenti.
La pratica spirituale è unica, è lo sviluppo del buon cuore.
Oggi abbiamo appreso qualcosa su due termini fondamentali “Sugata” e “Dharmakāya”. 
Queste due parole sanscrite sicuramente potranno trovare una traduzione più affine nel greco antico che non nelle moderne lingue occidentali, ma l’importante è assimilarne profondamente il concetto, perché l’essere umano è ovunque uguale, quale sia la sua cultura o dislocazione geografica, è lo stesso a nord e a sud, ad est e a ovest.
Concludiamo la serata con una breve meditazione. 





Pratica di Dharma come Grande Compassione


Iniziamo con la lettura dei “Tre aspetti Principali del Sentiero” (V. testi annessi pag. I)
E’ sempre un grande dono poter leggere questo testo e non dovremmo farlo solo qui insieme, ma meditarlo ogni mattina appena svegli e la sera prima di addormentarci, in modo da mantenere vive nella mente le tre realizzazioni.
Anche se non otteniamo subito risultati eclatanti, un piccolo assaggio è già sufficiente per godere di evidenti benefici e di uno stile di vita pacifico. E’ dunque importante iniziare e concludere ogni giornata riflettendo su questi versi.
Non è necessaria una profonda conoscenza filosofica, questi semplici versi sono sufficienti per la pratica del Dharma.
Esistono tre diversi approcci alla pratica del Dharma:
al primo livello troviamo i kadampa che seguono solamente le istruzioni orali, si tratta di persone che possono anche essere analfabete, ma hanno comunque la possibilità di apprendere e praticare pienamente, perché il Dharma non discrimina;
al secondo livello ci sono i lamrimpa che non studiano grandi volumi, le scritture o interi trattati di filosofia, ma approfondiscono testi semplici e brevi, comunque completi.
al terzo livello si collocano i shunbapa, i grandi eruditi che hanno accesso alle opere più complesse comprendendole e assimilandole pienamente.
E’ evidente che qui, all’Istituto Lam Rim, si riuniscono essenzialmente praticanti lamrimpa, in quanto non illetterati ma nemmeno grandi eruditi; dunque i testi che esamineremo sono semplici, completi e contengono tutte le istruzioni basilari che dovranno essere mantenute e praticate per tutta la vita, di cui sono l’essenza.
Le tre tipologie hanno identiche possibilità di praticare il Dharma, non c’è nessuno superiore ad un altro, tutto è definito semplicemente in base a cause e condizioni.
Esamineremo insieme alcuni testi semplici, brevi e fondamentali che rappresentano le istruzioni essenziali per la vita: “I Tre Aspetti Principali del Sentiero”, una versione breve del Lam Rim che è “Il Fondamento di tutte le Qualità”, “Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente”, “Il Sūtra del Cuore”, “I Versi dell’Esperienza”. Infine vi è un’altra pratica molto bella, il “Jor Chö”, particolarmente indicato per persone che hanno maggiore disponibilità di tempo.
Per coloro che hanno intrapreso seriamente la pratica del Dharma queste scritture sono sufficienti per ottenere l’illuminazione, tutto dipende dallo sforzo, dalla capacità di concentrazione e dall’impegno.
Nel Kamalasīla è detto che se una persona segue una sola modalità di Dharma in realtà le pratica tutte perché la sintesi e pienezza di tutti i Dharma è la grande compassione.
Gli antichi maestri Kadampa si concentravano essenzialmente sulla pratica della grande compassione e, riferendosi a se stessi, affermavano che ogni singolo individuo ha un solo Dharma, ma così efficace da essere universale, l’essenza di tutte le pratiche del Dharma, ed è appunto la grande compassione e la bodhicitta.
Cosa potremmo pretendere in più? Se ci svegliamo, viviamo la giornata e ci addormentiamo nella grande compassione, abbiamo tutto e dovremo anche essere in grado di morire in essa e nella bodhicitta.
Le opere appena richiamate contengono le indicazioni necessarie per praticare la grande compassione e la bodhicitta, questo è il segreto degli antichi maestri Kadampa. Abbiamo tutte le istruzioni e a noi è richiesto semplicemente di aderirvi con fede, concentrazione, impegno.
Oggi è particolarmente in voga la moda di seguire un menù predefinito: primo Dharma, secondo Dharma, Dharma inferiore, Dharma intermedio, Dharma superiore, Dharma segreto, e poi quello ancora più segreto……., ognuno ha il suo cartellino con il prezzo: il Dharma che porta all’illuminazione lentamente e il Dharma che porta all’illuminazione istantaneamente; una vera follia, una confusione totale!
Non esistono Dharma che offrono metodi di illuminazione lenta o veloce, superiore o inferiore, le vie del Dharma sono tutte uguali, il Dharma è unico e la sua realizzazione dipende esclusivamente dall’individuo.
Deve essere chiaro che i tre tipi di praticanti del Dharma hanno identiche possibilità di raggiungere l’illuminazione.
Il Dharma di tutti i Dharma è la Grande Compassione.
Nel “Bhāvanākrama” “Gli stadi della meditazione” di Kamalasīla sono contenute fonti autentiche dei sūtra che corrispondono alla pratica dei maestri Kadampa.
Nella tradizione kadampa non c’era alcuna distinzione, nessun contrassegno che indicasse una peculiarità, non esisteva né inferiore né superiore, ogni diversificazione era esclusivamente interiore, determinata dall’impegno personale nella grande compassione e bodhicitta.
Dovremmo concentrarci quotidianamente su questi insegnamenti per sviluppare un po’ di compassione e di bodhicitta in un impegno che apporterà pace e serenità a noi e agli altri.
Se abbiamo coltivato compassione, amore e bodhicitta siamo pronti ad affrontare qualsiasi evento, anche la morte, perché abbiamo realizzato il nostro compito. Viviamo contenti e moriamo contenti, non c’è differenza. Se siamo in salute va bene, e se siamo ammalati va bene ugualmente.
Ma se abbiamo chiuso la mente-cuore alla compassione e all’amore ignorando anche l’ombra della bodhicitta, morire sarà molto difficile, l’attaccamento ad un’esistenza infinita renderà traumatico e drammatico l’inevitabile distacco.
Questi sono i benefici della pratica del Dharma, se praticassimo solo per avere prosperità in questa esistenza tutto sarebbe pesantissimo, inutile e antidharmico.
Il Dharma è abbandono, rinuncia, non attaccamento.
Se non siamo in grado di abbandonare questa vita non sappiamo nemmeno goderla, saremo sempre in ansia, nella paura e nell’insoddisfazione.
Al contrario la rinuncia e la gioia dell’esistenza coincidono perfettamente, abbandonare la vita a beneficio degli altri è fonte di grande soddisfazione e pace.
Questa è la grande compassione, l’essenza del Dharma.
In Tibet esistono umili praticanti che per tutta la vita recitano soltanto il mantra di Avalokiteśvara “Om Mani Padme Hum”, come unica forma di meditazione, una pratica semplice che permette loro di sviluppare amore, compassione e bodhicitta.
La pratica del Dharma non dipende dall’istruzione, dall’educazione, ma si basa semplicemente sulla capacità di aprire la mente con la meditazione; non è necessario avere diplomi o attestati, ogni essere è naturalmente qualificato per praticare completamente il Dharma e più la pratica sarà semplice maggiormente sarà efficace, mentre ogni complicazione ne annullerà qualsiasi possibile effetto.
E’ come cucinare, il cibo semplice è buono, ma se un cuoco inesperto lo sovraccarica di condimenti lo renderà indigesto e poco appetibile, così chi lo sa fare preparerà una pasta squisita, ma se pretende di cimentarsi in un piatto elaborato di cui non conosce la ricetta dovrà buttare tutto nella spazzatura.
Lo stesso vale per la pratica del Dharma, quella più semplice, adatta a noi, sarà la più efficace.
Il nostro incontro è il risultato della natura interdipendente dei fenomeni, e non solo tra me e voi, ma anche tra di voi, è il risultato del nostro karma.
Il karma del passato ci ha condotto all’attuale condizione che ci permette di accrescere le qualità e produrre altro buon karma praticando il Dharma che ogni individuo esprime sia in una sua personale prassi che nella condivisione di una modalità comune.
Non c’è nessuna contraddizione nella contemporaneità di una pratica individuale e una collettiva, è infatti necessario saper integrare entrambi i livelli anche se comporta uno sforzo considerevole, ma particolarmente efficace.
Nei monasteri ogni monaco pratica individualmente nella sua stanza, però condivide anche momenti comunitari, e la complementarietà tra le due è di grande beneficio a tutti.
Dobbiamo considerare il nostro karma come qualcosa di estremamente importante.
Concludiamo recitando la preghiera di dedica. (V. testi annessi pag. IV)





La Gioia del Buon Cuore e il Coraggio del Bodhicitta 


Lo sviluppo del buon cuore è un compito difficile, ma la pratica del Dharma consiste proprio in questo.
Sviluppare un buon cuore significa abbandonare l’atteggiamento consueto di mettere sempre se stessi, il proprio interesse, al primo posto, concentrando invece la propria attenzione sui bisogni degli altri ponendosi al loro servizio.
Nella pratica del Dharma non si suggerisce di negare le esigenze personali, che hanno comunque un valore, bensì di controllare la cattiva abitudine di considerare prioritario il proprio tornaconto, tanto da non vedere e negare le necessità altrui.
Possiamo distinguere un praticante di Dharma dal suo atteggiamento altruistico che lo induce a collocare, nella scala delle priorità, il benessere personale all’ultimo posto.
Una persona che invece voglia anteporre sempre e comunque se stesso distrugge ogni capacità di agire a beneficio della società.
Se soltanto riuscissimo a mettere il nostro interesse almeno al secondo posto, ogni gesto, anche minimo, sarebbe di grande utilità per gli altri e per noi stessi, come possiamo direttamente verificare osservando con attenzione gli eventi di ogni giorno.
Il problema umano più comune, rispetto alla felicità a cui tutti aneliamo, è l’insoddisfazione.
L’insoddisfazione è la causa principale di tanti ostacoli e deriva direttamente dal collocare il nostro personale beneficio al primo posto, abbandonando l’umiltà e perdendo la sensibilità nei confronti della sofferenza altrui, in questo modo il nostro cuore si fa piccolo e non c’è più spazio per la gioia e la felicità.
Abbiamo la sensazione istintiva che essendo in primo piano avremo grandi soddisfazioni, ma in realtà avviene esattamente il contrario perché un tale atteggiamento non può che assicurarci una frustrazione continua.
La pratica del Dharma è aprire il proprio cuore con umiltà e sensibilità alla sofferenza altrui, relegando i propri vantaggi all’ultimo posto, un’attitudine che appartiene a tutte le religioni, a tutte le culture umane.
La pratica del Dharma consente una grande accumulazione di meriti.
Mettendoci in secondo piano potremo anche avere l’impressione di umiliarci di perdere qualcosa, ma in realtà accumuliamo karma positivo.
Ogni buona intenzione produce il relativo karma, e la pratica del Dharma ne è strettamente connessa, perché l’accumulazione di buon karma produrrà immancabilmente i suoi frutti, anche se non conosciamo quando ciò avverrà.
Se osserviamo nel quotidiano l’effetto della pratica del Dharma, che determina la relativa impronta karmica, possiamo individuare chiaramente l’interdipendenza e il funzionamento dei due aspetti.
E’ difficile esporre in un’esemplificazione rapida la modalità del karma, lo si può soltanto sperimentare nel proprio quotidiano, momento per momento, comprendendo in questo modo la funzione sia della pratica del Dharma che del karma, tutto avviene in modo consequenziale.
Una raccomandazione ricorrente che ripeto a me stesso è: “il miglior programma è non aver programma”, è già sufficiente e ottimo cercare di far di tutto per accumulare buon karma.
Un caro amico, Roberto, vive a Milano ma lo incontro spesso a Torino dove viene per tradurre gli insegnamenti, è un praticante serio e spesso viaggia nei paesi del buddhismo, nell’ultimo pellegrinaggio in India si è fermato per sei mesi ed era accompagnato da un suo amico italiano che da tempo era alla ricerca di un percorso e di una guida spirituale, tanto che Roberto gli parlava continuamente di me raccomandandogli di contattarmi una volta ritornato a casa.
Nello stesso periodo io mi trovavo in India e Roberto mi comunicava, tramite e-mail, il suo itinerario manifestando l’intenzione di potermi incontrare. Io però non ho raccolto questa sollecitazione perché l’India è un continente vasto e ogni spostamento è complicato, difficoltoso e forzato, eppure, il giorno in cui l’amico di Roberto stava ripartendo per l’Italia, a pochi passi davanti a me, in una strada di Delhi, li ho visti entrambi!
Proprio quel giorno, avevo con me due copie del libro “La Via del Nirvāna”, con l’intenzione di darle a qualcuno, pur non sapendo ancora a chi, e così ho potuto offrirne una all’amico di Roberto che rimase quasi folgorato, particolarmente colpito dal fatto che proprio alla fine del suo pellegrinaggio aveva trovato La Via del Nirvāna riconoscendo in questo titolo un segno. Era interessante osservare l’espressione di questa persona che aveva una forte consapevolezza di vivere il risultato di un buon karma.
Se avessimo voluto programmare questo incontro le difficoltà e le preoccupazioni sarebbero state tante e probabilmente non avrebbe avuto lo stesso esito.
E’ dunque importante cercare di accumulare buon karma senza aspettative, gratuitamente, in questo modo i frutti si manifesteranno e saranno anche particolarmente preziosi. Questo è il beneficio del Dharma.
La volontà coercitiva di avere sicurezze, di programmare e organizzare ogni evento, origina moltissime preoccupazioni, immerge inevitabilmente negli otto dharma mondani, e allontana dall’equanimità.
L’incontro naturale, non programmato, con gli amici italiani in India non è durato più di un’ora, ma è stato estremamente proficuo e ricco.
Secondo le regole del mondo moderno per incontri altrettanto brevi, ma quasi sempre assolutamente improduttivi, dettati unicamente da opportunità politiche, occorrono mesi e mesi di preparazione, comportano un’infinità di preoccupazioni, di tensioni, di energie e di denaro e tanto spreco è estremamente triste, significa che non vi è un grande karma.
La pratica del Dharma consiste semplicemente nel rovesciamento del consueto atteggiamento egoistico trasformandolo in gioiosa apertura al benessere degli altri, senza alcuna aspettativa di risultati o ricompense.
In Tibet si racconta di un vecchio Lama, praticante della grande compassione, il quale desiderava intensamente rinascere negli inferi e sostituirsi nella sofferenza agli esseri. Era il suo scopo, una fortissima attitudine personale e limpida gioia, priva del benché minimo calcolo, si disponeva ad accogliere tutti i dolori dell’inferno, felice di liberarne altri esseri, però in punto di morte ebbe la premonizione, la visione, che la sua mente sarebbe invece trasmigrata in luoghi meravigliosi, in terre pure che con un termine cristiano chiameremmo paradiso. (Possiamo intercambiare tranquillamente le terminologie, perché ciò che conta è il contenuto che esprimono, la vita che ha una natura di sofferenza, l’inferno, e una di felicità, il paradiso o le terre pure). Dunque quando il Lama si rese conto che non sarebbe andato negli inferi, non nella sofferenza ma nella felicità, provò una grande tristezza, confidò ai discepoli e agli amici che lo circondavano la sua preoccupazione e chiese di accendere lampade e intensificare le preghiere affinché il suo desiderio di prendere su di sé la sofferenza degli esseri infernali potesse compiersi.
Questa storia mostra una condizione esattamente opposta alla consueta attitudine di praticare il Dharma nel tentativo di evitare le sofferenze dell’inferno di cui si ha terrore, così avviene ovunque, anche in Tibet, ma questo è un cattivo uso del Dharma.
Ricordo una volta in monastero in cui, durante una particolare festività, fui incaricato di compilare il registro con i nominativi dei benefattori che per l’occasione elargivano donazioni, Tra questi c’erano anziani pastori che nel corso della vita avevano ucciso molti animali ed ora erano terrorizzati dall’idea di finire all’inferno, eppure dovrebbe essere l’esatto opposto, lo si dovrebbe desiderare per alleviare la sofferenza altrui.
Se si pratica il Dharma per paura dell’inferno significa che si hanno scarse capacità, perché la capacità di un buon praticante dovrebbe essere come quella di questo grande yogi Geshe kadampa, ma è evidente che deve essere un’attitudine sincera, profonda, scevra della consolazione di sottofondo che tanto la si scamperà!...
Non è facile praticare il Dharma, il Dharma è forte e necessita di persone coraggiose.
Non sarebbe un problema andare all’inferno se questo procurasse la libertà e la gioia di un numero infinito di esseri senzienti.
Durante la mia permanenza a Delhi ho visitalo i siti funerari del mahatma Gandhi, di Indira Gandhi, di Rajid e del Pandit Neru e, al di là delle implicazioni politiche, ciò che si percepisce fortemente in questi luoghi è il coraggio di queste persone, l’offerta della loro vita per ciò che reputavano essere di beneficio agli altri.
Il Pandit Neru e la sua famiglia hanno donato tutte le loro proprietà allo stato e ho capito perché il popolo indiano nutra nei loro confronti tanto rispetto. 
Approfondendo l’esistenza di queste persone coraggiose possiamo cogliere l’atteggiamento dharmico dei loro cuori e anche se in quella particolare vita non hanno formalmente praticato il Dharma, probabilmente lo hanno fatto in quelle precedenti per preparare la realizzazione di un così grande dono di sé a favore degli esseri senzienti.
Il Pandit Neru ha lasciato una lettera in cui dava dettagliate istruzioni per il suo funerale ed è uno scritto da cui emerge una grande spiritualità. Neru era particolarmente colpito dalla figura del Buddha e in ogni stanza della sua casa vi si trova l’immagine.
La spiritualità e il potere della spiritualità è qualcosa di molto sottile.
Nel posto in cui sono stati celebrati i funerali di questi personaggi ardono perennemente lampade ardenti, una per il mahatma Gandhi e tre legate insieme per Indira, Rajid e Neru.
Ho visitato questi luoghi a Delhi in compagnia di un amico monaco e si è trattato di un vero pellegrinaggio, in cui è stato possibile meditare profondamente sulla realtà dell’impermanenza, sul loro coraggio e spiritualità. 
Si avvertiva palpabile l’assenza, in queste persone, di ogni timore, non avevano paura di morire perché il loro desiderio di servire la gente era più forte. La loro attitudine può essere assimilata alla bodhicitta, al pensiero della grande compassione: “Possa ogni mia azione essere di beneficio per tutti gli esseri senzienti”.
Il Dharma ha il potere di trasformare qualsiasi esperienza in positiva, persino l’inferno, e questo è il modo appropriato per superarne la paura, affrontarlo con l’arma della bodhicitta invece di rifuggirlo.
Il Dharma non appartiene in modo esclusivo a nessuna particolare corrente religiosa, tutte le discriminazioni sono solo categorie sociali che inducono confusione, il Dharma è universale, è di tutti, in assoluta equanimità.
Ci sono domande? Per me è sempre una grande gioia condividere in questi incontri il karma comune.
Domanda: Vorrei fare una domanda che forse non c’entra con quanto detto, ma mi incuriosisce particolarmente. Si parla molto del ragazzo che in Nepal è da mesi sotto l’albero, una incarnazione di Buddha, è immobile nella meditazione profonda, non mangia e non dorme, ma cosa ne pensano i nepalesi?
Lama: In Nepal le informazioni non sono così facilmente diffuse come in occidente, e molti non conoscono nemmeno il fatto. Il ragazzo appartiene alla popolazione Newar, di formazione buddhista ed è circondato esclusivamente da questa etnia per cui sembra una faccenda interna al clan piuttosto che un reale stato di samādhi, di assorbimento meditativo profondo. E’ stato registrato anche in un DVD su questo evento e io dovuto guardarlo per accontentare mia madre.
Personalmente sono scettico di fronte a questi miracoli, vedremo cosa succederà. Ciò che è certo è un enorme introito economico per coloro che manovrano questa vicenda.
Il mondo non cambia e la situazione in Nepal è particolarmente difficile, ci sono tre gruppi politici contrapposti, ma non in modo chiaro, si formano e disfano le alleanze più strane. Il paese è dunque immobilizzato, non c’è turismo e l’economia è paralizzata, chissà, magari questo ragazzo potrà portare armonia. Se fosse in occidente forse qualcuno gli avrebbe consigliato la psicoterapia, ma là è tutto diverso, in Nepal, come in Tibet, è facile affidarsi a fatti vissuti come miracolosi perché le persone hanno ancora tanta fede.
Anche in Cina in questo momento c’è un risorgere di presunti maestri e a Taiwan, in cui prima per un Lama era facilissimo recarsi, ora sono state predisposte severe limitazioni a causa del moltiplicarsi delle frodi.
La spiritualità è talmente sottile che è difficilissimo analizzarla e soprattutto giudicarla, al momento non ne sappiamo niente.
Il Buddha storico era una persona molto intelligente, assolutamente padrone di tutte le arti mondane e in possesso di ogni conoscenza che il suo tempo  poteva offrire, ma non se ne accontentò e cercò di andare oltre, in una vera, autentica la ricerca spirituale.
Non è possibile entrare quasi magicamente nella meditazione raggiungendo gli stadi profondi senza conoscere null’altro di se stessi e del mondo, questa è la grande differenza tra la via del Buddha e le nostre fantasie.
Chi pensa di potersi immergere direttamente nella meditazione profonda senza aver maturato la necessaria preparazione sbaglia, è indispensabile avere piena coscienza della realtà di questo mondo per potervi rinunciare consapevolmente. 
Il Buddha storico è completamente diverso dai moderni presunti santoni.
Nel DVD emergeva chiaramente che tutto era stato costruito dal, e per, il popolo Newar.
Comunque non abbiamo la possibilità di giudicare, possiamo esserne perplessi o credervi ciecamente, si vedrà.

Concludiamo la serata con la lettura degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag. V)






Ritornare allo Stato Naturale della Mente nella Meditazione


Iniziamo con la lettura dei “Tre Aspetti Principali del Sentiero” (V. testi annessi pag. I).
Leggiamo ora il “Sūtra del Cuore” (V. testi annessi pag. VI).
La meditazione può essere praticata secondo modalità diverse: in una si medita leggendo, in un’altra riflettendo e nella terza contemplando, tutte sono ugualmente utili e applicabili in ogni momento della giornata, ci aiutano a riportare la mente nel suo stato naturale.
La meditazione è l’essenza delle facoltà mentali ed è più forte dei sensi ordinari a cui affidiamo usualmente le percezioni esperienziali.
La meditazione, in quanto prodotto delle funzioni mentali, è fondamentalmente differente dalle esperienze consuete, ma nel contempo può favorire una corretta visione delle stesse facoltà sensoriali.
Ad esempio se vediamo proiettate sullo schermo televisivo immagini gradevoli pensiamo che provochino una sensazione di pace, di felicità, di serenità, ma in realtà queste reazioni sono limitate ai nostri sensi e ce ne stanchiamo facilmente.
Lo stesso vale per il senso del gusto, bere una tazza di caffè profumato, di cioccolata calda, appare estremamente piacevole, in grado di dare calma, felicità, ma in realtà non è affatto così, il piacere è limitato e addirittura può trasformarsi in dolore e malessere.
Anche le facoltà uditive permettono di godere dell’ascolto della musica che però, se protratto e a volume elevato, può causare seri danni, così come respirare troppo incenso può essere nocivo alla salute.
Le esperienze dei sensi che ricerchiamo nel tentativo di ottenere tranquillità, pace, gioia, in realtà ce ne allontanano, sono un ostacolo e non ci procureranno mai una reale soddisfazione.
La meditazione è fondamentalmente differente da tutto questo e ci permette di vivere stabilmente nella serenità e nella calma in modo completamente indipendente dalle esperienze sensoriali ordinarie.
Quando sapremo liberarci dalla dipendenza dai sensi otterremo nella meditazione, grazie alle facoltà mentali, uno stato stabile di soddisfazione, di quiete, di felicità.
La meditazione nella pratica del Dharma permette di conquistare la vera pace interiore in grado di condurci a uno stato gioioso permanente, di non essere mai stanchi né annoiati.
Ho sentito parlare di sostanze presenti in alcuni funghi in grado di provocare momentanee, quanto effimere, estasi che trasportano al di là del livello ordinario dei sensi e per questo molta gente, ansiosa di sperimentare con facilità e senza sforzo la liberazione dalle comuni esperienze sensoriali, di volare chissà dove, si intossica. Deve però essere ben chiaro che un simile stato della coscienza, alterato artificialmente, non è assolutamente meditazione, né esperienza spirituale, né tanto meno pratica del Dharma, non potrà dare nemmeno l’ombra di tranquillità e soddisfazione, al contrario l’uso di queste sostanze provoca tensione, agitazione, insoddisfazione e depressione.
Si sperimentano, senza il minimo impegno personale né sforzo, illusorie libertà e sogni che sono nella realtà dipendenze e schiavitù in quanto totalmente in contrasto con l’imprescindibile legge di causa-effetto; una piccola causa non può produrre un grande risultato.
Se vogliamo ottenere una stabile condizione di pace, di serenità, di felicità, dobbiamo impiegare uno sforzo corrispondente, impegnarci seriamente nella pratica della meditazione, del Dharma, che dipende esclusivamente dalle funzioni mentali e non si basa sui desideri né sui sensi.
Maggiore è la pratica del Dharma, della meditazione, e più forte è l’indipendenza e la libertà dai sensi. Così potremo facilmente smettere di guardare la televisione, di ascoltare musica ad altro volume, di fare acquisti inutili, di mangiare smodatamente e di assumere eccessivo caffè o altri intrugli e la meditazione sarà il reale sostegno alla nostra vita, non più assoggettata alla schiavitù di presunti placebo.
Maggiore pratica del Dharma significa maggiore gioiosa liberazione personale dal livello grossolano e materiale dell’esistenza.
Naturalmente non bisogna eccedere, anche il corpo ha le sue esigenze, quindi per aver cura di noi stessi dobbiamo rimanere nella via di mezzo.
In occidente si assume cibo in eccesso, con conseguenze negative per il corpo e per la mente, dovremmo dunque imparare a ridurne la quantità allo stretto necessario usufruendo anche del sostegno della meditazione.
Procedendo nella meditazione si possono raggiungere stadi profondi, fino a potersi liberare del livello grossolano del corpo, ma prima ci si deve liberare da tutti i condizionamenti materiali dei sensi.
Questi sono i benefici della meditazione raccontati nelle storie dei grandi yogi del passato.
La meditazione non si quantifica, è indipendente dalla lunghezza della vita, può essere anche un’ora soltanto purché sia significativa.
Un erudito tibetano del passato diceva che desiderare una lunga vita e avere paura di invecchiare è una vera contraddizione. Non ha senso aspirare a una interminabile esistenza e contemporaneamente essere terrorizzati dalla vecchiaia, l’importante è vivere ogni ora, ogni istante in modo significativo, consapevole, nella pratica e nella meditazione.
La pratica del Dharma non può mai essere solo per noi stessi, bensì per il bene di tutti gli esseri senzienti.
Solo così possiamo vivere una vita umana, altrimenti procediamo alla cieca, brancoliamo completamente disorientati senza poter raggiungere la destinazione finale.
Il modo corretto di vivere è abbandonare il desiderio per i piaceri apparenti, per il proprio interesse, e operare per il beneficio degli altri tramite la pratica della meditazione, del Dharma.
Si deve studiare e meditare la saggezza ininterrottamente, anche se si morisse domani, perché non c’è beneficio che si possa ottenere nel futuro se non ascoltando la saggezza.
In monastero c’era un maestro che qualche giorno prima di morire mi confidò che stava dimenticando le scritture, anche se in realtà le conosceva benissimo, così rilesse tutti i libri che rimasero aperti tutt’intorno nella sua stanza fino al giorno della sua morte. Questo fu il suo ultimo e prezioso insegnamento offerto a noi.
Oggi invece la gente vuole essere circondata dal denaro, è sommersa dagli attaccamenti, ma così è molto difficile morire.
La saggezza che dobbiamo apprendere da questi testi ci insegna ad affrancarci dalla schiavitù, a non dipendere dagli oggetti materiali, a essere liberi dallo stesso corpo.
Nella pratica della meditazione dobbiamo sapere su quale punto focalizzare l’attenzione e concentrarci, altrimenti potremmo fraintenderne il significato e pensare che la pratica del Dharma sia ascoltare musica, danzare, assistere agli spettacoli.
La sala di meditazione a volte si trasforma in un teatro, dunque dobbiamo comprendere bene l’essenza di ciò che facciamo e che dobbiamo rendere significativo.
Almeno quando siamo qui dovremmo tentare di essere dei praticanti puri, perché se ci affidassimo alla musica, alla danza, alle varie terapie, allora sarebbe la fine, non riusciremmo mai a trovare un posto in cui essere autentici praticanti del Dharma.
Dobbiamo invece essere in grado di focalizzare l’attenzione su questo punto con intenzione dharmica pura, proviamo a contare per quanti minuti nell’ambito delle ventiquattro ore riusciamo a mantenerci in quest’attitudine, forse il calcolo in un giorno è esigere troppo, meglio computare i minuti di una settimana.
Quando riusciamo a rimanere nell’intenzione dharmica pura siamo completamente pacificati, calmi, tranquilli, ma nel momento in cui la perdiamo ci trasformiamo nella natura di sofferenza dell’esistenza e anche se lo stato fisico fosse ottimo, gli esami di laboratorio perfetti e disponessimo delle cure migliori, l’insoddisfazione omnipervasiva sarebbe ininterrottamente presente a livello mentale.
Per la sofferenza dell’ignoranza, la sofferenza dell’attaccamento, la sofferenza dell’avversione non esistono analisi mediche, né cliniche, né assicurazioni; l’unico rimedio è il Dharma, l’intenzione dharmica, perché finché si è preda dei tre poteri negativi si è schiavi della sofferenza.
Le società occidentali sono dotate di un’infinità di opportunità terapeutiche, ma i principali problemi sono strettamente connessi ai tre tipi di sofferenza e se si sta bene interiormente starà bene anche nel corpo.
Quando una persona non è libera dalle sofferenze interiori che senso ha accanirsi nel voler togliere con ogni mezzo la manifestazione esteriore del malessere?
Questa società, nelle strutture sanitarie, non permette nemmeno ad una persona di morire umanamente, utilizza macchinari e strumenti raffinatissimi per mantenerla in vita ad ogni costo, trasformando la sua stanza in un campo di battaglia pur sapendo che la guerra è persa, e l’unico tragico risultato è un doloroso tormento per il malato e un grave disturbo alla sua inevitabile morte.
Dobbiamo prepararci con la meditazione, la pratica del Dharma, a vincere questa guerra, senza ricorrere ad artifici supertecnologici e disumani.
Il Dharma è saper vincere la morte, non negarla, certamente si muore, ma è fondamentale comprendere che questo evento non può danneggiarci.
Abbiamo un’ingiustificata paura delle malattie e della morte, ed è un atteggiamento insensato perché malattia e morte appartengono alla natura stessa del corpo. 
Io credo che questa ossessione sia in parte costruita e pubblicizzata per una precisa speculazione economica che induce le persone a spendere grandi quantità di denaro in cliniche ed esami, eppure è evidente che da un controllo così parcellizzato del corpo emerga comunque qualche magagna, non è una macchina e l’imperfezione è parte della sua natura, è simile ad un albero che prima cresce, mette i rami, le foglie, i fiori, i frutti e poi un giorno muore.
In primavera pare che siamo tutti felici, in piena forma, in estate cominciamo ad essere insofferenti per l’eccessivo calore, in autunno avvertiamo i primi segni di debolezza, in inverno ci ammaliamo, e queste variazioni sono simili all’albero che cambia foglie e colori nell’arco delle stagioni.
Soltanto la pratica del Dharma ci mantiene stabili consentendoci di non seguire gli umori provocati dai mutamenti stagionali. Se siamo fermi e ci impegniamo nella pratica della meditazione e del Dharma possiamo rimanere saldi, uguali, calmi, durante tutte le quattro stagioni.
Il Buddha è vissuto fino a ventinove anni in lussuoso palazzo godendo di tutti i piaceri, ma alla fine ne ha verificato l’inutilità e ha compreso che l’unica possibilità di vita vera si trovava nella meditazione.
Aveva visto i malati, i morti, i vecchi e i meditanti, ne aveva maturato una profonda commozione e si era posto la domanda fondamentale: “come poter superare tutta questa sofferenza sia per se stesso che per gli altri” giungendo alla conclusione che l’unica soluzione possibile era la meditazione. La visione di queste quattro condizioni fu per lui determinante.
All’inizio si pratica una piccola meditazione, non è questione di quantità, ma di qualità, non ci si deve sforzare di stare seduti per ore in silenzio, sono sufficienti cinque minuti o anche uno solo, purché si mantenga la pura intenzione.
Ora, essendo il giovedi dedicato allo studio del Lam Rim, leggeremo alcuni versi del testo originale di Atīsa (V. testi annessi pag. VIII):
La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione
Mi prostro al bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
“Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Changchub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.”
Questo è il primo verso, ma offre già ricche indicazioni.
A quel tempo il Tibet era diviso in varie province e nel 1042 il re Changchub Ö, Governatore della regione occidentale di Guge, invitò Atīsa, grande studioso proveniente dall’odierno Bangladesh, affinché spiegasse il puro Dharma.
In Tibet il Dharma era già stato introdotto duecento anni prima, nel settimo secolo, ma in seguito si era creata una grande confusione circa cosa fosse realmente, c’erano dubbi, discussioni, problemi e per questa ragione affinché facesse chiarezza il re invitò Atīsa che, in risposta, scrisse questo testo importantissimo.
Lo stesso problema dell’antico Tibet si ripropone oggi, si stanno introducendo elementi estranei che nulla hanno a che vedere con il Dharma.
Il re Changchub Ö è definito “discepolo perfetto” perché chiese ad Atīsa di spiegare il Dharma puro in grado di apportare beneficio alla mente-cuore delle persone.
Atīsa sicuramente non sarebbe stato contento se il re lo avesse invitato per dare iniziazioni, potenziamenti e celebrare grandi cerimonie, era un solo uomo e non poteva mettersi a fare danze, musica, spettacoli, conduceva la vita semplice del mendicante seguendo l’esempio del Buddha.
Oggi viceversa si tende a valutare un grande Lama dalla qualità degli oggetti da cerimonia che porta con sé, dalle danze e spettacoli che esegue, dal numero di seguaci, anche se non sono affatto persone colte, anzi molto ignoranti.
Ne ho la riprova ogni qualvolta torno a casa, la gente stupita mi chiede come mai sono solo, senza attendenti. Anche al monastero del villaggio tutti pensavano che, essendo diventato Geshe, avrei dovuto presentami con discepoli e preziosi strumenti rituali. I monaci non comprendono e sono sorpresi vedendomi utilizzare il bus locale invece di un auto con autista. Purtroppo questa è una mentalità tibetana, difficile da sradicare, e di pessima qualità.
Per questi motivi è consuetudine che i Lama si spostino cercando di raccogliere il maggior numero di discepoli e di oggetti da mostrare, è il risultato di una cattiva abitudine accumulata nei secoli e che non porta alcuna felicità.
Più si è semplici e più si è felici, mentre nell’affannosa ostentazione della propria grandezza si accumula solo stress e insoddisfazione. Ecco perché il testo di Atīsa non è valido solo per il Tibet del passato, ma anche per l’Italia di oggi.
Domanda: Durante la vita normale abbiamo bisogno di moltissime cose, l’auto, la casa di un certo tipo, abiti per ogni circostanza, l’unico momento in cui possiamo lasciare tutto, non abbiamo bisogno di nulla, è quando andiamo a dormire, per cui mi pare che potremmo approfittare di questa minima occasione per lasciare tutte le preoccupazioni, abbandonare il corpo stesso, quasi una specie di morte, è un piccolo Dharma che ci possiamo portare nel cuore?
Lama: La via di mezzo è importante, non avere troppi rischi ma nemmeno troppe cose non necessarie. Io posseggo questa borraccia che mi è utile, ma non ne sono attaccato e se dovessi morire la lascio contento perchè potrà servire ad altri, se invece ne avessi due una sarebbe inutile, solo un’ulteriore cosa da lavare. E’ sufficiente un piatto, un cucchiaio e una scodella.
Grazie a tutti, e ora ripetiamo tre volte il verso dell’offerta degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”.
“In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.”






Gli Insegnamenti del Buddha raccolti nel Tripitaka


Anche questa sera iniziamo con la lettura dei “Tre Aspetti Principali del Sentiero” (V. testi annessi pag. I).
E’ necessario sviluppare l’atteggiamento della rinuncia, della bodhicitta, della saggezza relativa alla realtà ultima, i tre aspetti del sentiero che devono sempre essere presenti e vigili nella mente.
A tal fine mediteremo sulla consapevolezza del respiro che è estremamente semplice ma efficacissima; bisogna respirare normalmente, osservando coscientemente i respiri corti e frequenti o lunghi e lenti, riconoscendone la successione e rilassando contemporaneamente il corpo.
(segue meditazione)

Abbiamo utilizzato il processo del respiro come oggetto della meditazione, una tecnica importante per raggiungere la tranquillità interiore, la pace e la gioia, perché senza calma e serenità non c’è modo di conseguire nessuna realizzazione, dobbiamo dunque creare le condizioni adeguate, è come dissodare il terreno e fertilizzarlo per far crescere un buon raccolto.
Riprendiamo il testo di Atīsa, in tibetano: “Byang-chub lam-gyi sgron-ma”, in sanscrito: “Bodhipathāpradīpa” e tradotto in italiano: “La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione”, ma prima di addentrarci nell’esame dei versi è fondamentale comprendere il significato del titolo da cui possiamo già ricavare indicazioni essenziali.
“La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione” è ciò che noi conosciamo come  Lam Rim, che ne è la versione lunga. 
Il testo è paragonabile ad una mappa che consente ad una persona ordinaria di percorrere il cammino fino all’illuminazione e per questo è detto lampada, se siamo al buio infatti non sappiamo dove posare i piedi, mentre con la luce il sentiero è visibile, quindi l’accento è posto, non tanto sul sentiero, quanto sulla lampada che ci permette di seguirlo.
La nostra mente è oscurata dalle tenebre dell’ignoranza che ci impedisce di vedere la strada e per poter procedere è indispensabile disporre di una lampada.
Il titolo sanscrito è “Bodhipathāpradīpa”, bodhi significa il completo sviluppo della mente umana, la realizzazione di tutte le sue qualità, la saggezza completa.
Cosa significa esattamente l’illuminazione nel vostro linguaggio? In tibetano “byang” significa addestramento, esercitazione, e “chub” completo, totale, a cui non c’è nulla da aggiungere.
Si potrebbe anche dire che è il sentiero che porta alla cessazione dell’apprendimento, poiché non c’è altro da apprendere, in inglese il termine corrispondente è simile a mente onnisciente.
La lampada del sentiero che porta all’illuminazione permette alla nostra mente di svilupparsi completamente.
Il sanscrito è una lingua perfetta, perché ogni parola si connette esattamente al suo significato, senza necessità di ulteriori spiegazioni o aggettivi, quando si dice “bodhi” è chiaro ciò che si intende, in tibetano invece occorrono già due termini, “byang” e “chub”.
Il trattato di Atīsa è stato scritto in sanscrito e poi tradotto in tibetano a cui è stata aggiunta all’inizio la formula di omaggio, come auspicio ad una traduzione propizia e priva di tutti i possibili ostacoli.
La prostrazione a Mañjusrī indica che quest’opera è parte del Sūtrapitaka che riguarda l’aspetto della saggezza.
In tibetano, ogni traduzione è preceduta dall’offerta che può essere presentata a Buddha Sākyamuni, o a Mañjusrī, o alla Compassione e da questa distinzione si comprende se il testo appartiene ai Sūtrapitaka, all’Abhidharmapitaka, o al Vinayapitaka.
Quando il testo fa parte degli insegnamenti contenuti nel Vinayapitaka l’offerta è presentata al Buddha Sākyamuni, quando appartiene all’Abhidharmapitaka l’omaggio è reso alla grande Compassione e quando fa parte dei Sūtrapitaka l’omaggio è offerto a Mañjusrī.
Tutti gli insegnamenti del Buddha sono raccolti nei “Tripitaka”, termine tradotto nelle lingue occidentali come “tre canestri”, cioè tre contenitori completi, una suddivisione fondamentale degli argomenti e degli addestramenti in quanto ne facilita l’approccio ed elimina tante possibilità di confusione.
I tre addestramenti superiori, contenuti in tutti gli insegnamenti del Buddha sono relativi alla moralità, alla concentrazione e a alla saggezza, qualità fondamentali per ottenere il bodhi.
Senza doversi riferire a nessuna religione in particolare, ma semplicemente purificando la mente nei tre addestramenti superiori, si può realizzare il bodhi.
Abbiamo esaminato il significato del titolo e dell’offerta a Manjusri, riprendiamo ora il primo verso:
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
Si rende omaggio al Buddha, al Dharma e al Sangha per ricordare che qualsiasi atto deve essere rapportato ai tre gioielli. Dunque Atīsa, prima di addentrarsi nella scrittura, rende omaggio in primo luogo ai Buddha che qui sono definiti i conquistatori, coloro che hanno vinto le illusioni mentali; si rivolge ai Buddha dei tre tempi, a quelli del passato del presente e del futuro. Generalmente si tende a individuare il Buddha in una singola persona ma in realtà ci si deve riferire a tutti i Buddha.
Il secondo gioiello a cui rende omaggio è l’insegnamento, il Dharma, e il terzo è il Sangha, rappresentato dagli esseri superiori, gli Ārya, che hanno realizzato gli insegnamenti del Buddha.
Per questo ogni volta che ci accingiamo a compiere qualche azione dobbiamo ricordare i tre gioielli, perché rendendo loro omaggio è come se ne chiedessimo la benedizione e la guida per agire a beneficio di tutti gli esseri.
Volendo raffrontare quest’attitudine al cristianesimo potremmo paragonarla all’omaggio a Dio; il Buddha è Dio, il Dharma è lo Spirito Santo e il Sangha è il Figlio, colui che ha realizzato il Dharma.
E’ la mente umana che pone ostacoli e crea divisioni inesistenti, ciò è particolarmente evidente negli incontri interreligiosi in cui ognuno tende ad affermare le proprie convinzioni in modo esclusivo e rigido su Dio, Cristo, Buddha, Allah, incrementando unicamente la confusione ed edificando insormontabili quanto negative e insensate barriere.
Anche nelle Università i professori, con ostentata sicumera, espongono agli studenti definizioni categoriche sul buddhismo, sul cristianesimo, o su qualsiasi religione, volendo dimostrare che non esiste nessun punto unificante tra le stesse e che, al contrario, le diversità sono profonde e incolmabili.
In questo modo i dialoghi interreligiosi e i corsi universitari non fanno altro che potenziare i conflitti, costruire muri e provocare nelle persone un pericoloso disordine mentale, questo è il frutto di una radicata ignoranza.
Soprattutto le autorità religiose hanno un’immensa paura di scoprire i punti comuni tra le religioni, forse temono di perdere quelle prerogative che definiscono la loro identità e la loro condizione. E’ veramente ridicolo!
E’ possibile che questo atteggiamento corrisponda ad una posizione ufficiale ritenuta quasi doverosa e che al di fuori del ruolo siano più flessibili, forse ritrovandosi per un caffè insieme si scoprirebbe una maggior apertura di cuore.
Le istituzioni religiose al loro interno hanno sicuramente dei vantaggi, ma creano enormi ostacoli e difficoltà all’unità e all’armonia fra le varie confessioni, soprattutto per ciò che concerne l’armonia interiore individuale.
Spiritualità significa mente umana, esiste una sola mente, che può esprimersi nel cristianesimo, nel buddhismo, nell’islamismo e così via, ma è sempre un’unica mente da addestrare, da praticare, da rendere perfetta, e quindi è veramente insensato aggrapparsi a punti di vista rigidi e costruire fittizie divisioni e limiti.
Rendendo omaggio al Buddha, al Dharma e al Sangha si dovrebbe almeno cercare di includere tutte le religioni.
Purtroppo invece la prerogativa specifica del mondo attuale è quella di escludere, escludere, escludere….
Includere è indubbiamente meglio che escludere e corrisponde all’insegnamento del Lam Rim.

Grazie, recitiamo la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. IV).






Le tre caratteristiche del praticante Lam Rim e i testi fondamentali


Due condizioni essenziali ci inducono a riflettere sulla necessità di prendere rifugio nei tre gioielli.
La prima è la riflessione sulla sofferenza generale del samsāra, in particolare sulla sofferenza della vita umana;
la seconda è sapere che Buddha, Dharma e Sangha hanno il potenziale per proteggerci dal pericolo di questa sofferenza.
Realizzando queste due condizioni si è pronti a prendere rifugio nei tre gioielli e a generare la bodhicitta:
“Possa io raggiungere l’illuminazione tramite la pratica delle sei Perfezioni
per poter portare tutti gli esseri senzienti allo stato di illuminazione”
Questo è il metodo corretto per accostarsi al rifugio e alla generazione di bodhicitta, ed è necessario rammentarlo e affermarlo prima di intraprendere qualsiasi pratica.
Sulla base di questo atteggiamento iniziamo il nostro incontro di Dharma.
Il principale commentario al testo di Atīsa “La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione” è l’opera di Lama Tsong Khapa che, nei “Versi dell’Esperienza”, espone i vari stadi del percorso che comprendono  l’intero Lam Rim.
L’ approccio corretto agli scritti del Lam Rim, è lo studio del trattato di Atīsa che deve essere approfondito nella riflessione attenta della sintesi elaborata da Lama Tsong Khapa nei “Versi dell’Esperienza”; ovviamente esistono molti altri commentari, ma noi ci soffermiamo principalmente su questi due.
Atīsa era un grandissimo erudito, tanto che ancora oggi, malgrado il Bangladesh sia ormai quasi totalmente musulmano, la gente ne ha studiato la storia e lo ricorda con rispetto e venerazione.
Per questo il re Changchub Ö si rivolse a lui, il miglior maestro allora esistente, altrimenti non avrebbe potuto sciogliere i problemi dottrinali che avevano gettato i tibetani nel completo caos.
Il buddhismo era già stato introdotto in Tibet nell’ottavo secolo e Atīsa giunse in questo paese nell’undicesimo secolo, ma nei trecento anni intercorrenti contraddittorie questioni sulla sua natura erano proliferate. La vita di Atīsa è particolarmente interessante e dalla sua biografia emerge chiaramente il grande sforzo affrontato dai tibetani per portarlo in Tibet, si è trattato di una poderosa missione.
Oggi il buddhismo in occidente è frettolosamente liquidato come qualcosa di estremamente superficiale, si pensa di poterlo inquadrare con poche frasi: “il buddhismo non ha Dio…, c’è la reincarnazione…, lascia andare tutte le cose...”, e su queste banali esemplificazioni si costruiscono elaborate, quanto bizzarre, disquisizioni, si afferma: “la vita è sofferenza e si deve dunque rinunciare alla vita…. si ha l'obbligo di raggiungere il nirvāna…. bisogna meditare….” e per meditazione si intende stare seduti, in silenzio e pensare: “…ecco sento una bella sensazione, questo è il nirvāna!”
Veramente sciocco ma non strano, perché la stessa cosa era già accaduta in Tibet.
Ora leggiamo lentamente, riflettendo su ogni parola, accumulando in questo modo meriti, “I Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong Khapa (V. testi annessi pag. XII).

Il primo atto è l’omaggio al lignaggio dei Maestri, poi si spiegano le caratteristiche peculiari del Lam Rim, e infine si ricorda quanto sia utile per l’accumulazione di meriti la recitazione e meditazione del testo stesso.
L’esortazione ad ascoltare il Lam Rim è rivolta ai fortunati la cui mente non è oscurata dal senso di identificazione, di appartenenza a qualcosa di esterno, né a maestri, né a scuole, né a sette o correnti, a coloro che sono invece esenti dal bisogno di stare da una parte piuttosto che dall’altra, di avere etichette sulla fronte di tipo politico, sociale o religioso. La libertà da questi gioghi è reputata da Lama Tsong Khapa una vera fortuna, ed è proprio una caratteristica della persona capace di ascoltare il Lam Rim.
Il secondo elemento caratteristico è determinato dalla capacità di discernere tra il bene e il male, di distinguere ciò che giusto da ciò che sbagliato, una qualità che si acquisisce solo grazie all’accumulazione di meriti.
Se non si sono accumulati meriti è impossibile avere una visione chiara della realtà e si tende a valutare positivamente ciò che è negativo, o negativo ciò che è positivo, e il più delle volte, illudendosi di fare il bene, si sbaglia e si danneggiano gli altri.
E’ importante, per ascoltare e apprendere il Lam Rim, possedere la capacità mentale di riconoscere il bene e il male, ciò che è corretto e ciò che è errato.
Inoltre, per rendere significativa questa preziosa vita umana è indispensabile impegnare gioiosamente tempo e spazio nella pratica del Dharma.
In occidente ci sono tante comodità per una vita agiata, eppure molte persone non conoscono il Dharma, o la loro mente è oscurata dal senso di appartenenza a qualcosa, oppure non sono in grado di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, il bene dal male, e di conseguenza si affannano a riempire freneticamente le giornate con le più fantasiose attività, costantemente in corsa, perché se si fermano anche solo un istante avvertono un senso di vuoto e di disagio insopportabile che li spinge compulsivamente a cercare nuovi impegni. E’ un circolo vizioso di non vita.
Un detto tibetano invece suggerisce:“se non hai niente da fare pratica il Dharma” perché il Dharma è infinito, si sarà sempre occupati, non esiste un solo istante di vuoto, di disagio, di smarrimento, la vita acquista significato e non è più necessario riempire ogni spazio con tanto lavoro, shopping, caffè frettolosi al bar e un fiume di chiacchiere inutili.
Il Dharma occupa tutto il tempo e lo spazio e più lo si pratica, più si sarà impegnati con gioia e beneficio crescenti.
Domanda: Molte persone non conoscono il Dharma perché è completamente alieno alla nostra cultura, sia a livello mediatico che pragmatico sono date impostazioni opposte e non lo si può nemmeno concepire, tutto deve essere frettoloso, immediato, veloce….
Lama: E’ necessario impegnare il tempo per praticare il Dharma, non riempire la giornata di attività vere o presunte pur di non pensare, il Dharma è l’esatto contrario.
Riassumendo dunque le tre caratteristiche fondamentali che fanno del praticante Lam Rim un essere fortunato sono:
essere liberi e non oscurati dal senso di appartenenza;
avere la capacità di distinguere il bene dal male;
rendere significativa la propria preziosa vita dedicando tempo e spazio alla pratica del Dharma.
Lama Tsong Khapa si rivolge agli esseri fortunati che posseggono queste tre peculiarità e che di conseguenza possono comprendere il Lam Rim, esortandoli ad ascoltarne con grande attenzione l’insegnamento.
Grazie a queste tre qualità si è in grado di avanzare nei vari stadi della pratica, mentre chi non le ha coltivate non può procedere e deve impegnarsi seriamente nella preghiera per ottenerle.
Il Lam Rim contiene i punti fondamentali dell’intero insegnamento del Buddha e nella tradizione che procede da Nāgārjuna e Asanga a cui facciamo riferimento troviamo tutte le indicazioni che ci accompagnano nel cammino verso all’illuminazione.
Il Lam Rim possiede quattro caratteristiche fondamentali e raccoglie tutti gli elementi chiave dell’intero insegnamento del Buddha, non è un evento nuovo, costruito oggi, ma giunge dalla tradizione di Nāgārjuna e Asanga e mostra ad ognuno ogni fase specifica del sentiero che porta all’illuminazione.
Nell’antica India esistevano due grandi tradizioni, una faceva capo all’università di Nālandā e l’altra all’università di Vikramasila.
Secondo la tradizione di Nālandā nella composizione di un testo e nell’insegnamento del Dharma devono sempre coesistere tre fattori:
il discorso del maestro deve essere puro;
la mente, l’atteggiamento del discepolo deve essere puro;
l’argomento trattato deve essere puro.
Domanda: Cosa significa in questo contesto “puro”?
Lama: Puro nel senso di privo di aspettative mondane, non soggetto a manipolazione alcuna. L’insegnamento deve essere solo Dharma e null’altro.
Domanda: Come si può manipolare il Dharma?
Lama: Ecco un esempio: se abbiamo una coppa di latte e vi aggiungiamo dell’acqua ne aumentiamo la quantità, ottenendo due coppe, questa è manipolazione. Il Dharma può essere manipolato dai politici, dagli economisti, dalla pubblicità, e quant’altro, le possibili manipolazioni sono infinite ed è facile cadere in queste trappole, ma è almeno importante non farlo mai intenzionalmente.
Seguiamo il testo, passo a passo, e vedrete che tutto si chiarirà da sé.
Nella tradizione dell’università di Vikramasila invece si analizzano e approfondiscono prioritariamente altri elementi reputati essenziali:
Innanzitutto si espongono le qualità distintive dell’autore del testo in esame;
poi si presentano le caratteristiche specifiche dell’insegnamento;
infine si spiega come insegnare e come ascoltare la dottrina.
Lama Tsong Khapa ha utilizzato questo secondo approccio; per prima cosa presenta l’autore, cioè Atīsa, per mostrare come le sue parole si riferiscano ad una fonte autentica, originale; in un secondo momento spiega le caratteristiche del Lam Rim volte a favorire l’accrescimento della devozione e del rispetto al Dharma; e infine indica come insegnare e ascoltare gli insegnamenti e, dopo queste basilari premesse, procede all’analisi degli stadi della pratica entrando nel cuore dei concetti.
Il Lam Rim contiene istruzioni generali e speciali, quelle generali sono raccolte nell’“Ornamento della Chiara Realizzazione” di Maitreya, e già semplicemente ascoltando questi nomi se ne riceve un grande beneficio. Nel monastero ogni monaco ne memorizza l’intero scritto, composto da otto capitoli.
Le istruzioni speciali sono indicate nella “Lampada sul sentiero verso l’Illuminazione” di Atīsa e commentate da Lama Tsong Khapa nei “Versi dell’Esperienza”.
Abbiamo dunque tre grandi autori del Lam Rim, il primo è Maitreya, il secondo Atīsa e il terzo Lama Tsong Khapa ed è magnifica questa inscindibile interconnessione tra le loro opere.
Anche il testo di Maitreya, il primo dei tre, discende a sua volta dal Prajñāpāramitāsūtra, trattato sanscrito, tradotto in tibetano e presentato in tre versioni, una estesa costituita da dodici volumi, una intermedia da due, e una breve da un solo volume.
In Tibet è consuetudine che più famiglie si riuniscano per leggere questo scritto e non esiste nessuno che non ne conosca almeno la versione minima, composta da ottomila versi.
In italiano abbiamo il testo di Lama Tsong Khapa che spiega lo scritto di Atīsa, così breve ma denso di significato e compendia pienamente l’opera di Maitreya che a sua volta è il commento del Prajñāpāramitāsūtra.
Una lettura dunque ricchissima che non può essere limitata a livello di conoscenza intellettuale, perché ogni parola, ogni verso, costituiscono un vero e proprio addestramento della mente.
Oggi siamo abituati a comprare il pane, ma in monastero lo facevamo a mano e l’impasto doveva essere manipolato moltissimo, più lo si lavorava migliore risultava il suo sapore; lo stesso avviene con questo studio, più ci si addentra maggiori saranno i benefici.
E’ dunque necessario riflettere e meditare su ogni parola, non si possono scorrere come romanzi, non sono un passatempo, perché nel Dharma ogni istante è pregno di significato.
Domanda: Vorrei fare una proposta, non sarebbe possibile programmare periodicamente una settimana intensiva, due ore tutte le sere, di studio di un testo? Una giornata intera rischia di essere dispersiva perché ci si stanca facilmente, ma questa potrebbe davvero essere utilissima.
Lama: Lo puoi fare a casa da sola, quante ore vuoi, non è necessario venire qui, anche perché non tutti abitano vicino. Dobbiamo leggere il Lam Rim ogni giorno e praticare tanto.
Grazie, per me è bello spiegare questi concetti, anche se non è facile.

Concludiamo con la recitazione degli  “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag. V).






L’oggetto della Preghiera e del Rifugio 


Anche questa sera iniziamo con la lettura dei “Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong Khapa (V. testi annessi pag. XII).

Nell’età dell’oro ogni evento appariva nella luce più favorevole, ma ora siamo in tempi degenerati e la lettura di questi versi ci riporta ad un passato luminoso.
Questo testo fu composto nell’università monastica di Gaden, distrutta durante la rivoluzione culturale, soltanto nei primi anni novanta i cinesi concessero il permesso di filmarne le rovine per un documentario che fu mostrato al Dalai Lama e al suo anziano tutore che, alla vista di tanta desolante devastazione, ne fu sconvolto e si ammalò, morì dopo qualche mese.
L’università monastica di Gaden si è ricostituita in esilio, in India, è il monastero in cui ho studiato, ma tutto è impermanente, tutto muta e ogni volta che vi ritorno trovo cambiamenti considerevoli.
Adesso leggiamo il Sūtra del Cuore che ha il potere di tagliare tutti gli ostacoli e le negatività con la luminosa spada della saggezza di Mañjusrī. (V. testi annessi pag. VI).

Questa lettura è una pratica vigorosa e inoltre favorisce la meditazione sulla vacuità.
Dobbiamo permanere stabili nella bodhicitta e auspicare il bene di tutti gli esseri, perché pregare solo per sé stessi, concentrati sulla propria sofferenza, non è corretto né efficace; non si può implorare Dio di sollevarci dalle afflizioni ignorando il dolore degli altri.
E’ fondamentale prima di tutto maturare l’attitudine alla rinuncia e alla bodhicitta, e poi pregare per il beneficio di tutti gli esseri senzienti. 
Non è un percorso facile né scontato, ma inevitabile, estremamente potente e benefico, e per questo motivo ci occupiamo particolarmente della via del Bodhisattva, della bodhicitta e della Grande Compassione.
Le preghiere formulate con atteggiamento egocentrico, con attaccamento all’io, anche se non intenzionale ma prodotto dall’ignoranza, sono impure e vane.
E’ essenziale affidarsi con fede al cuore di bodhicitta.
Noi crediamo nei Bodhisattva, nei Buddha, in Dio, proprio perché essi posseggono la bodhicitta, la grande compassione, infatti, a livello ultimo, la nostra fede è diretta a queste qualità, non a personificazioni divine.
Spesso facciamo confusione tra la fede nelle qualità superiori e le personificazioni delle stesse.
La fede nelle qualità è essenziale perché ne innesca automaticamente in noi lo sviluppo, mentre la fede nell’individuo in quanto tale, seppur divinizzato, confonde, crea una netta separazione, un dualismo tra noi e l’altro generando così un atteggiamento sterile, distaccato, sfiduciato nelle nostre possibilità.
Tra i tre oggetti di rifugio, Buddha, Dharma e Sangha, il Dharma è il rifugio ultimo, il vero obiettivo che apre il cuore alla grande compassione, alla bodhicitta, alla saggezza; il Buddha è la guida, il maestro che mostra la via; mentre il Sangha è l’insieme dei compagni di viaggio che ci sostengono e camminano con noi, condividono le nostre stesse condizioni mentali.
Ci rivolgiamo al Buddha pregandolo di insegnarci il Dharma, di aiutarci a comprenderlo e a praticarlo, non dobbiamo invece supplicarlo di proteggerci dalle sofferenze, sarebbe troppo facile e soprattutto inutilmente sciocco.
Il Buddha con infinito e puro amore indica il percorso privo di errori, ma mette in guardia dalle false illusioni con una raccomandazione fondamentale che non dovremmo scordare mai: “Non sono io che ti salvo o ti proteggo, solo tu puoi scegliere cosa fare della tua vita, tu puoi salvare e proteggere te stesso, io ti posso soltanto mostrare la via.”
Nella preghiera al Dharma rivolgiamo lo sguardo direttamente alle qualità spirituali con il desiderio, la motivazione, di alimentarle e farle crescere in noi stessi.
Anche pregando il Sangha non ha senso chiederne la protezione, che non può essere delegata a nessuno, ci si affida invece all’aiuto dei compagni di strada.
La fede nei tre oggetti di rifugio costituisce la base appropriata per il cammino verso l’illuminazione, e la possiamo nutrire e curare presentando con cuore puro e sereno le offerte, leggendo e studiando gli insegnamenti dei maestri, meditando e praticando il Dharma. I meriti così accumulati favoriscono l’eliminazione delle energie negative e degli ostacoli.
L’umile offerta di una candela o di un bastoncino di incenso può essere un gesto denso di significato e grandemente benefico.
Alcune volte ci sentiamo male, sopraffatti da problemi nel lavoro, nelle relazioni umane o in famiglia, ma proprio in questi momenti non dovremmo lasciarci vincere dalla rabbia o dalla depressione, bensì fermarci a riflettere sul karma, comprendendo che tutto ciò che accade ne è il risultato e che si tratta semplicemente di una fase della vita, in questo modo potremmo calmarci, tranquillizzarci, entrare in sintonia con ogni situazione. 
Dovremmo aiutare noi stessi con piccoli gesti, pulire il luogo di meditazione, presentare offerte, accendere l’incenso, e non con l’intenzione di eliminare le nostre sofferenze, ma di accoglierle, superandole grazie al potere dell’accumulazione dei meriti che conferisce serenità.
La preghiera è dunque rivolta alle preziose qualità dei Buddha e dei Bodhisattva i quali sono per noi un esempio, ci ispirano, con incondizionato amore indicano il sentiero offrendo una concreta speranza e fiducia nelle nostre capacità di seguirlo fino alla fine e questo è importantissimo perché molte persone soffrono inutilmente a causa della mancanza di speranza e sfiducia in se stesse.
Se confidiamo incondizionatamente nei Buddha e nei Bodhisattva sviluppiamo un atteggiamento positivo e fortemente benefico, ma se poniamo le nostre aspettative esclusivamente in esseri ordinari come noi ne ricaveremo soltanto grandi delusioni.
Dobbiamo per prima cosa praticare la rinuncia, perché senza rinuncia tutti i problemi e le miserie del mondo ci sommergono.
La rinuncia è lo strumento che elimina naturalmente ogni difficoltà, ogni sofferenza, ogni ostacolo.
L’attaccamento afferra la sofferenza e ne provoca il rafforzamento, mentre nella rinuncia cresce l’amore e la compassione, la rinuncia è amore autentico, liberato dai limiti dell’afflizione, della schiavitù.
In ogni ambito di vita è importante far emergere questo amore puro, nella famiglia, nelle amicizie, nelle relazioni umane; l’amore è assolutamente benefico, non è mai causa di problemi, di danni o di male, né per sé né per gli altri.
Tutti i conflitti sorgono dall’attaccamento, un nemico che può essere sconfitto definitivamente dalla rinuncia, apportatrice di pace, di serenità, di amore puro e che in base al karma maturato, ci permette di avanzare nel cammino fino a raggiungere, un giorno, la meta.
Il karma non può essere condiviso, ognuno può solo vivere il proprio.
L’unico modo per procedere con pace e serenità è quello di rimanere saldi sui propri piedi, essere autonomi e liberi, praticare la rinuncia e l’amore così da essere di aiuto a noi stessi e agli altri.
La mente di bodhicitta significa desiderare l’illuminazione per sé e per tutti gli esseri senzienti.
Per poter condurre gli altri allo stato dell’illuminazione è necessario ottenerla prima per se stessi, un’aspirazione doverosa e mai egoistica, perché il fine ultimo è il bene altrui.
Fino a quando noi stessi non avremo raggiunto l’illuminazione non potremo portarvi altri, dunque l’obiettivo è duplice, desideriamo l’illuminazione per noi al fine di potervi condurre tutti gli esseri.
Il primo scopo è conseguire l’illuminazione per se stessi, ma il primo desiderio è quello di portarvi tutti gli altri.
Oggi non possediamo ancora l’illuminazione, ma possiamo comunque essere di beneficio al prossimo sviluppando l’amore puro, la bodhicitta, la grande compassione e non soltanto nella meditazione, ma nella quotidianità, in ogni atto dell’esistenza.
Esistono cose materiali e cose spirituali, queste ultime infondono significato alle prime e le purificano, ed entrambe sono fortemente interconnesse.
Per poter calmare il corpo è necessario avere acquisito la serenità spirituale che si ottiene soltanto nella rinuncia.
Pur vivendo nel samsāra dobbiamo imparare ad esserne liberi.
Quando qualcuno soffre e si lamenta a causa di molte afflizioni lo possiamo confortare, stargli accanto con amore e compassione, ma non abbiamo altri strumenti di intervento perché noi stessi ci troviamo nell’identica condizione samsarica; ognuno, e nessun altro, può trovare le soluzioni e la liberazione dalla sofferenza solo al proprio interno.
I principi della bodhicitta non sono soltanto una realtà ideale, bensì anche pratica, concreta e utile nella vita materiale.
Per oggi ci fermiamo; sono così felice di avere trovato amici spirituali a Roma, è una questione di karma, nessuno ha preparato, organizzato questa situazione, mi pare di essere stato paracadutato in Italia senza sapere quasi perché, e sono sempre attento a cogliere tutte le opportunità karmiche che si presentano, senza programmare, senza progettare, senza codificare nulla, né dividere secondo schemi settari.
Il pericolo del settarismo è subdolo, potente, e purtroppo diffusissimo nei gruppi spirituali, è il maggiore ostacolo ad una spiritualità aperta.
Qui tentiamo di praticare il Lam Rim e anche se siamo persone semplici possiamo fare cose interessanti purché sappiamo cogliere il karma e l’occasione di questa magnifica sfida dharmica.
Il Buddha ha raccolto questa grande sfida affidandosi alla rinuncia assoluta. Dobbiamo imparare ad abbandonare l’usuale attaccamento agli oggetti, alla programmazione della vita, all’organizzazione di ogni sua fase per cui diventa indispensabile possedere un computer, il collegamento internet, del buon cibo, e perdersi in infinite e inutili chiacchiere, ma alla fine cosa otteniamo? Nulla, assolutamente nulla, sprechiamo tempo, energia, denaro, questa non è spiritualità, è business e dal punto di vista del Dharma non è bene.
Eppure nei centri di Dharma si fanno tutte queste cose, si sogna di diventare come il vaticano, una vera follia!...
La pratica del Dharma è umile, semplice, costante, consapevole.






I tre livelli della pratica del Lam Rim 


Iniziamo con la lettura dei Versi dell’Esperienza fino all’ottavo versetto. (V. testi annessi pag. XI).

Leggiamo ora la Preghiera di Māhamudhrā (V. testi annessi pag. XVII).

Il III° Dalai Lama, Sönam Gyatso, scrisse un breve e bellissimo testo intitolato “L’oro raffinato del sentiero graduale” in cui ribadisce l’importanza del Lam Rim:
“Prendo rifugio e rendo omaggio con grande rispetto prostrandomi ai suoi piedi al Guru che è la reincarnazione dei tre rifugi e ne chiedo la benedizione.
Coloro che vogliono comprendere il significato della vita, devono praticare e seguire il sentiero indicato dal Buddha, in questo caso il Lam Rim, che è l’essenza di tutti gli insegnamenti del Buddha ed è stato tramandato dai Buddha dei tre tempi e dalla tradizione elaborata da Nāgārjuna e Asanga.
Tutti i sentieri del Lam Rim sono condensati nei tre livelli della pratica.
Questa è la descrizione del Lam Rim.”
Per comprendere il significato di questo scritto sarebbe necessario conoscere perfettamente anche la biografia dell’autore, ma è complesso, per cui qui ci limitiamo a commentare il Lam Rim Bsdus Dön che è più semplice da seguire.
Il settimo punto dei Versi dell’Esperienza cita:
“Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva e ti proteggono dall’abisso del grande errore. Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?”
Il primo significato del Lam Rim è espresso nella capacità di esporre tutti gli insegnamenti del Buddha in modo chiaro e non contraddittorio ed è basilare perché il buddismo si è diffuso sul pianeta integrandosi pienamente alle culture locali tanto che molteplici correnti sono sorte, ma mai in contrasto tra loro, al contrario arricchite nella possibilità di reciproca e armoniosa interazione.
Non si tratta di tradizioni diverse, ma di modalità di pratica differenti che nell’essenza sono complementari. 
Il Lam Rim contiene tutte le pratiche, Hīnayāna, Mahāyāna, Vajrayāna, le unifica e ordina in perfetta consequenzialità.
Nel Lam Rim sono evidenziati i tre aspetti principali del sentiero: la rinuncia, la bodhicitta e la saggezza che realizza la verità ultima.
A quale punto del sentiero del Lam Rim collochereste la rinuncia?
Risposta: Hīnayāna…
Lama: E la saggezza che realizza la vacuità?
Risposta: Vajrayāna …
Lama: E la bodhicitta?
Risposta: Mahayāna…
Quando studiamo i tre aspetti principali del sentiero noi siamo in grado di analizzarli singolarmente e separatamente ma non cogliamo il loro fondamentale collegamento, mentre nei testi del Lam Rim è evidente e chiara l’inscindibile interconnessione tra di loro.
Il secondo significato del Lam Rim è la dimostrazione di come tutti gli insegnamenti portino all’illuminazione.
Qualsiasi tipo di meditazione può trasformarsi in causa per l’illuminazione, in quanto abbiamo acquisito la capacità di comprenderla come istruzione finalizzata al compimento dello scopo.
Il terzo significato del Lam Rim è la naturale comunicazione del pensiero del Buddha così da renderlo chiaro e accessibile, ma a questo punto ci chiediamo: qual’è il pensiero del Buddha?
È scritto che tramite il Lam Rim ognuno sarà in grado di comprendere il significato delle scritture perché, come sottolinea un commentario, l’intero pensiero del Buddha è espresso nei tre aspetti principali del sentiero, Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
Il quarto significato del Lam Rim lo si trova nell’approfondimento metodologico di tutti gli insegnamenti del Buddha in quanto strumento per raggiungere l’illuminazione.
A volte sorgono dubbi nella mente, timori che una determinata meditazione e istruzione di Dharma sia meno efficace di altri e non conduca all’illuminazione, ma queste paure e pensieri discriminanti sono sbagliati e negativi, perché tutti gli insegnamenti di Dharma sono ugualmente validi.
I quattro significati del Lam Rim aiutano e stimolano le persone che vedono la possibilità concreta di raggiungere determinati obiettivi affrontando i tre percorsi descritti chiaramente da Atīsa nella “Lampada sul sentiero dell’Illuminazione”.
I tre stadi di questo sentiero corrispondono a tre diversi gradi di capacità dei praticanti, piccola, media e grande, in modo che ognuno possa realizzare pienamente il livello corrispondente alle sue possibilità.
Nei versi terzo, quarto e quinto sono descritte le caratteristiche dei tre tipi di praticanti:
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
Lo scopo degli individui con capacità minori consiste nel desiderare una rinascita in una forma di vita superiore; non rinunciano al samsāra ma cercano di migliorarne la propria condizione, di accumulare meriti per una vita futura. E’ dunque evidente la loro attitudine e fine, e il metodo che dovranno applicare per raggiungere l’obiettivo è la pratica della moralità, che a sua volta è articolata in più gradi, e il praticante di basse capacità dovrà procedere in quello relativo all’osservanza delle dieci azioni virtuose di cui la prima è:
Salvare La vita. La formulazione “non uccidere” è limitativa e insufficiente, non corrisponde all’applicazione attiva dell’etica. La moralità è strettamente connessa ad amore e compassione, alla volontà di non danneggiare, e salvare la vita comprende entrambe le caratteristiche, non procurare danni ed essere di aiuto agli altri.
Delle dieci azioni virtuose, tre riguardano il corpo, quattro la parola e altre tre la mente.
Le tre azioni relative al CORPO sono:
salvare vite;
accettare solo ciò che ci è dato in modo corretto e donare;
mantenere una condotta corretta e casta.
Le quattro azioni relative alla PAROLA sono:
dire la verità.
pacificare le discordie;
parlare sempre gentilmente;
parlare solo di cose utili.
Le tre azioni relative alla MENTE sono:
gioire del benessere altrui
essere benevoli e amorevoli;
adottare punti di vista corretti
Le dieci azioni virtuose non sono norme limitative o coercitive, al contrario, sono indicazioni liberatorie, suggerimenti per il proprio e altrui bene; il Buddha ribadisce tenacemente che tutte le scelte possono e devono essere personali, nessuno può costringere, con sanzioni o coercizioni, altri a comportarsi in un determinato modo, fosse anche il migliore e più favorevole a loro. Ognuno deve essere pienamente e consapevolmente responsabile di se stesso.
Rinuncia, Compassione e Saggezza sono le tre azioni virtuose della mente. La rinuncia è la mente del non attaccamento, l’amore e la compassione sono la mente del non odio; e la saggezza è la mente della non ignoranza.
Le dieci azioni virtuose costituiscono la pratica fondamentale dei praticanti di capacità inferiore, che non condurrà immediatamente al nirvāna, né all’illuminazione, bensì ad una vita samsarica superiore.
Questo passaggio è inevitabile per chiunque desideri raggiungere il nirvāna o l’illuminazione; per poter fare un lungo viaggio in aereo è comunque necessario prima uscire di casa, incamminarsi verso la fermata dell’autobus o della metropolitana e poi con questo mezzo arrivare all’aeroporto, tutto avviene per gradi consequenziali.
Questa pratica è dunque basilare al fine di poter accedere agli altri due livelli.
Il Lam Rim non mostra il percorso come se fosse un blocco unico, ma ne evidenzia i diversi aspetti e sentieri guidando in modo efficace il praticante che, in base alle proprie capacità, li potrà percorrere agevolmente senza affaticarsi né confondersi, raggiungendo una tappa alla volta con le necessarie soste per il riposo rigeneratore.
E’ inoltre importante  comprendere il reale significato delle tre azioni virtuose della mente, infatti la rinuncia non sottintende l’abbandono del samsāra, ma piuttosto l’assunzione del necessario atteggiamento di non attaccamento; l’amore e la compassione non sono ancora la Grande Compassione, ma una mente priva di odio e di rabbia; e la saggezza non è riferita alla saggezza che realizza la vacuità, la realtà ultima dei fenomeni, ma semplicemente alla non ignoranza, mostra una mente non oscurata e appesantita dalle illusioni mondane.
Tutto ciò è connesso con azioni positive e che non arrechino danno, non violente, come salvare la vita, prendere soltanto quanto è offerto, avere relazioni interpersonali corrette, dire la verità, unire e portare armonia e mai discordia, rivolgere sempre parole ricche di gentilezza e non perdersi in chiacchiere futili, conversare solo su argomenti utili, e quest’ultimo suggerimento è particolarmente utile agli italiani che parlano moltissimo, di tutto e continuamente, e se non possono parlare si deprimono. Ma impegnando tempo in cose inutili accumuliamo energia negativa che sarà proprio causa di depressione quindi meglio imparare a tacere e dire l’esenziale solo quando è opportuno in modo da avere beneficio per se stessi e per gli altri.
Domanda: A proposito della bugia ho letto che il Dalai Lama ammette la possibilità, se ciò è per il bene dell’altro, di dire qualche bugia.
Lama: In questo caso non si tratta di bugia, perché è basata sull’atteggiamento di non voler recare danno a nessuno, anzi di aiutare. La bugia invece è determinata dall’attitudine di voler danneggiare, ingannare l’altro per un proprio vantaggio. Ciò che è detto con amore e compassione non potrà mai essere una bugia.
Domanda: Anche la questione del parlare inutilmente per noi italiani si avvicina alla questione delle bugie, perché per un italiano il non parlare con un’altra persona è quasi una dichiarazione di ostilità, a volte dire anche cose inutili può essere un segno di amicizia.
Lama: Il fare amicizia troppo velocemente ne snatura il valore, diventa qualcosa di superficiale; il parlare di tutto e di nulla, come ad esempio succede durante un viaggio in treno, può essere molto stancante oltre che inutile. 
Domanda: Cosa si intende esattamente con “capacità” perché quando leggiamo che gli individui si suddividono in tre gradi di capacità di praticare il Lam Rim pensiamo a qualcosa di statico, uno si trova in un punto e quello gli tocca…
Lama: Non c’è nulla di statico, ognuno può procedere in base a quanto maturato in quel momento e avanza gradualmente con il mezzo che gli è più appropriato, bicicletta, bus, treno, aereo, in questa o nelle prossime esistenze, forse il termine più corretto sarebbe attitudine, scopo, un obiettivo che può essere minimo, medio o alto.
Domanda: Il fatto di essere rinati in forma umana indicherebbe un’acquisizione di meriti nelle vite precedenti, in cui però potevamo essere anche in forma animale e, in questo caso, come avremmo potuto accumulare meriti?
Lama: E’ difficile spiegarlo è una questione sottile, noi non conosciamo il comportamento interiore degli animali, quali realizzazioni abbiano, ne vediamo soltanto la forma esteriore. A volte gli animali sono più pacifici degli esseri umani e in questo modo accumulano karma positivo, e non sono nemmeno rari i loro atti di dedizione e altruismo. Possiamo solo fare ipotesi, ma non abbiamo conoscenza di nulla.

Concludiamo con la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. IV).





Attitudini, Scopi e Mezzi dei tre livelli del Lam Rim


Sono molti i documenti Lam Rim e non è semplice scegliere, anche se, come abbiamo già detto, non si sbaglia mai cominciando dal testo radice di Atīsa “La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione”, di cui esistono vari commentari: Lama Tsong Khapa ha scritto “Il fondamento di tutte le qualità”, le versioni media ed estesa del Lam Rim e la versione breve conosciuta come “I Versi dell’Esperienza”, abbiamo poi “L’Essenza dell’Oro Sopraffino” del III° Dalai Lama e altri testi del V° Dalai Lama e del I° Panchen Lama; ognuno di questi ha proprie caratteristiche e qualità distintive perché, pur affrontando lo stesso tema, lo osserva da angolazioni diverse.
Durante gli incontri del mercoledi si sono affrontati altri scritti, alcuni capitoli del “Bodhisattvacaryāvatāra” di Sāntideva, “I Tre Aspetti Principali del Sentiero” di Lama Tsong Khapa e gli “Otto versi di Trasformazione della Mente” di Kadampa Geshe Langri Tangpa, e tutti contengono l’essenza del Lam Rim, rappresentano una ricchezza inesauribile, ed è magnifico aver questa possibilità di studiarlo, analizzarlo, approfondirlo e osservarlo da molteplici prospettive.
Il termine Lam Rim è tradotto nelle lingue occidentali come: “Stadi del Sentiero verso l’Illuminazione”, infatti è un lungo percorso, anche se suddiviso essenzialmente in tre fasi, potrebbe essere paragonato ad un edifico di tre piani, l’ingresso, al piano terra, immette ad una rampa di scale che porta al primo piano in cui si realizza il primo scopo, qui ci si ferma per riposare e recuperare energia in modo da affrontare in perfette condizioni la successiva rampa che porta al secondo piano, anche qui si sosta per riprendere fiato così da affrontare in condizioni ottimali la terza rampa raggiungendo l’ultimo piano.
Condurre una persona all’illuminazione tramite un cammino che prevede anche le pause è considerato un mezzo abile, ed è una caratteristica propria del Lam Rim, si consiglia di non correre onde evitare di non farcela, di cadere per le scale, ma si insegna a realizzare una fase alla volta, intervallando ognuna con necessarie soste che consentono di approfondire, riflettere, acquisire la consapevolezza della condizione in cui ci si trova, comprendere il significato di ogni rampa di scale e piano raggiunto, osservato, visto, esaminato, vissuto.
Ognuno dei tre livelli richiede attitudini, metodi e scopi differenti.
All’inizio non è possibile introdurre direttamente il concetto di bodhicitta, ma è necessario insegnare ad acquisire in modo costruttivo il benessere materiale, mondano, proprio perché il benessere samsārico è una buona base per accedere al benessere del nirvāna, le cui condizioni favorevoli costituiranno le cause necessarie per il raggiungimento dell’illuminazione.
Non c’è alcuna contraddizione tra le tre fasi, la prima, Lokayāna, pur essendo un sentiero spirituale pone le premesse per un benessere samsārico, mondano. La seconda fase, Hīnayāna, è propria di colui che ricerca la liberazione individuale e non è affatto in contraddizione con la terza fase, Mahāyāna, ma anzi ne costituisce l’indispensabile fondamento.
Il Lam Rim possiede questa preziosa caratteristica, dimostra che non esiste antinomia nel perseguire il benessere samsārico, il nirvāna e l’illuminazione, si devono affrontare tutti i tre aspetti.
Il Lam Rim presenta quattro proprietà, quattro significati speciali, quattro grandezze:
La prima proprietà è la capacità di capire che tutti gli insegnamenti del Buddha non sono in contraddizione tra loro, bensì complementari;
la seconda mostra che tutti gli insegnamenti del Buddha conducono all’illuminazione, sia il sentiero Lokayāna, che Hīnayāna, che Mahāyāna.
La terza è la profonda comprensione del percorso indicato dal Buddha in ognuno di questi insegnamenti.
La quarta è l’evidente impossibilità di formulare critiche nei confronti di qualsiasi via si segua. Nell’ambito della pratica buddista sono sorte scuole, correnti di pensiero, metodi e percorsi diversi, punti di osservazioni differenti, ma tutti convergenti nel cuore dell’insegnamento del Buddha e dunque reputare la propria pratica superiore a quella degli altri, oltre ad essere una visione profondamente errata, produce soltanto karma negativo.
Nel Lam Rim si comprende, vede e insegna l’assoluta equanimità e interrelazione tra ogni sentiero e livello, vi troveremo così le pratiche lokayāna, hīnayāna, mahāyāna, theravada, zen, di consapevolezza, ecc…
Tramite il Lam Rim si possono organizzare sistematicamente tutte le pratiche e ognuno è in grado di sapere quale affrontare in quel preciso momento e fase del suo cammino.
Lo stesso vale nel caso seguissimo altre religioni, potremmo arricchirle e integrarle, comprenderemmo che i suggerimenti offerti dalle religioni rientrano perfettamente nel Lam Rim del XXI° secolo.
Il Lam Rim è raccomandato agli esseri umani più intelligenti.
La tradizione kadampa è concentrata sul Lam Rim ed è caratterizzata dal profondo rispetto verso ogni devozione.
In questi giorni un amico mi ha mandato gli atti relativi ad un seminario interreligioso sul tema “Le religioni per la Pace”, e sono interessantissimi perché evidenziano le qualità di ognuna per l’armonia e la pace, dimostrando che si può sempre incrementare la propria conoscenza imparando dal Corano, dalla Bibbia, dalla Bhagavad Gita….
Se si studiano con mente aperta gli aspetti particolari evidenziati nelle diverse religioni la spiritualità ne è arricchita, ad esempio a me colpisce profondamente la lettura del Sermone della Montagna, nel Vangelo, è universale, non si contrappone con nulla. Anche nella Bhagavad Gita ci sono passi stupendi e assolutamente coerenti e condivisibili.
Tramite il Lam Rim possiamo cogliere i messaggi di ogni fede considerandoli mezzi preziosi che ci permettono di ottenere l’illuminazione.
Abbiamo paragonato il Lam Rim ad un edificio di tre piani, la prima scala ci porterà ad una vita superiore nel benessere samsārico, la seconda al nirvāna e la terza alla completa illuminazione.
Nella “Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione” con la definizione delle tre tipologie di individui si specificano l’attitudine e il metodo necessari per raggiungere l’obiettivo rappresentato da ogni piano dell’edificio:
gli individui con piccolo scopo;
gli individui con medio scopo;
gli individui con grande scopo.
Chiaramente queste tre tipologie non si riferiscono a tre soggetti diversi, bensì alla stessa persona che all’inizio del percorso si accinge a salire al primo piano, ottenendo un piccolo scopo, qui recupera fiato ed energie ed è nella condizione ottimale per accedere al secondo piano conseguendo così uno scopo medio, infine, dopo la necessaria sosta rigeneratrice, è in grado di raggiungere l’ultimo piano realizzando un grande scopo.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
E’ chiaro il concetto?
Domanda: Che significa esattamente cercare il piaceri dell’esistenza ciclica? Perché io posso desiderare di ubriacarmi, divertirmi, mangiare bene, oppure decidere che per me la buona vita è più tranquilla e modesta, c’è una differenza tra le due posizioni?
Lama: La persona che si ubriaca pensa che la follia sia gioia, ma in realtà non è così, è anzi l’esatto contrario, una momentanea perdita di controllo, un’ebbrezza che presto diventa dolore. La felicità nel benessere samsārico la si trova vivendo con giusti mezzi, senza arrecare danno ad altri e ciò è possibile soltanto tramite la pratica delle sei perfezioni:
La generosità favorisce il benessere materiale, l’etica basata sul non danneggiare gli altri apporta salute, la pazienza induce una vita piacevole, la perseveranza entusiastica favorisce una vita attiva, la concentrazione una vita produttiva e, infine, la saggezza una vita intelligente.
Il Buddha affermando che non occorre far altro che praticare le sei perfezioni per raggiungere il benessere samsārico, il benessere del nirvāna e il benessere dell’illuminazione, ha dato un insegnamento estremamente lineare e semplice, facile da capire, ma difficile da praticare, richiede un impegno estremamente serio.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
In questa definizione dell’individuo con capacità inferiore si evidenziano tre fattori: l’attitudine, il mezzo e lo scopo.
Lama: Qual è l’attitudine?
Risposta: Il benessere samsarico
Lama: Qual’è il mezzo?
Risposta: L’etica.
Lama: Qual’è lo scopo?
Risposta: Ottenere una vita superiore.
L’attitudine al benessere samsarico comporta l’aspirazione ad essere liberi dai regni inferiori, il mezzo per ottenerlo, l’etica, consiste nell’attuazione delle dieci azioni virtuose, e lo scopo è quello di migliorare progressivamente lo stato delle vite future.
Domanda: Una volta hai detto chiaramente che praticare per il benessere in questa vita non è praticare il Dharma, mentre praticare per ottenere benefici nelle prossime vite ha già riflessi positivi in questa, è così?
Lama: In questa vita abbiamo generato la giusta attitudine e dobbiamo dedicarci all’applicazione delle dieci azioni virtuose, i frutti si raccoglieranno nelle esistenze future.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Non appena abbiamo ottenuto la capacità di applicare le dieci azioni virtuose possiamo generare la successiva attitudine che consiste nell’abbandonare totalmente i piaceri del samsāra e la volontà di commettere azioni negative, desiderando fortemente la liberazione individuale. Ci troviamo così al secondo piano.
Qui entrano in gioco i tre aspetti principali del sentiero: rinuncia, bodhicitta e saggezza.
La prima attitudine è la rinuncia del lokayāna, che non si ottiene così facilmente, perché è necessario maturare il disgusto per i regni inferiori di cui si vedono con chiarezza tutti gli svantaggi. 
In un secondo passaggio si comprende che anche l’auspicata rinascita ad una vita superiore non è sufficiente per acquisire una pace permanente, e soltanto da questo momento si sviluppa l’autentico atteggiamento di rinuncia che consiste nel volgere definitivamente le spalle ai piaceri samsarici.
Il mezzo per realizzare la rinuncia è la pratica finalizzata a raggiungere il nirvāna e l’illuminazione, che il Buddha ha dettagliatamente articolato in trentasette principi a loro volta suddivisi in sette gruppi:
Le quattro consapevolezze o attenzioni ravvicinate;
I quattro puri abbandoni;
Le quattro membra miracolose;
Le cinque facoltà;
le cinque forze o capacità;
I sette rami dell’illuminazione;
Il nobile ottuplice sentiero.
Più avanti ci soffermeremo ad esaminare le trentasette pratiche, adesso procediamo nell’analisi dell’individuo con un grande scopo:
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
A questo punto si entra nel sentiero del Bodhisattva, ormai si è in grado di praticare le dieci azioni virtuose e i trentasette fattori per l’illuminazione, e dunque risulta evidente che non è più possibile limitarsi alla realizzazione personale, sarebbe egoistico e incongruente, quindi è necessario fare un ulteriore passo e procedere a trasformare l’attitudine della mente in Grande Compassione, Bodhicitta.
Grazie alla propria esperienza di sofferenza ci si impegna completamente per far cessare quella degli altri ed è una pratica magnifica!
Non avrebbe alcun senso restare inchiodati e concentrati soltanto sulle proprie sofferenze, anche perché è evidente che esse sono parte naturale e inevitabile del samsāra, dunque è necessario imprimervi un significato, trasformarle.
Il termine “Mahāyāna” non è un vuoto slogan pubblicitario, bensì una realtà concreta che conferisce significato alle sofferenze, è il nome attribuito all’attitudine di bodhicitta.
La bodhicitta è l’unica realtà in grado di convertire ogni sofferenza in una essenza significativa, preziosa, rara e magnifica.
Lo yogi che in punto di morte pregava ininterrottamente di poter rinascere negli inferi per accogliere su di sé il dolore di quegli infelici, rimuoverlo grazie al proprio stesso dolore, è uno stupendo esempio di bodhicitta.
La sofferenza diventa causa di eliminazione di altra sofferenza, questo è il Mahāyāna, il grande veicolo, la bodhicitta.
Per poter eliminare la pena altrui non dobbiamo necessariamente essere pieni di gioia, di salute, di ricchezze, anzi, possiamo essere anche la persona più umile e pasticciona e comunque avere la capacità di togliere la sofferenza degli altri grazie ad uno strumento che tutti possediamo: la nostra stessa sofferenza.
Il Bodhisattva non è colui che ostenta ricchezze e potere, questo sarebbe incoerente, il Bodhisattva è colui che elimina la sofferenza degli altri tramite la sua stessa sofferenza.
Il Tibet è stato rovinato, sia materialmente che spiritualmente, dagli stessi tibetani che con stupidità identificavano i Buddha e i Bodhisattva con i personaggi più influenti, ricchi e potenti.
Adesso, quando a livello internazionale si affronta il tema dei diritti umani, i tibetani denunciano giustamente le violazioni perpetrate nei loro confronti, però dimenticano che quando erano liberi nella loro terra, non riflettevano affatto sulla necessità di rispettare i diritti umani di tutti, anche se miseri, è una grande contraddizione.
Domanda: Vorrei fare una domanda, temo un po’ stupida, ma non comprendo come si possa essere utili agli altri quando si ha l’influenza, in che modo questo malanno può essere di beneficio a qualcuno?
Intervento: Vorrei provare a rispondere, l’atteggiamento che tu hai nei confronti del tuo malessere può essere un esempio e un conforto per gli altri, ci sono persone che hanno affrontato le malattie, anche gravi, con un sorriso carico di significato, motivo di speranza e di bene per gli altri.
Lama: C’è una pratica buddhista importantissima, il “Tong Len”, che significa “dare e ricevere” e, anche se non si è pienamente qualificati per attuarla completamente, è sempre auspicabile addestrare la mente in questo esercizio.
Questa pratica consiste nell’offrire ogni felicità e beneficio agli altri prendendo su di sé la loro sofferenza.
In genere quando abbiamo l’influenza ne siamo infastiditi, non maturiamo alcuna consapevolezza ed è un atteggiamento negativo, un vero spreco di possibilità di crescita interiore. In ogni circostanza, quando stiamo bene, o siamo ammalati, o abbiamo problemi, dovremmo sempre mantenere stabile e inalterata l’attitudine mentale della bodhicitta.
Ci sono tre tipi di sofferenza, l’influenza appartiene al più basso e grossolano, riguarda la sofferenza della sofferenza, il secondo livello, più profondo e meno evidente, è la sofferenza del cambiamento che si verifica in ogni esperienza, apparentemente gioiosa e che si trasforma inevitabilmente in dolore, come nel caso dell’assunzione di droghe o di alcool, e infine vi è la sofferenza più sottile, nascosta e devastante come un cancro, la sofferenza onnipervasiva, presente in ogni situazione samsarica e prodotta dalle illusioni mentali.
Le sofferenze grossolane, come la malattia, sono direttamente evidenti e quindi facilmente fronteggiabili ma, quanto più si scende nel profondo, tanto più sono sottili, nascoste e difficilmente riconoscibili.
La pratica del Tong Len non è rivolta particolarmente alla sofferenza della sofferenza o alla sofferenza del cambiamento, ma si concentra soprattutto sulla sofferenza che tutto pervade, oppure a tutte e tre congiuntamente.
Per i praticanti di Dharma l’influenza non è sofferenza, è anzi un’ottima opportunità per fermarsi, avere tempo per se stessi, curarsi, meditare, leggere.
Invece quando la forma fisica è buona si diventa immediatamente indaffaratissimi, le giornate sono zeppe di impegni, peraltro indotti dalla sofferenza sottile che tutto pervade, mascherata, ma più presente che mai. Ci si rifugia nella frenesia del fare per attutire l’insoddisfazione, il vuoto interiore che permea ogni istante della quotidianità.
E’ un circolo vizioso, in questo caso la sofferenza alimenta se stessa, riconoscerla non è sempre facile, ma indispensabile per poter eliminare quella degli altri attraverso la propria.
Domanda: Non mi è chiaro un passaggio, come posso concentrarmi nel desiderio di raggiungere l’illuminazione per me stesso e, soltanto in seguito, preoccuparmi dell’illuminazione altrui? Mi sembra egoistico, incoerente, perché non farlo contemporaneamente?
Lama: La bodhicitta non nega affatto che tu possa fare in ogni momento qualcosa di pratico per gli altri, anzi suggerisce di agire sempre in base alle proprie possibilità per il bene degli altri, però la bodhicitta ci dona anche la consapevolezza interiore delle reali capacità personali, impedendoci in questo modo di provocare danni con azioni insensate e non alla nostra portata.
Il Lam Rim è un edificio a tre piani in cui vivere bene, è una buona metafora, un mezzo abile per poter giungere all’illuminazione così da potervi portare gli altri, ma se prima tu non hai raggiunto l’obiettivo, come puoi pensare di accompagnarvi altri?
Le tre fasi della pratica sono caratterizzate da tre tipi di attitudini, di mezzi e di scopi e la loro riflessione è una meditazione analitica che rafforza il nostro cuore, la nostra intelligenza.

Grazie, concludiamo con la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. IV).






Sakya Pandita e il Dharma, essenza della quotidianità.


Sakya Pandita Künga Gyaltsen, nato in Tibet nel 1182 era un erudito filosofo e scrisse molti trattati tra cui i “Discorsi colloquiali”, (non so se esista la traduzione inglese), in cui raccoglie innumerevoli suggerimenti, uno di questi ricorda che:
“La vita è breve e ci sono moltissime cose da imparare, inoltre noi non conosciamo neppure quando avrà termine, tutto è impermanente. Un uccello acquatico tibetano ha l’abilità di distinguere il latte dall’acqua e se gli si porge una ciotola contenente latte annacquato, lui è in grado di separare le due sostanze bevendone una e lasciando l’altra. Cosi dovremmo saper fare anche noi, prendendo soltanto ciò che ci è necessario e lasciando tutto il resto.”
E’ un consiglio utilissimo e stupendo, è fondamentale saper distinguere gli aspetti della realtà senza mai sprecare il poco tempo a disposizione, questo è il Dharma, non dobbiamo vivere in un limbo, separati dagli eventi della quotidianità, bensì coglierne il senso profondo.
Il Dharma è l’essenza stessa della realtà, un concetto sostanziale da assimilare con grande chiarezza onde evitare di cadere nel ricorrente errore di cercare sempre qualcosa di diverso da dover fare, non è così, non è necessario cambiare o ignorare ciò che è parte integrante delle nostre condizioni di vita, al contrario dobbiamo viverlo pienamente con consapevolezza.
In Italia c’è una determinata cultura e uno stile di vita corrispondente, sarebbe veramente sciocco pensare di poter praticare il Dharma soltanto se trasformassimo abitudini e modalità copiando come pappagalli i tibetani, è un’illusione veramente sciocca. Eppure questo modo di pensare è frequente tra gli occidentali che se ne stanno a Dharamsala convinti che diventando come i tibetani realizzeranno facilmente e istantaneamente quel Dharma che non sanno praticare a casa loro. Non c’è nulla di più inutile e falso. 
E’ veramente buffo assistere a Dharamsala allo spettacolo degli occidentali che si acconciano, mangiano e bevono come i tibetani, sicuri di eliminare in questo modo le loro difficoltà a praticare il Dharma, mentre i tibetani si vestono in jeans e cercano di imitare gli occidentali.
Tutto questo è veramente uno spreco di energie, un gigantesco inganno, la pratica del Dharma non è trasformare lo stile di vita e le apparenze esteriori, ma trovarvi l’essenza profonda in ogni evento della normale quotidianità.
Dobbiamo cogliere consapevolmente ogni aspetto della realtà in ciò che affrontiamo giorno dopo giorno, questo è il Dharma, o meglio la vacuità, la verità ultima, la caratteristica principale di tutti i fenomeni.
La qualità specifica di tutti gli elementi, priva di ogni possibile dualismo, propria della sofferenza, del samsāra, del nirvāna, dell’illuminazione di tutti gli esseri viventi e dei Buddha, è il Mahāmudrā, lo Dzogchen, la proprietà ultima di tutti i fenomeni.
Su questo argomento ci sono infiniti dibattiti tra maestri tibetani, alcuni sostengono che il Mahāmudrā è la visione superiore a tutte, mentre altri affermano che è lo Dzogchen, e altri ancora che è la Chiara Luce, ma sostanzialmente non esiste nessuna differenza e simili argomentazioni sterili sono soltanto il risultato di chiusura mentale e di preconcetti culturali.
Tutto ciò che incontriamo nella vita ha in sé l’essenza del Dharma.
C’è un Dharma soggettivo che si rivela nell’osservazione dell’essenza di noi stessi, e un Dharma oggettivo che si evidenzia nell’essenza della realtà esterna.
Per scorgere l’essenza degli oggetti esterni dobbiamo prima essere in grado di cogliere l’essenza di noi stessi, riconoscere la nostra natura mancante di sé.
Non ha senso affermare che tutto ciò che ci circonda è vacuità se prima non abbiamo la consapevolezza che noi stessi siamo vacuità. 
Anche questo è un errore frequentissimo, spesso le persone parlano con troppa faciloneria della vacuità dei fenomeni, senza accorgersi di essere ancora schiavi di un potente ego e quindi assolutamente privi della realizzazione della propria vacuità.
Per acquisire la saggezza si deve prima realizzare la vacuità del sé e poi procedere all’analisi della mancanza di essenza, della vacuità dei fenomeni esterni.
Candrakīrti in una sua opera il cui titolo potrebbe essere tradotto con “Indagando sulla Via di Mezzo” scrisse una frase che in tibetano deve essere letta a partire dalla fine e che sostanzialmente cita: “lo yogi deve iniziare realizzando la vacuità di se stesso perché tutte illusioni e i problemi nascono dall’attaccamento al sé.”
Come ottenere la negazione del sé, la realizzazione della non esistenza di un sé inerente?
Prima di ogni altro passo è necessario identificare il sé e la sua negazione, ed è difficile. Finché ci limitiamo ad esaminare la vacuità degli oggetti esterni l’analisi è relativamente semplice, quasi vedessimo un film, ma tutto si complica quando si tratta di negare l’esistenza del proprio sé, sorgono istantaneamente paure, dolore, scoraggiamento, confusione, ma tutto ciò è un buon segno, perché significa che stiamo toccando la corda giusta.
La pratica del Lo Jong relativa alla purificazione mentale è stata illustrata da Geshe Chekawa nel suo trattato “Addestramento della mente in sette punti” in cui evidenzia in modo inequivocabile come la sofferenza e i problemi, che noi imputiamo ineluttabilmente a fattori esterni, siano in realtà tutti profondamente radicati nell’attaccamento al sé.
L’attaccamento al sé è strettamente connesso alla percezione illusoria di un sé inerente, autonomamente esistente.
Metaforicamente ci si potrebbe paragonare ad un computer, la concezione di un sé esistente è l’hardware, mentre l’attaccamento al sé è il software, collegandoli il programma comincia a girare dando vita al grande samsāra. Possiamo allora lanciarci in assurde guerre per difendere il Mahāmudrā, Dio, lo Dzogchen, la religione, ma tutto questo è solo moto del samsāra.
Combattere per il cibo potrebbe essere più ragionevole, ma combattere per questioni apparentemente spirituali è proprio assurdo e oltrettutto ci allontana sempre più dalla capacità di riconoscere che qualsiasi difficoltà, ostacolo, sofferenza, nasce in noi stessi e non da cause esterne.
Dobbiamo dunque ricordare che la sofferenza sorge e si fonda su due fattori: la percezione di un sé esistente in modo inerente, e l’attitudine ad aggrapparsi ad esso.
I due antidoti a queste condizioni sono la Saggezza e la Compassione, ma non servirebbe a nulla ripetere questi termini all’infinito senza mantenere la visione consapevole dei due fattori imputabili al sé e responsabili di tutta la sofferenza samsarica.
Questa è la ragione per cui dobbiamo praticare il Dharma, sapendo cogliere l’essenza della realtà.
Ora leggiamo fino al sesto verso “La lampada sul sentiero verso l’Illuminazione”
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
Nell’introduzione al Lam Rim, il cui significato ricordiamo è “stadi del sentiero verso l’illuminazione”, si indicano i tre tipi di praticanti a cui corrispondono i tre passi fondamentali che portano ai corrispettivi piani di un edificio.
Evidentemente le tre tipologie non sono riferite persone diverse, bensì allo stesso individuo che, una fase alla volta, percorre l’intero sentiero.
Al primo livello si ha una capacità piccola in cui si impara a rilassarsi e a concentrarsi sulla ricerca di una vita superiore, si sviluppano le capacità di praticare il Dharma in questa esistenza potenziando la motivazione alla rinuncia.
Tramite la rinuncia si inizia la salita al secondo piano e applicandosi nelle trentasette azioni per l’illuminazione si raggiunge la liberazione dal samsāra.
Nella rinuncia completa si ottiene la trasformazione della mente in bodhicitta e si è in grado di intraprendere il sentiero del Bodhisattva, che si articola in un percorso di dieci bhūmi (livelli o terre) e si applicano le dieci perfezioni. Attraverso queste pratiche si raggiunge la piena illuminazione.
Questa è la sintetica descrizione del passaggio attraverso gli stadi del Lam Rim.
Il percorso del Lam Rim comporta dunque la pratica delle dieci azioni virtuose, delle trentasette azioni per l’illuminazione e dei dieci bhūmi, in un costante sviluppo e trasformazione della mente e della sua motivazione.
La prima tappa è il Lokayāna, la seconda l’Hinayāna e la terza il Mahāyāna.
Non ci addentreremo in modo specifico nel Vajrayāna perchè incrementeremmo solo la confusione, infatti è indicato a praticanti che avendo eliminato l’ego, siano in grado di comprenderlo e praticarlo con purezza di cuore. Oltrettutto il Vajrayāna è già compreso nel Mahāyāna.
Le cinque fasi del sentiero Hīnayāna e del sentiero Mahāyāna sono rispettivamente parte di entrambi i percorsi e hanno le stesse denominazioni:
il sentiero dell’accumulazione;
il sentiero della preparazione;
 il sentiero della visione;
 il sentiero della familiarizzazione;
il sentiero del non più apprendimento.
Possiamo dunque dedurre che il Lam Rim è un cammino stupendo, ricchissimo, articolato e lungo.
In realtà esiste anche la possibilità di accelerarne l’andamento, ad esempio intraprendendo da subito la via Mahāyāna, però attenzione, ciò non significa saltare i precedenti gradini, questo sarebbe un errore catastrofico, lo si può fare solo in modo parallelo, praticare contemporaneamente il Mahāyāna e l’Hīnayāna, tutto dipende esclusivamente dalle capacità personali.
In questo caso non si raggiungerebbe prima il nirvāna e poi l’illuminazione, ma si otterrebbe l’illuminazione direttamente.
Ovviamente si deve sempre partire dalla base consolidata del Lokayāna, il benessere nel samsāra, e da qui sviluppare contemporaneamente la rinuncia e la bodhicitta allo stesso tempo, iniziando così la via Mahāyāna, articolata nei cinque passi relativi rispettivamente all’Hīnayāna e al Mahāyāna che comprendono i dieci bhūmi in cui sono incluse le trentasette pratiche per l’illuminazione.
Questa modalità è ugualmente un procedimento Lam Rim, la strada che porta all’illuminazione, soltanto si articola in modo diverso e non dipende da un particolare tipo di insegnamento, ma esclusivamente dalle capacità individuali.
La consapevolezza a questo riguardo è fondamentale, perché un altro frequente sbaglio degli occidentali è quello di voler realizzare in fretta l’obiettivo ricercando facili scorciatoie al di fuori di sé stessi, convinti che con un maestro potente si potrà istantaneamente ottenere ogni realizzazione senza sforzo personale.
Ma questo non è possibile, il maestro ha la grande responsabilità di guidare ciascuno secondo le individuali capacità.
L’insegnamento del Dharma potrebbe essere paragonabile ad un buffet in cui c’è grande offerta di cibo e ognuno sceglie ciò che gli è più confacente.
Se io vi promettessi di farvi raggiungere l’illuminazione in tre giorni ve ne andreste a casa rattristati perché evidentemente ciò è impossibile.
In realtà l’illuminazione giunge da sola, volerla in breve tempo e con aspettativa è un errore che ne vanifica la possibilità.
Colui che aspetta l’illuminazione non la raggiungerà mai, colui che non l’attende la otterrà.
Nel Lam Rim abbiamo due opportunità, un percorso lento e uno accelerato e intenso, secondo le nostre capacità sceglieremo quello adatto, il risultato finale è lo stesso.
Il Lam Rim incorpora anche la pratica Mantrayāna in cui sono racchiuse le istruzioni che portano un individuo all’illuminazione. Atīsa, nella “Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione”, illustra e chiarisce i punti chiave delle pratiche Sūtrayāna e Mantrayāna.
Un altro aspetto fondamentale del testo di Atīsa è la focalizzazione sulle modalità per addestrare la mente, per educarla e purificarla, in modo da eliminare tutte le emozioni conflittuali e permanere in uno stato di stabile e inattaccabile equanimità.
Se ci lasciamo sopraffare dalle forti emozioni di rabbia, attaccamento e ignoranza, la mente si irrigidisce, indurisce, ne è totalmente succube.
Ma se ci alleniamo a ridurre la rabbia, l’attaccamento e l’ignoranza la mente diverrà sempre più flessibile, aperta.
I pensieri che contrapponendosi alle emozioni conflittuali imprimono in noi questo potere sono la pazienza, la tolleranza, la compassione, la saggezza, e quando la mente è elastica possiamo rilassarci veramente.
Le istruzioni del Lam Rim che insegnano in modo diretto a soggiogare la mente eliminandone le rigidità, sono integrate dalle indicazioni di Nāgārjuna e Asanga, entrambi noti per esserne i pionieri.
I tre elementi fondamentali del Lam Rim che dobbiamo ricordare sono:
il Lam Rim contiene i punti essenziali del Sūtrayāna e del Mantrayāna;
il Lam Rim si focalizza sul metodo per soggiogare la mente, non secondo speculazioni filosofiche, ma con indicazioni precise e dirette atte a eliminare ogni staticità e rigidità. Ovviamente si tratta di controllare e cambiare la propria mente, non quella degli altri, anche se in occidente tutta la pubblicità, tendente a commercializzare qualsiasi prodotto, anche gli insegnamenti di Dharma, potrebbe suggerire l’acquisizioni di poteri volti all’esterno, “conosco il Lam Rim quindi posso influire sulla mente altrui!...” No, non funziona così. Qualcuno vorrebbe imporre questa mentalità mercantile anche in Asia e stanno aumentando gli opuscoli che reclamizzano insegnamenti di Dharma dai veloci e magici effetti sugli altri, ma questo è estraneo alla cultura orientale e suscita solo ilarità;
gli insegnamenti Lam Rim sono integrati dalle istruzioni di Nāgārjuna e di Asanga.
Le istruzioni Lam Rim presentano a loro volta quattro caratteristiche che spiegano la purezza e la pienezza di tutto l’insegnamento del Buddha.
Gli insegnamenti del Buddha sono completi e privi di contraddizioni, ogni livello, ogni sentiero è perfetto e conduce all’illuminazione.
Il Lam Rim inoltre induce a comprendere che l’insieme della dottrina del Buddha è costituita da istruzioni per la pratica.
Nel Lam Rim si riconosce la facoltà degli insegnamenti del Buddha di permettere la realizzazione, senza errori, del benessere umano.
Gli insegnamenti del Buddha non consistono solo in parole o lezioni, ma contengono tutti i fattori fondamentali che mostrano con chiarezza ciò che dovremmo sapere esattamente, realizzare perfettamente e meditare completamente, e ciò che dovremmo invece abbandonare definitivamente.
E’ necessario comprendere che tutti gli insegnamenti del Buddha sono liberi da contraddizioni e conducono l’individuo all’illuminazione. Uno dei più gravi errori in cui si potrebbe incorrere è pensare: “io sono un praticante Mahāyāna e quindi non ho bisogno di praticare l’Hīnayāna…”, perché i Bodhisattva, che hanno praticato i livelli più elevati del Mahāyāna, hanno pienamente percorso l’Hīnayāna.
I Bodhisattva hanno realizzato ogni sentiero che conoscono perfettamente dovendo accompagnare gli esseri all’illuminazione e aiutarli a comprendere qual è la via a loro più congeniale.
Ci saranno esseri che percorreranno l’Hīnayāna, altri il Mahāyāna e altri ancora entrambi contemporaneamente, ognuno dovrà saper valutare quale via è confacente alle sue capacità, e non pensare di sfruttare le realizzazioni di altri.
E’ possibile incontrare un maestro che avrebbe tutte le qualità per condurci attraverso il Mahāyāna, ma se le nostre capacità personali ci permettono di compiere l’Hīnayāna, il maestro ci condurrà su questo sentiero.
Atīsa ad esempio ha ricevuto l’insegnamento Mahāyāna sulla bodhicitta dal maestro Serlingpa che proveniva dall’isola di Sumatra e praticava l’Hīnayāna; non vi alcuna contraddizione in questo perchè la via da seguire è determinata esclusivamente dalle capacità personali di chi la percorre e si possono ricevere dai maestri tutte le istruzioni con grande semplicità.
Sarebbe magnifico se avessimo tanta umiltà da saper accogliere con cuore gioioso insegnamenti dai maestri delle diverse religioni, i cristiani dai buddhisti e viceversa, e, all’interno stesso del buddhismo, essere aperti ai doni di conoscenza offerti da tutte le tradizioni zen, tibetana, chan, theravāda, ecc…
Le istituzioni oggi sono irrigidite, chiuse, e tutto ciò è utopico, se si volesse attuare questa grande apertura si sarebbe immediatamente estromessi da ogni culto con l’accusa di contaminare i principi della fede, del Dharma…..
Ma sarebbe comunque importante provare, iniziando con piccoli gesti, senza doversi procurare permessi preventivi né autorizzazioni. Gandhi ha avuto questo coraggio e nessuno dubita della sua saggezza. Allo stesso modo San Francesco ha cominciato con incredibile umiltà, senza nulla, spoglio di tutto, noi invece ricerchiamo insistentemente l’approvazione dei potenti, vogliamo fare subito grandi cose, in un atteggiamento profondamente contrario al Dharma.
I praticanti del Dharma devono avere il coraggio di agire nella semplicità, nel poco, perché sarebbe davvero assurdo pensare che sia necessaria un’autorizzazione e un certificato per raggiungere l’illuminazione.
L’atteggiamento ordinario è terribile, funzionale ad un potere istituzionale che tende a controllare e soggiogare la mente delle persone e che rappresenta il maggior impedimento alla genuina pratica del Dharma.
Il Dharma è un dono assolutamente gratuito e dunque se qualcuno ve lo offre in cambio di denaro compie una evidente grave corruzione, spaccia la necessità di imprimervi il copyright, questo è uno dei tremendi aspetti della società moderna da cui, in questo caso, dovremmo saper prendere le distanze.
Riassumendo, le quattro caratteristiche del Lam Rim specificano che:
Tutte le istruzione del Buddha sono esenti da contraddizioni.
Tutti gli insegnamenti del Buddha sono istruzioni, metodi diretti per raggiungere l’illuminazione.
Il Lam Rim permette di comprendere direttamente e immediatamente il significato del pensiero del Buddha.
Seguendo le istruzioni del Lam Rim si è esenti dal pericolo di ciò che è tradotto come “la grande rovina”, cioè l’errore gravissimo di screditare alcuni insegnamenti del Buddha rispetto ad altri che invece vengono esaltati e reputati superiori.
In questo contesto ci riferiamo in particolare alle istruzioni del Buddha, ma in realtà potremmo estendere queste riflessioni a tutti gli insegnamenti spirituali e sarebbe uno sbaglio altrettanto grave discriminare le altre religioni.
Le caratteristiche del Lam Rim sono valide sia in ambito buddhista che in quello delle diverse espressioni spirituali.
Così è il Lam Rim globale del XXI° secolo e cercare di applicarlo è importantissimo, noi dobbiamo esserne i pionieri, altrimenti ci limiteremmo a ripetere pigramente e senza sforzo quello che hanno detto altri, Atīsa, Lama Tsong Khapa, San Francesco e tanti ancora, insegnamenti assolutamente sublimi, ma noi dobbiamo costruire qualcosa che risponda alle esigenze del mondo attuale.
Buddha non aveva riferimenti alle sue spalle, non aveva immagini a cui raccomandare e delegare il proprio sviluppo spirituale, al contrario di noi che invece ci circondiamo di statue e dipinti perché non abbiamo fiducia nelle nostre possibilità e cerchiamo sempre all’esterno i punti di appoggio.
Gandhi nella sua stanza non aveva nessuna immagine sacra, soltanto una statua rappresentante tre scimmie di cui una si tappava la bocca, l’altra le orecchie e la terza gli occhi, e questo era il suo strumento di meditazione, per rammentare la necessità di non guardare, ascoltare o parlare a vanvera, ma fermare la mente soltanto su ciò che è proficuo e necessario.
L’equivalente di questa raffigurazione è presente nel Dharmapāda in cui ci sono i voti dell’ascoltare, del vedere e del parlare.
Ci sarebbero ancoro molto da dire sul Lam Rim ma è opportuno procedere lentamente e prima di concludere leggiamo, riflettendo, “I Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong Khapa (V. testi annessi pag. XII).

Non dovremmo mai trascurare l’esigenza di far sorgere in noi la motivazione altruistica, perché praticare il Dharma esclusivamente per un proprio tornaconto è senza senso, una contraddizione, mentre dedicarlo gioiosamente al bene di tutti gli esseri senzienti apporta grandi benefici. Praticare il Dharma significa riconoscere il valore degli altri e agire con motivazione altruistica.






Le quattro caratteristiche del Lam Rim


Il Lam Rim, ovvero gli stadi verso l’illuminazione, è caratterizzato da quattro punti fondamentali che gli studenti devono sempre tenere a mente:
il primo riguarda la grandezza dell’autore, le sue origini nobili;
il secondo concerne il rispetto rivolto alle istruzioni di cui si riconosce l’immenso valore;
il terzo indica le modalità corrette di ascolto e di insegnamento;
il quarto è riferito alle istruzioni centrali del Lam Rim e mostra come condurre attraverso i vari stadi il praticante all’illuminazione.
Per addentrarci nell’analisi di queste categorie leggiamo insieme i “Versi dell’Esperienza” che sono un’ottima guida alla loro comprensione (V. testi annessi pag. XII).
Fino al verso quinto si rende omaggio al lignaggio dei guru e a coloro che hanno insegnato il Lam Rim, è dunque un elogio a colui che ne è riconosciuto l’autore principale, Atīsa.
Atīsa a sua volta fonda il suo insegnamento sul testo di Maitreya “l’Ornamento della Chiara Realizzazione”.
Le istruzioni del Lam Rim sono espresse in modo generale nell’“Ornamento della Chiara Realizzazione” di Maitreya, e poi sviluppate e dettagliate da Atīsa nella “Lampada sul Sentiero dell’Illuminazione”.
Inoltre le radici originali che hanno ispirato il testo di Maitreya derivano direttamente dal Buddha Sākyamuni che ha insegnato il Prajñāpāramitāsutra. Questo testo primario è presentato in tre versioni: la lunga, composta da centomila śloka (termine tradotto con stanze); la media, da venticinquemila; e la più corta, da ottomila.
Dunque il primo vero autore del Lam Rim è in effetti il Buddha Sākyamuni, in seguito Nāgārjuna ne ha diffuso l’insegnamento nei commentari che costituiscono il Mādhyamika e in cui tratta fondamentalmente della vacuità.
Ci sono due livelli di interpretazione del Prajñāpāramitā, quello della visione e quello della pratica.
Il livello della visone tratta della vacuità del sé e dei fenomeni, dunque non come realtà a sé stante, ma in relazione all’analisi dell’oggetto, che è vacuo.
Il Sūtra del Cuore, che è una forma breve di Prajñāpāramitā, riconosce la vacuità della forma, delle quattro nobili verità, dei sentieri, dimostrando direttamente la vacuità di tutti i fenomeni, se però ci addentriamo in profondità, mostra altrettanto direttamente gli insegnamenti del Lam Rim nell’organizzazione dei cinque sentieri:
il sentiero dell’accumulazione;
il sentiero della preparazione;
il sentiero della visione;
il sentiero della meditazione;
il sentiero del non più apprendimento.
Nel Sūtra del Cuore la spiegazione della vacuità e le istruzioni per procedere nei cinque sentieri sono un perfetto esempio dell’applicazione del Lam Rim.
Il Sūtra del Cuore è l’essenza dell’intero Prajñāpāramitāsūtra.
Il Prajñāpāramitāsūtra è stato interpretato da Nāgārjuna al primo livello, quello della vacuità, mentre Maitreya ha individuato le istruzioni nascoste dei sentieri che costituiscono il Lam Rim; entrambi analizzano lo stesso sūtra, ma il primo pone in risalto l’aspetto esteriore che appare più evidente, in superficie, e il secondo affronta la parte più nascosta, interna.
Per questo si dice che principalmente Nāgārjuna ha interpretato l’aspetto della visione del Prajñāpāramitāsūtra, mentre Maitreya ha colto e sviluppato il livello della pratica, le istruzioni nascoste.
Il Buddha articola sempre gli insegnamenti su più piani e, in questo caso, mentre insegna la vacuità offre contemporaneamente le istruzioni del Lam Rim. Riconoscendone il valore rendiamo omaggio al Buddha che ne ha posto le radici, a Mañjusrī e a Maitreya che lo hanno diffuso.
Nāgārjuna non ha ricevuto le istruzioni direttamente dal Buddha, che non ha conosciuto personalmente, ma da Mañjusrī.
Quando ci si riferisce a Mañjusrī non ci si deve confondere, perché il nome è unico, ma le sue manifestazioni sono diverse, così come avviene con Avalokitésvara.
Ne abbiamo un esempio nel Sūtra del Cuore relativamente al dialogo tra Sāripūtra, inteso come essere umano ordinario, e Avalokitésvara, che generalmente è visto come divinità, ma non in questo contesto, in cui è il Bodhisattva Avalokitésvara è in forma di monaco.
Per quanto riguarda la trasmissione delle istruzioni Lam Rim invece non ci si riferisce al Bodhisattva Mañjusrī in forma umana, ma lo si visualizza come divinità che ha ricevuto gli insegnamenti direttamente dal Buddha affinché li possa divulgare agli esseri umani nel giusto momento secondo le loro necessità.
Queste sono le vie mistiche del buddhismo Mahāyāna e anche gli esseri umani che, non avendo trovato un maestro, abbiano però maturato la giusta attitudine, potrebbero ricevere da Mañjusrī il lignaggio degli insegnamenti del Buddha.
Il Buddha istruiva tutti, gli esseri umani, i deva e i nāga.
Il lignaggio inizia con il Buddha e prosegue con Maitreya, Mañjusrī, Asanga e Nāgārjuna che scrive il “Mādhyamikamūlakārikā”, tradotto generalmente con “I Versi sulla Saggezza Fondamentale”, un commentario al Prajñāpāramitāsūtra in cui si tratta essenzialmente del livello più esterno della vacuità.
In questo contesto Maitreya, è un deva, il re della terra pura di Tusita in cui Asanga si è recato appositamente per ricevere direttamente quelle istruzioni che a sua volta avrebbe offerto agli esseri umani al suo ritorno in questo mondo.
La trasmissione dell’insegnamento procede dunque da Buddha a Maitreya e da Maitreya ad Asanga.
Esistono parecchi racconti a questo proposito e capisco che per gli esseri ordinari sia difficile comprendere le modalità di passaggi così misteriosi.
Da Asanga e Nāgārjuna inizia il lignaggio diretto agli esseri umani.
Nel primo dei “Versi dell’Esperienza” si rende omaggio al Buddha Sākyamuni per avere insegnato il Prajñāpāramitāsūtra:
Mi prostro davanti a te, Buddha, capo della stirpe dei Sakya. Il tuo corpo illuminato è generato da decine di milioni di virtù positive e perfette realizzazioni; la tua parola illuminata esaudisce i desideri di innumerevoli esseri; la tua mente illuminata vede tutto l’esistente nella sua vera natura.
Mi prostro davanti a voi, Maitreya e Mañjusrī, supremi figli spirituali di questo impareggiabile maestro. Assumendovi la responsabilità di favorire tutte le azioni illuminate del Buddha, voi inviate emanazioni a innumerevoli mondi.
Il secondo verso sottolinea la responsabilità assunta da Maitreya e da Mañjusrī di preservare gli insegnamenti del Buddha, tanto che, anche se il lignaggio umano si interrompesse, esiste sempre la possibilità di riottenerlo direttamente dai due discepoli che proprio per questo sono i più importanti, fonte preziosa per tutta l’umanità e, nello specifico, divinità incaricate di conservare e trasmettere in ogni momento agli esseri umani la dottrina del Buddha.
Essi appaiono in infiniti mondi in modo miracoloso al fine di trasmettere queste istruzioni, Mañjusri ha l’incombenza di preservare il sentiero della visione profonda e Maitreya quello della pratica vasta.
Spesso le critiche rivolte alla tradizione Mahāyāna riguardano questo aspetto misterioso di trasmissione del lignaggio che non è facilmente accessibile alle persone comuni.
Mi prostro davanti ai vostri piedi, Nāgārjuna e Asanga, ornamenti del nostro mondo. Grandemente famosi in tutti i Tre Reami, avete commentato la “Madre dei Buddha”, la più difficile da comprendere, rivelando esattamente il suo vero significato.
La “Madre dei Buddha” è il Prajñāpāramitāsūtra perché contiene la saggezza. Il Buddha nasce dalla saggezza e per questo Mañjusrī, il professore assiso sul trono della saggezza, è il maestro del Buddha.
Il Buddha riceve da Mañjusrī gli insegnamenti della saggezza e li trasmette a tutti gli esseri senzienti, compreso lo stesso Mañjusrī, che li preserva e diffonde in tutti i tempi.
Mañjusrī genera il Buddha che insegna adeguandosi alle capacità degli esseri umani, e Mañjusrī preserva ogni tipo di insegnamento dato in ogni tempo, quindi il legame tra loro è inscindibile.
Nell’insegnamento del Prajñāpāramitāsūtra la saggezza consiste nell’aiutare gli esseri senzienti.
Nāgārjuna ha insegnato il Mūlamadhyamakakārikā che è il fondamento della saggezza del Prajñāpāramitāsūtra focalizzato sul piano più esterno, quello della vacuità.
Asanga ha scritto vari testi, ma il suo compito principale consisteva nell’insegnare agli esseri umani i cinque trattati Mahāyāna composti da Maitreya e da lui ricevuti nel mistico viaggio nella terra pura di Tusita.
I cinque trattati sono:
l’Ornamento del sūtra;
l’Ornamento della chiara realizzazione;
L’Analisi sulla vacuità;
l’Analisi del centro e degli estremi;
l’Analisi del lignaggio supremo che tratta della natura del Buddha.
I due testi, “Il fondamento della saggezza” di Nāgārjuna e “l’ornamento della chiara realizzazione” di Maitreya, costituiscono un commento completo al Prajñāpāramitāsūtra che ha contenuti nascosti.
Mi inchino a Dipamkara Atisha, titolare di un tesoro di insegnamenti. Vi sono inclusi tutti i punti completi, senza errori, che riguardano i sentieri della visione profonda e dell’azione estesa, trasmessi inalterati dai suoi due grandi precursori.
Dai due grandi pionieri, Nāgārjuna e Asanga, avanzano i due lignaggi, della Visione e della Pratica Vasta, ed entrambi sono pienamente dominati da Atīsa che, pur non avendoli ricevuti direttamente, li ha avuti da molti qualificati maestri.
Atīsa è una figura importantissima perché possiede entrambi i lignaggi, della visione e della pratica e proprio per questo è considerato l’autore del Lam Rim.
Abbiamo analizzato il primo punto relativo alla grandiosità dell’autore e le sue origini nobili.
La conoscenza dell’autore non corrisponde al concetto occidentale di biografia, è più una agiografia, non deve infatti contenere i dettagli irrilevanti della vita o esaltazioni tendenti alla manipolazione delle coscienze, bensì pone in evidenza la bontà delle azioni compiute in modo da indurre ammirazione e rispetto nelle persone che ne potranno trarre beneficio.
Atīsa nacque in Bangladesh, studiò le arti, buddhiste e non, fino a ventun’anni diventandone un esperto; a ventinove anni, per otto anni, ricevette speciali istruzioni e apprese la filosofia buddhista e, malgrado le sue non comuni capacità impiegò ben dodici anni nell’assimilazione della più ampia versione dell’Abhidharma, tradotta in cinese ma non in tibetano. Questa opera vastissima era studiata dai più famosi eruditi dell’epoca e Vasubandhu, il fratello minore di Asanga, ne ha estrapolato l’essenza nel suo testo “Abhidharmakośa”.
Oltre all’apprendimento della pura visione Atīsa, che in tutto ebbe dodici maestri, ricevette il sentiero della vasta pratica dal guru Serlingpa a Sumatra, addestrandosi nella compassione e sviluppando la bodhicitta.
Atīsa viaggiò per altri sedici anni visitando innumerevoli luoghi, soprattutto in Tibet per insegnare e rinnovare il Dharma che si era quasi completamente perduto.
Questi sono solo alcuni elementi della sua storia, rappresenta una figura centrale per i tibetani, ed è interessantissimo esaminare ogni evento connesso all’invito ricevuto dal re, al suo arrivo in Tibet, e alle cause che lo hanno indotto a comporre “La lampada sul sentiero verso l’illuminazione”.
Abbiamo analizzato il primo punto del Lam Rim che consiste nel mostrare la grandezza dell’autore  e delle sue origini nobili.
Le quattro categorie del Lam Rim sono molto importanti e anche meditandone una soltanto è come se si meditassero tutte.
In breve possiamo dire che le quattro categorie: la grandezza dell’autore, la grandezza degli insegnamenti, il modo di ascoltare e insegnare, e infine i mezzi per condurre all’illuminazione un discepolo, comprendono l’intero Lam Rim e noi dovremmo sempre tenerle a mente come se fossero il nostro mantra.

Concludiamo con la preghiera di dedica. (V. testi annessi pag. IV).






I punti abbreviati del sentiero gradualeLam Rim Bsdus Dön


Leggiamo “I tre aspetti Principali del Sentiero” (V. testi annessi pag. I).

Ora riprendiamo il testo fondamentale del Bsdus Dön “I Versi dell’Esperienza” di Lama Tsong Khapa (V. testi annessi pag. XII).
I primi cinque versi raccolgono l’omaggio ai Maestri:
Mi prostro davanti a te, Buddha, capo della stirpe dei Sakya. Il tuo corpo illuminato è generato da decine di milioni di virtù positive e perfette realizzazioni; la tua parola illuminata esaudisce i desideri di innumerevoli esseri; la tua mente illuminata vede tutto l’esistente nella sua vera natura.
Mi prostro davanti a voi, Maitreya e Mañjusrī supremi figli spirituali di questo impareggiabile maestro. Assumendovi la responsabilità di favorire tutte le azioni illuminate del Buddha, voi inviate emanazioni a innumerevoli mondi.
Mi prostro davanti ai vostri piedi, Nāgārjuna e Asanga, ornamenti del nostro mondo. Grandemente famosi in tutti i Tre Reami, avete commentato la “Madre dei Buddha”, la più difficile da comprendere, rivelando esattamente il suo vero significato.
Mi inchino a Dipamkara Atīsa, titolare di un tesoro di insegnamenti. Vi sono inclusi tutti i punti completi, senza errori, che riguardano i sentieri della visione profonda e dell’azione estesa, trasmessi inalterati dai suoi due grandi precursori.
Mi prostro rispettosamente davanti ai miei maestri spirituali. Voi siete gli occhi che ci permettono di comprendere tutte le infinite affermazioni delle scritture, il miglior guado degli esseri fortunati che avanzano verso la liberazione. Voi rendete chiaro ogni argomento tramite i vostri abili mezzi, motivati da un’intensa preoccupazione amorevole.
Con la frase “Prendo rifugio, rendo omaggio al mio Guru che è l’incarnazione dei tre gioielli” inizia il commentario Lam Rim intitolato “Oro Raffinato”.
Il Guru a cui si riferisce può essere sacerdote, monaco, laico, donna, uomo, chiunque sia l’incarnazione dei tre gioielli, Buddha, Dharma e Sangha, gli si chiede la benedizione che consiste nella possibilità di trasformare il proprio cuore grazie a questa ammirazione incondizionata.
Chi intende imprimere senso alla propria esistenza deve seguire l’essenza degli insegnamenti del Buddha, il sentiero seguito dagli Ārya dei tre tempi, la tradizione dei pionieri Nāgārjuna e Asanga, la via che conduce allo stato di onniscienza, di liberazione, comprensiva degli stadi relativi ai tre tipi di praticanti.
Seguire ogni tappa del sentiero verso l’illuminazione è una particolarità del Lam Rim assolutamente necessaria a coloro che vogliono fortemente rendere la loro vita proficua e significativa.
E’ necessario praticare il Lam Rim perché possiede quattro caratteristiche fondamentali:
è l’essenza completa dell’insegnamento del Buddha;
è l’unica via seguita dagli Ārya dei tre tempi;
è il sentiero approfondito, spiegato e applicato dai due pionieri Nāgārjuna e Asanga;
è il cammino che conduce allo stato dell’illuminazione i tre i tipi di praticanti.
In questi versi si spiega cos’è il Lam Rim, l’autentica fonte proveniente dal Buddha e tramandata da Nāgārjuna e Asanga, in grado di soddisfare tutti i desideri, è così il re dei gioielli, l’oceano in cui confluiscono tutti i fiumi, Hīnayāna, Mahāyāna, Sūtrayāna, Mantrayāna, comprende tutte le vie e dunque è completo.
Il Lam Rim è una pratica facilmente gestibile perché insegna come domare la mente, ed è importante tenere costantemente presenti queste sue caratteristiche essenziali.
Anche il metodo dell’insegnamento del Lam Rim è articolato in quattro capitoli.
Il primo capitolo evidenzia la grandezza dell’autore, mostrando nel contempo la grandezza delle sue fonti originarie.
Come abbiamo già visto precedentemente, in generale quando ci si riferisce all’autore del Lam Rim si intende Atīsa che ha scritto “La lampada sul sentiero che conduce all’illuminazione”, però non bisogna dimenticare che questo testo è stato ispirato dall’opera di Maitreya “L’Ornamento della Chiara Illuminazione” che, a sua volta, è conseguente all’insegnamento diretto del Buddha contenuto nel “Prajñāpāramitāsūtra”.
Seguendo questi passaggi abbiamo la prova dell’autenticità dell’insegnamento Lam Rim trasmesso dal Buddha a Maitreya ad Asanga e a tanti altri maestri non menzionati. Atīsa attinge alle due tradizioni che si rifanno ad Asanga e a Nāgārjuna e, nei “Versi dell’Esperienza” Lama Tsong Khapa riafferma l’omaggio ad Atīsa in quanto detentore del tesoro di insegnamenti che comprendono la Visione Profonda e la Pratica Vasta, entrambe definite da Nāgārjuna e Asanga e, prima ancora, dal Buddha.
Il secondo capitolo mostra, inducendo ammirazione e rispetto, la potenza delle istruzioni del Lam Rim che si manifestano in due aspetti, uno è relativo alle tre grandezze dell’insegnamento e l’altro alle quattro caratteristiche delle istruzioni.
E’ importante ricordare che il Lam Rim possiede le chiavi degli insegnamenti completi Sūtrayāna e Mantrayāna e custodisce i tre veicoli buddhisti, in modo da non cadere nel comune fraintendimento, diffusissimo anche tra persone erudite e studiosi in ambito buddhista, che ritiene il Lam Rim una pratica estremamente semplice e limitata.
In quest’epoca di “civilizzazione” estrema il Lam Rim è fondamentale e necessario.
“L’Ornamento alla chiara realizzazione” di Maitreya è il commento alla parte segreta della Madre del Buddha ovvero il Prajñāpāramitāsūtra.
“La lampada sul sentiero verso l’illuminazione” di Atīsa è simile ad una mappa archeologica che permette di scoprire inestimabili tesori.
E’ dunque necessario non scordare mai le tre grandezze del Lam Rim:
Contiene tutte le istruzioni sia Mantrayāna che Sūtrayāna;
E’ facile da praticare, perché l’insegnamento si focalizza su come dominare, sottomettere e addestrare direttamente la mente, senza doversi cimentare in complesse disquisizioni filosofiche, ma restando semplicemente ancorati alla realtà. La sua utilità emerge nel momento stesso in cui lo si pratica perché gli stadi del sentiero si accordano e adeguano prontamente al livello dello sviluppo personale;
Infine il Lam Rim descritto da Atīsa è ornato dalle istruzioni dei due pionieri Nāgārjuna e Asanga.
Proseguiamo nella lettura dei “Versi dell’Esperienza”:
Gli stadi del sentiero verso l’illuminazione sono stati trasmessi intatti da coloro che si sono succeduti a Nāgārjuna e Asanga, gioielli che adornano la corona di tutti gli eruditi maestri del mondo, lo stendardo della loro fama sventola al di sopra delle masse. Dato che, seguendo questi stadi, si può soddisfare ogni desiderio di tutti gli esseri viventi, sono simili ad un re che concede il potere del prezioso insegnamento. Inoltre, poiché raccolgono il flusso del pensiero di migliaia di classici eccellenti, in effetti sono un oceano di sublimi e corrette spiegazioni.
In questo verso sono descritte le tre grandezze del Lam Rim, contenute negli ornamenti preziosi degli insegnamenti di Nāgārjuna e Asanga. Nell’affermazione che è il re dei gioielli in grado di soddisfare tutti i desideri del genere umano e oceano di sublimi e corrette spiegazioni, sottolinea la seconda grandezza determinata dalla padronanza delle istruzioni Sūtrayāna e Mantrayāna e dei tre veicoli.
In questa lettura è sempre necessario cogliere la connessione tra le tre grandezze del Lam Rim.
Il Lam Rim non è affatto diffusamente conosciuto, persino in alcuni centri di Dharma lo si considera solo una pratica preliminare per principianti, ma questo è un gravissimo errore che impedirà di raggiungere l’illuminazione e tantomeno di potervi accompagnare altri.
Il Lam Rim è completo, ha tutte le istruzioni, dall’inizio alla fine.
Nei monasteri, solo dopo aver studiato per diciotto - venticinque anni tutte le opere classiche, si affronta lo studio del Lam Rim, riconosciuto come contenitore del tesoro in cui riporre tutte le istruzioni apprese fino a quel momento. Dunque non è affatto un insegnamento preliminare, anzi è a completamento della formazione spirituale.
Abbiamo già affrontato le quattro caratteristiche del Lam Rim trattate nei versi che seguono:
Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva e ti proteggono dall’abisso del grande errore. Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?
Le quattro caratteristiche evidenziano dunque che:
Tramite le istruzioni di Atīsa si comprende che tutti gli insegnamenti del Buddha conducono all’illuminazione, è necessario semplicemente conoscere il proprio livello e applicare la pratica adeguata.
In secondo luogo si ha consapevolezza che le istruzioni insegnano il metodo per domare la mente mentre la pratica è indispensabile per assimilare ciò che si studia. Tramite l’assimilazione del Lam Rim si può comprendere il messaggio di Nāgārjuna e attivare il controllo della mente.
Spesso cadiamo nell’errore di credere che l’oggetto di studio sia qualcosa di diverso da ciò che dobbiamo fare per calmare e domare la mente, ma nel Lam Rim questa barriera di distinzione fittizia è abbattuta, comprende che per addestrare la mente ogni conoscenza, ogni lezione di Dharma, deve essere praticata.
Il terzo punto dimostra che tramite il Lam Rim si assimila la sostanza di tutti i grandi insegnamenti, e già attraverso l’analisi della intensa sintesi esposta da Atīsa, è possibile comprendere il messaggio contenuto nel “Ornamento della chiara realizzazione” e nel “Prajñāpāramitāsūtra” e afferrare facilmente e immediatamente l’eccelso pensiero del Buddha.
La quarta caratteristica evidenzia che nel Lam Rim si può evitare di accumulare karma negativo affidandosi alla prima caratteristica che mostra come tutti gli insegnamenti del Buddha siano un mezzo perfetto per condurre ogni individuo all’illuminazione, quindi non se ne deve trascurare o abbandonare nemmeno una minima parte.
Il livello di comprensione del buddhismo in Italia corrisponde a quello di un asilo nido e dunque il bagaglio di conoscenza è piccolissimo, al contrario la discriminazione che ognuno opera nella propria mente è enorme. Questi errori tanto negativi si radicano con estrema facilità avvelenando la mente, mentre la visione positiva è assai difficile da acquisire.
L’albero da frutta, la pianta di erbe medicinali, hanno bisogno di molte cure e sono delicatissime, mentre la gramigna e le erbe velenose proliferano spontaneamente, sono dure da sradicare e si riproducono senza sosta.
La stessa cosa avviene nei confronti del buddhismo in Italia, è un’erba buona appena germogliata e voi ne potete appena intravedere e comprendere una piccolissima parte, ma il giudizio discriminante che elaborate istantaneamente nei confronti delle diverse scuole, dei vari maestri, è invece enorme, radicato e forte come la gramigna.
In questo modo l’incontro con il buddhismo produce più fattori negativi che positivi, ma con il Lam Rim è possibile vanificare quest’attitudine, e tutte le assurde e inesistenti discriminazioni che si vorrebbero individuare tra Hīnayāna, Mahāyāna, Vajrayāna e tra le diverse scuole e tradizioni si autoeliminano spontaneamente.
Il Lam Rim è di primario valore nella società occidentale in cui è particolarmente presente il rischio di confondere il piccolo chicco di grano con l’intero universo.
Coloro che si accostano ad un microscopico aspetto del buddhismo, a un determinato insegnamento, a una particolare tecnica di meditazione, non possono pensare che quello sia il buddhismo nella sua pienezza.
Senza il Lam Rim è difficilissimo comprendere e praticare il Dharma e la meditazione in occidente.
Concludiamo qui i primi due argomenti del Lam Rim che devono essere compresi e assimilati lentamente, in profondità, perché una conoscenza veloce e superficiale indurrebbe a illudersi di possedere l’intero insegnamento, quando in realtà ne ha un assaggio di cui non rimarrebbe nulla.
Non è sufficiente che io legga il testo in tibetano e che voi lo traduciate dall’inglese all’italiano credendo così di possederne la conoscenza.
Purtroppo è quanto avviene quasi regolarmente, ma in questo modo nessuno capisce realmente nulla e la confusione aumenta; non è una situazione facile, spesso in incontri e conferenze non si traduce quello che il Lama sta dicendo e che in quel momento potrebbe essere tutt’altro, ma ci si limita a leggere lo scritto relativo all’argomento del giorno, è un po’ come essere nel parco giochi di un giardino d’infanzia.
Da questi fraintendimenti sorgono tutte le errate interpretazioni e affermazioni sul buddhismo, ma ciò non dovrebbe accadere in occidente in cui le persone sono scolarizzate e colte. In Tibet, la mancanza di istruzione ha fatto si che la gente, secolo dopo secolo, si corrompesse in questi giochi infantili sino a perdere tutto, anche il proprio paese.
Qui non dovrebbe succedere, le possibilità di apprendere e approfondire la conoscenza sono patrimonio comune e se, malgrado ciò, si continua a giocare, senza cogliere il significato dell’esistenza, il Dharma malamente manipolato distruggerà ogni cosa, è molto pericoloso.
Avvicinarsi alla vacuità è come dare la caccia ad un serpente, c’è il rischio di esserne uccisi, e ugualmente potremmo dire che avvicinarsi al Dharma è altrettanto pericoloso, perché l’essenza del Dharma è la vacuità.
Non ci si può accostare al Dharma con superficialità, ingannando sé stessi in un gioco infantile.

Leggiamo la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. IV).






Nuova Presa di Rifugio


Iniziamo con la lettura dei “Versi dell’Esperienza” (V. testi annessi pag. XII).
Leggiamo “La lampada sul sentiero dell’illuminazione” (V. testi annessi pag. VIII).
Recitiamo per tre volte la Preghiera di Rifugio per sviluppare la bodhicitta:
“Fino all’illuminazione prendo rifugio nel Buddha, nel Dharma e nel Sangha.
Per i meriti virtuosi accumulati praticando la generosità e le altre perfezioni,
possa io raggiungere lo stato di Buddha per essere in grado di beneficiare tutti gli esseri senzienti.”
Questo metodo di procedere è particolarmente significativo: 
Lama Tsong Khapa nei “Versi dell’Esperienza” distingue i tre tipi di individui;
Atīsa nella “Lampada sul sentiero dell’illuminazione” spiega il significato delle tre tipologie di individui ed emerge chiaramente la motivazione che rende necessario l’omaggio ai tre gioielli;
ne consegue naturalmente la recitazione consapevole della preghiera di rifugio con la generazione di bodhicitta.
Possiamo anche invertire l’ordine di lettura di questi testi perché il Dharma deve essere flessibile ed è sempre opportuno organizzare la pratica secondo le proprie capacità e inclinazioni mentali.
In Tibet ogni monastero, ogni monaco, possiede un suo personale metodo di meditazione, infatti si dice che: “ogni Lama ha la sua tradizione e il suo sistema di praticare il Dharma.”
Nel buddhismo tibetano in particolare, ma non solo, sono evidenti vari metodi di pratica che potrebbero apparire troppo personali, ma in realtà sono un segno di flessibilità e di apertura che prende in considerazione le inclinazioni mentali, le capacità e le possibilità individuali.
Nel Lam Rim c’è un’ulteriore differenziazione che non abbiamo ancora affrontato, ed è relativa a due tipologie di sentiero, uno condiviso e l’altro non-condiviso, e le pratiche inerenti il percorso delle tre classi di praticanti si collocano nel sentiero condiviso.
Ora è necessario comprendere “cosa” e “con chi” si condivide.
Il riferimento agli esseri che hanno uno scopo minore indica i praticanti del Lokayāna, del veicolo mondano, che aspira ad un benessere all’interno del samsāra, alla rinascita in vite superiori.
Non bisogna mai scordare che ogni pratica volta ad ottenere benefici nell’attuale esistenza non può in nessun caso essere dharmica, anche perché il presente è il risultato della maturazione del karma precedentemente accumulato su cui non possiamo intervenire in alcun modo, dunque per quel che riguarda questa vita dobbiamo semplicemente cercare di imprimervi significato.
Se si posseggono ad esempio dei beni, non ha alcun senso perdere tempo nel lucidarli e curarsene, ogni ricchezza che passa dalle nostre mani non ha valore in sé, deve essere posta in relazione al senso della vita che si realizza accumulando buone azioni, karma positivo, cause e condizioni per il futuro, per questo i tre tipi di praticanti si prefiggono lo scopo corrispondente: l’aspirazione ad una vita superiore, oppure la liberazione, e infine l’illuminazione completa per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Questi sono i tre differenti obiettivi da raggiungere.
Colui che ha lo scopo inferiore principalmente deve praticare le dieci azioni virtuose che permetteranno l’ottenimento futuro di forme di vita superiore, ma che non sarà il suo fine ultimo, bensì soltanto un passaggio verso un piano successivo.
Colui che ha uno scopo medio deve praticare le trentasette pratiche verso l’illuminazione che servono essenzialmente per ottenere la liberazione dal samsāra.
In genere queste pratiche sono considerate esclusivamente parte dell’Hīnayāna, invece all’interno del Lam Rim sono tutte condivise con il sentiero Mahāyāna.
Lo scopo ultimo delle trentasette pratiche non è soltanto l’ottenimento dalla liberazione dal samsāra, ma quello di poter raggiungere, in un momento successivo, l’illuminazione.
Le dieci azioni virtuose non sono necessariamente una pratica del Dharma, buddhista, perché indicano al di là di qualsiasi fede o convinzione, la giusta via per la realizzazione umana, la cui conseguenza è l’ottenimento di una vita futura superiore, ma nel Lam Rim sono tutte, compreso lo stesso Hīnayāna, parte del Mahāyāna.
Ribadisco questo concetto perché è di capitale importanza, nel Lam Rim tutti i sentieri sono condivisi e il praticante dello scopo superiore ha in comune gli stadi del sentiero dello scopo medio e piccolo.
I Bodhisattva devono praticare dunque tutti i veicoli, e realizzare i sentieri dei Pratyekabuddha, degli Srāvaka e dei Buddha stessi, portandoli al loro completamento.
I Bodhisattva sviluppano tutti i sentieri.
I Bodhisattva realizzano tutti i sentieri.
I Bodhisattva completano e applicano tutti i sentieri.
I Bodhisattva non rinnegano nessuna via e nel mondo moderno si devono impegnare a conoscere tutte le religioni così da poter essere di aiuto a tutti, e per questo possiamo incontrare Bodhisattva nel cristianesimo, nell’islamismo, nel giudaismo, nell’induismo e in qualsiasi tradizione.
Non esiste società, né continente, in cui non possano essere presenti Buddha e Bodhisattva, ed è magnifico! 
In occidente è probabile che i Bodhisattva si nascondano tra i più poveri; è così difficile trovare persone che accettino i lavori umili, faticosi, e penso sempre che questa gente che ha dovuto abbandonare il proprio paese, la famiglia sia buona e semplice.
I Bodhisattva non siedono sui troni in splendidi palazzi, più frequentemente se ne stanno nei livelli più bassi della società. E’ un grave errore valutare le persone in base al loro aspetto esteriore, considerando automaticamente guru con alte realizzati quelli che sono abbigliati sontuosamente, attorniati da attendenti, che si muovono lentamente in modo solenne come in uno spettacolo teatrale, mentre non si pensa assolutamente di poter incontrare un maestro tra gli umili che stanno spazzando le strade, o raccogliendo i rifiuti, anzi ci si allontana da loro velocemente.
Questo fraintendimento clamoroso è il risultato dell’arroganza interiore, della mancanza di umiltà.
Il Bodhisattva non ha particolari segni esteriori, anche se a volte possiamo cogliere alcuni segnali della sua particolare sensibilità di fronte alla sofferenza altrui come lo sgorgare di lacrime e il rizzarsi dei peli, o altre manifestazioni particolari.
I Bodhisattva non solo devono conoscere, praticare e portare a compimento ogni sentiero, devono anche insegnarlo agli altri che così possono procedere verso l’illuminazione.
Nel Dharma non c’è nulla che i Bodhisattva non debbano sapere perché ogni cosa potrebbe essere di beneficio agli esseri senzienti ed è questo il motivo per cui ci si riferisce sempre ai sentieri condivisi; c’è un sentiero cristiano condiviso con i buddhisti e un sentiero buddhista condiviso con i cristiani, e così via.
Nei tempi d’oro del Tibet si raccontavano storie molto belle e una narra che esistevano allora tre regni, Tibet, Nepal e Cina, il Tibet era guidato dal Bodhisattva Avalokitésvara, Il Nepal dal Bodhisattva Vajrapāni, e la Cina dal Bodhisattva Mañjusrī.
Ancora oggi i tibetani ritengono che il Dalai Lama sia la reincarnazione di Avalokitésvara, i nepalesi pensano che il re sia la reincarnazione di Vajrapāni e in Cina, prima della rivoluzione, si considerava l’imperatore la reincarnazione di Mañjusrī, ora con il regime comunista ovviamente non più.
La storia continua narrando che in Tibet c’erano due Lama che decisero di rinascere, uno in Cina come imperatore e l’altro in Tibet come personaggio potente. Il primo, in Cina, non realizzò il suo intento, rinacque come piccolo ministro e tornò in patria. Il secondo, rimasto in questa terra e rinato in come semplice Lama, domandò all’altro come mai non fosse un imperatore, e lui rispose che la fila dei Bodhisattva prima di lui era troppo lunga!
Così erano gli antichi racconti, poetici e densi di significato, oggi questo non sarebbe possibile, nel nostro mondo l’energia negativa supera di gran lunga quella positiva, mentre nei tempi d’oro era esattamente il contrario.
I Bodhisattva possono avere molti ruoli diversi.
Non soltanto i Bodhisattva possono scegliere la futura reincarnazione, anche gli spiriti malvagi hanno questo potere, che però è negativo, pericoloso, ed è difficile per un essere umano inserirsi in questa lotta tra esseri potenti.
Domanda: Nella nostra cultura un Bodhisattva potrebbe essere un santo?
Lama: Certamente, ma senza tutte le complicazione dei ruoli che la società moderna vuole imprimere, quasi ogni santo dovesse avere il suo copyright.
La prassi del dover imprimere questo sigillo è stata inventata dagli esseri umani, ma ispirata dagli esseri malvagi. Anche nella società tibetana esiste questo problema, perché le grandi reincarnazioni, i tulku, dipendono sempre da certificati, timbri e, ovviamente, denaro.
Un mio caro amico, docente universitario in Giappone, ha subito forti critiche  perché ha denunciato, con documenti e argomenti a riprova, che il sistema delle reincarnazioni sta facendo diminuire considerevolmente il livello del Dharma nella società tibetana.
Questa necessità di ufficializzazione, di certificati e bolli, vanifica ogni reale riconoscimento.
Il Bodhisattva è colui che ha il cuore di bodhicitta, la grande compassione. Il santo non deve necessariamente essere consacrato, non c’è nessuna differenza tra religioso e laico, tra uomo e donna, tra le varie tradizioni religiose. 
Il sentiero del Bodhisattva è molto importante, comprende tutto e non è in contraddizione con nulla.
Domanda: In genere però il Bodhisattva è nascosto, non si fa riconoscere…
Lama: Non necessariamente, tutto dipende dalle cause e condizioni, se è di beneficio agli altri presentandosi in modo visibile si mostrerà, se è di maggior utilità non apparire, rimarrà nell’ombra. Ci possono essere Bodhisattva ricchi, altri poveri, alcuni in carcere o in qualsiasi situazione umana.
Domanda: Ma loro sono coscienti di essere Bodhisattva?
Lama: Non lo so, questo è misterioso, è un fenomeno molto interessante.
Domanda: L’altra volta dicevi che i Bodhisattva devono praticare i dieci bhūmi, ma quelli che nascono in occidente e non conoscono queste dieci “terre” come possono fare? Li hanno già praticati nelle vite precedenti? 
Lama: Li praticano a livello spirituale, virtuale, tutto ciò che fanno diventa accumulazione di meriti e in qualche modo si sviluppa nei dieci bhūmi.
Nella nostra società si fanno sempre discriminazioni, si identificano interi gruppi come negativi e altri positivi, ma dal punto di vista del Bodhisattva queste divisioni non esistono, sono tutti uguali.
Il Bodhisattva potrebbe anche sembrare una persona senza morale, o ammalata, per questo non è possibile giudicare. Un ammalato può essere di grande beneficio a coloro che lo circondano e in un ospedale. In qualsiasi luogo e situazione in cui ci sia la possibilità di aiutare qualcuno può esserci un Bodhisattva perché la sua attenzione è rivolta particolarmente alle persone che soffrono.
Ci possono essere Bodhisattva tra gli animali di qualsiasi specie, nelle foreste, negli oceani.
E’ un argomento interessante e sarebbe bene prestarvi maggior attenzione osservando il mondo circostante, ciò che importa non è riconoscerli, ma sapere che sono presenti ed esserne felici.
In questo modo cambia la visione del mondo, possiamo osservare una prigione e, invece di pensare che sia popolata solo da assassini, delinquenti, cattivi, saper cogliere la possibile bontà di questi individui.
E’ necessario mantenere in ogni circostanza una visione positiva della realtà sapendo che anche una persona apparentemente grezza e rude potrebbe essere un Bodhisattva.

Molto bene, concludiamo leggendo insieme Gli “Otto versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag. V).






Il significato del lignaggio nel Lam Rim ele tre grandezze descritte nel Bsdus Dön


Riprendiamo la lettura del “Bsdus Dön” di Lama Tsong Khapa fino all’ottavo verso in cui si tratta dell’omaggio ai maestri riflettendo sulle loro qualità, sul significato della grandezza del Lam Rim e sui benefici che ne conseguono.
Poi proseguiremo con la “Lampada sul sentiero verso l’illuminazione” di Atīsa fino al quinto verso in cui si tratta dei tre differenti praticanti.
Dovremmo leggere questi testi sviluppando il cuore di bodhicitta con motivazione altruistica, liberi da qualsiasi attitudine egoistica, è il momento in cui proviamo a far risplendere queste grandi qualità, il significato degli incontri di Dharma.

I Versi dell’Esperienza Bsdus Dön,  di Lama Tsong Khapa:
Mi prostro davanti a te, Buddha, capo della stirpe dei Sakya. Il tuo corpo illuminato è generato da decine di milioni di virtù positive e perfette realizzazioni; la tua parola illuminata esaudisce i desideri di innumerevoli esseri; la tua mente illuminata vede tutto l’esistente nella sua vera natura.
Mi prostro davanti a voi, Maitreya e Manjusri, supremi figli spirituali di questo impareggiabile maestro. Assumendovi la responsabilità di favorire tutte le azioni illuminate del Buddha, voi inviate emanazioni a innumerevoli mondi.
Mi prostro davanti ai vostri piedi, Nagarjuna e Asanga, ornamenti del nostro mondo. Grandemente famosi in tutti i Tre Reami, avete commentato la “Madre dei Buddha”, la più difficile da comprendere, rivelando esattamente il suo vero significato.
Mi inchino a Dipamkara Atisha, titolare di un tesoro di insegnamenti. Vi sono inclusi tutti i punti completi, senza errori, che riguardano i sentieri della visione profonda e dell’azione estesa, trasmessi inalterati dai suoi due grandi precursori.
Mi prostro rispettosamente davanti ai miei maestri spirituali. Voi siete gli occhi che ci permettono di comprendere tutte le infinite affermazioni delle scritture, il miglior guado degli esseri fortunati che avanzano verso la liberazione. Voi rendete chiaro ogni argomento tramite i vostri abili mezzi, motivati da un’intensa preoccupazione amorevole.
Gli stadi del sentiero verso l’illuminazione sono stati trasmessi intatti da coloro che si sono succeduti a Nagarjuna e Asanga, gioielli che adornano la corona di tutti gli eruditi maestri del mondo, lo stendardo della loro fama sventola al di sopra delle masse. Dato che, seguendo questi stadi, si può soddisfare ogni desiderio di tutti gli esseri viventi, sono simili ad un re che concede il potere del prezioso insegnamento. Inoltre, poiché raccolgono il flusso del pensiero di migliaia di classici eccellenti, in effetti sono un oceano di sublimi e corrette spiegazioni.
Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva e ti proteggono dall’abisso del grande errore. Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?
Sebbene guadagni un grande merito recitando o ascoltando anche una sola volta questo testo scritto da Atīsa , che include i punti essenziali di tutte le affermazioni delle scritture, è certo che accumulerai anche grandi raccolte di benefici studiando e insegnando effettivamente il sacro Dharma in esso contenuto. Quindi dovresti prendere in considerazione il metodo per farlo correttamente.

“La Lampada sul sentiero verso l’illuminazione” di Atīsa:
Mi prostro al bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.

Il Lam Rim è fondamentalmente articolato in quattro oggetti di riflessione e per meditare sulle sue fonti autentiche è necessario riflettere sulle caratteristiche peculiari dell’autore. Nella dicitura “autore” sono inclusi, oltre ad Atīsa riconosciuto come principale, tutti i maestri del lignaggio.
Nel momento in cui leggiamo il Lam Rim soffermando l’attenzione sulle caratteristiche dei maestri del lignaggio stiamo meditando sul primo tema relativo alla grandezza dell’autore.
Anche il Buddha praticava il Lam Rim, che dunque non è nulla di nuovo, e per esserne sinceramente convinti è necessario riconoscere l’autenticità delle fonti su cui si basa.
Se fossimo in grado di ricevere le istruzioni Lam Rim direttamente da Mañjusrī non avremmo bisogno di riferirci ad altro ma, poiché siamo esseri umani ordinari, lo apprendiamo da altri esseri umani ordinari a cui a nostra volta lo dobbiamo trasmettere, ma per poterlo fare dobbiamo essere pienamente convinti della sua autenticità e per questo vi è dedicato l’intero capitolo primo, è essenziale che il praticante Lam Rim conosca l’autenticità di ciò che affronta.
Nel Bsdus Dön la parte che riguarda i maestri del lignaggio è trattata brevemente, però vedremo che ci sono altri testi in cui vi si dà maggior spazio.
Tutte le scuole tibetane, indistintamente, concordano sul lignaggio dei maestri Lam Rim da Buddha fino ad Atīsa e soltanto in seguito si sono create alcune diversificazioni.
Da Atīsa a Lama Tsong Khapa vi è unanime concordanza solo tra i Gelugpa, mentre le altre correnti si rifanno ai lignaggi a cui appartengono i loro maestri principali.
Dopo Lama Tsong Khapa anche i Lama Gelugpa si dividono in due lignaggi che fondamentalmente aderiscono a due orientamenti politici diversi, uno fa capo al Dalai Lama e l’altro al Panchen Lama.
In realtà ogni monastero ha un proprio lignaggio e modalità di pratica Lam Rim per questo i tibetani dicono che: “ogni governante ha la sua legge e ogni Lama la sua tradizione”.
Non è affatto negativa l’esistenza di queste diversificazioni, anzi è un arricchimento umano indice di apertura mentale e disponibilità a ricevere il Lam Rim direttamente da Mañjusrī che, nella sua forma di saggezza, rappresenta la saggezza posseduta da tutti i Buddha.
Ricordate il racconto di Geshe Potowa che insegnava con esempi propri molto efficaci, una volta un giovane monaco gli chiese da chi avesse appreso tante cose dal momento che illustrava ogni insegnamento con magnifiche metafore e lui rispose che aveva imparato dal suo maestro, Prajñā. Questa risposta lasciò il giovane interdetto, perché Prajñā si riferisce alla saggezza, alla comprensione completa, allo stesso Mañjusrī. Infatti il significato definitivo di saggezza è Mañjusrī.
Se dunque, tramite lo sviluppo della compassione, della bodhicitta, dell’amore, della conoscenza e della comprensione riusciamo a purificarci, a divenire più chiari e puliti, siamo come cristalli la cui luce riflette se stessa.
La luminosità che sgorga dal cuore, dalla mente, dalla saggezza, assume la forma di Mañjusrī.
Quando nell’insegnamento si richiama l’unione con la divinità, Buddha, Mañjusrī, Tārā, il punto di contatto dimora nella saggezza.
La saggezza è unica e appartiene a tutti indistintamente, esseri umani e divini, è il centro d’incontro di tutti gli esseri senzienti.
Gli stolti credono che Mañjusrī sia un individuo bello, intelligente, simpatico, riccamente abbigliato e gli dedicano preghiere cariche di aspettative, sperando di ricevere in questo modo l’installazione automatica della saggezza, esattamente come se fosse un programma informatico. Nulla è più falso e illusorio! Questo è il modo di praticare il dharma degli sciocchi.
Però in occidente siete tutti istruiti, le superstizioni ingenue del passato non hanno più alcun senso e il nuovo secolo deve essere affrontato con intelligenza, con una rinnovata modalità di pratica.
E’ stato recentemente pubblicato in inglese un interessantissimo libro che raccoglie gli insegnamenti del Dalai Lama, intitolato “Etica di un nuovo millennio”. Il Dalai Lama vede i cambiamenti causati dalla globalizzazione e suggerisce come affrontare in modo nuovo il Dharma.
Nel buddhismo tibetano si dà molta importanza al “lignaggio”, concetto che esprime il flusso mentale, il continuum della mente, e non si può dunque installare come un programma informatico il continuum mentale di Buddha nel nostro continuum mentale.
Lignaggio è flusso mentale, saggezza, quindi nel momento in cui siamo nella saggezza siamo nel lignaggio, ma non possiamo inserire direttamente la mente del Buddha nella nostra mente illudendoci di essere automaticamente collegati in rete, soltanto quando avremo sviluppato la saggezza, uguale per tutti gli esseri senzienti, entreremo naturalmente nel lignaggio.
Siamo nel lignaggio Lam Rim a seguito di realizzazioni, senza dover attendere riconoscimenti esterni, timbri certificati, bolli, come invece qualcuno, fraintendendo stoltamente, ritiene necessario, ed è davvero terribile!
Non so cosa succedesse nel passato in India, ma conosco le modalità tibetane in cui si ricorreva sempre a autorizzazioni, licenze e soprattutto raccomandazioni, ma quando il Dharma diventa oggetto di raccomandazioni è una vera degenerazione.
Finché non elimineremo gli ostacoli mondani, non saremo liberi di praticare il Dharma, ma inesorabilmente soggetti a manipolazioni.
E’ triste assistere alla costruzione di tanti condizionamenti: “…io sono il tuo Lama di rifugio, …io il Lama delle tue iniziazioni, ….io sono il Lama dei sūtra, …io quello dei mantra…, tu adesso devi accettare ciò che ti dico…” con l’implicita minaccia che se non farete tutto questo finirete sicuramente nell’inferno più profondo collocato precisamente sotto Bodhgayā!....”
La leggenda della collocazione logistica dell’inferno è nata da un guasto tecnico. A Bodhgayā il Buddha ha realizzato l’illuminazione e nel punto in cui si sono posati i raggi di luce da lui emanata è stato costruito un tempio. Il luogo è sacro e costantemente visitato da pellegrini e il governo indiano decise di mantenerlo illuminato ininterrottamente con l’energia elettrica, però si verificò un cortocircuito con conseguente incendio che riscaldò la terra sottostante e così la gente si persuase che lì sotto dovesse esservi proprio l’inferno.
Questo genere di devozione è tremenda, non ha nulla a che fare con la compassione e la saggezza, ma solo con una religiosità ignorante e superstiziosa indotta e strumentalizzata per soggiogare e manipolare le coscienze e mantenere inalterati privilegi e potere.
E’ un tipo di culto esattamente contrario al Dharma e a questo proposito il Dalai Lama ha esplicitamente disapprovato la concezione fideistica e acritica della visione cosmologica dell’Abhidharma, raccomandando, in un discorso tenuto nel 1997 – ’98, di abbandonare un’interpretazione ormai superata e anacronistica. In conseguenza a questa sua presa di posizione molti tra i Lama più anziani e tradizionalisti gli si sono opposti iniziando a guardarlo con sospetto.
E’ comunque necessario precisare che, volendo addentrarsi in una dotta analisi puramente filosofica, si giunge sicuramente a negare la parte più consistente di questa antica concezione, ma non la si può annullare completamente, qualcosa deve essere lasciato. E’ una questione molto complessa che anch’io ho dovuto affrontare nella stesura della mia tesi, il cui tema riguarda appunto l’Abhidharma.
Dunque lignaggio cosa significa? Non è un’autorizzazione, non è una raccomandazione, non è un certificato, il lignaggio è il flusso mentale, e il flusso mentale è quello della saggezza, e la saggezza è quella di Buddha.
Le realizzazioni del Lam Rim sono riconosciute come lignaggio e i maestri che le hanno ottenute ne fanno parte.
E’ importante comprendere l’esatto significato del lignaggio, altrimenti si rivolgono petizioni e preghiere ai maestri con attitudine fanatica e si comincia immediatamente a disquisire con gli altri sul proprio lignaggio, ma tutto questo è uno sbaglio, un ostacolo alla conoscenza del Lam Rim, alla pratica del Dharma.
Umanamente è facilissimo assumere quasi repentinamente difetti ed errori, mentre è assai più difficile intendere in modo puro la positività del Lam Rim, quindi la prima cosa da fare è vigilare ininterrottamente per non cadere nei facili tranelli e, anche se apparentemente si ottengono scarsi risultati, l’unica preoccupazione deve essere quella di mantenersi saldi e perseveranti nell’attitudine positiva.
In occidente non appena iniziate a studiare il buddhismo sentite all'istante l’esigenza di mettervi un’etichetta: “io sono della tradizione zen…. io di quella theravāda…. io invece mahāyāna….”, questo è il modo più sciocco e sicuro per creare karma negativo.
Se riuscissimo ad evitare questi errori, automaticamente usufruiremmo degli aspetti positivi del Lam Rim, mentre in caso contrario ne potremo cogliere soltanto una minima parte, caricandoci di negatività e allora, come spesso accade nella medicina occidentale, gli effetti collaterali potrebbero essere devastanti, il mal di testa passerebbe, ma il fegato ne porterebbe conseguenze incurabili.
Oggi abbiamo affrontato l’argomento fondamentale del lignaggio, del continuum mentale, e osservato come non sia possibile collegare all'istante il nostro continuum mentale con quello di Buddha, senza prima aver maturato le debite realizzazioni.
Entrare nel lignaggio significa aprire la mente-cuore alle stesse realizzazioni del Buddha, e non è facile, ma se raggiungiamo un livello puro vediamo che la realtà possiede qualità autenticamente positive e vere.
Oggi tutto si falsifica, si duplica, tanto da non riuscire più a distinguere l’oggetto originale da quello duplicato.
Per non essere ingannati e avere conferma dell’autenticità dell’insegnamento è necessario conoscerne approfonditamente l’autore, e questo punto è strettamente correlato al lignaggio.
Il lignaggio procede dal continuum mentale di Buddha.
Il Buddha in questo caso non è il singolo individuo, rappresenta le sue qualità, le sue realizzazioni, generalmente simbolizzate nella raffigurazione di Mañjusrī, la manifestazione della saggezza, di Avalokitésvara, la manifestazione della compassione, e di Tārā la manifestazione dell’azione.
Se visualizziamo queste raffigurazioni comprendendone il profondo autentico significato procederemo correttamente nella crescita interiore, altrimenti è pura idolatria.
Il secondo tema è la visione della grandezza degli insegnamenti che induce a sviluppare ammirazione verso le istruzioni del Lam Rim.
Le istruzioni contengono tre grandezze e quattro caratteristiche.
Le tre grandezze hanno origine direttamente da Buddha, poi passano a Nāgārjuna e ad Asanga e hanno la potenzialità per tutti i desideri umani, si concentrano sull’aspetto pratico del Dharma, sono facili da gestire e includono tutte le istruzioni, sia Mantrayāna che Sūtrayana.
Le quattro caratteristiche sono descritte chiaramente nel Bsdus Dön, “I Versi dell’Esperienza”:
Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva e ti proteggono dall’abisso del grande errore.
Tutti gli insegnamenti, costituiti da fattori positivi, non possono essere contraddittori e si armonizzano perfettamente.
Per domare la mente, oltre a riconoscere l’importanza della loro armonizzazione, è necessario metterli in pratica.
Il Lam Rim, pur nella sua sintesi, rende accessibile a chiunque la comprensione della pura essenza del pensiero del Buddha, cioè l’essenza del Dharma. 
Il Lam Rim apre la mente e protegge dal pericoloso abbaglio della visione settaria.
Un praticante di Dharma settario è in totale contraddizione con se stesso, è caduto in uno dei maggiori ostacoli, degli errori più gravi.
Invece coloro che sono settari, ma non praticanti di Dharma, indubbiamente sbagliano, ma non in modo così drammaticamente distruttivo.
La seconda parte del verso settimo continua:
Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?
Sebbene guadagni un grande merito recitando o ascoltando anche una sola volta questo testo scritto da Atīsa, che include i punti essenziali di tutte le affermazioni delle scritture, è certo che accumulerai anche grandi raccolte di benefici studiando e insegnando effettivamente il sacro Dharma in esso contenuto. Quindi dovresti prendere in considerazione il metodo per farlo correttamente.
Il Lam Rim si rivolge ai tre livelli di praticanti e sono disponibili numerosi testi a cui attingere, perché ognuno tratta e approfondisce aspetti particolari. Dovreste leggerli con l’attenzione di autentici ricercatori spirituali, come fu Gandhi, un esercizio di grande beneficio. Imparare ad ascoltare, leggere, meditare, parlare poco ma in modo significativo, e concentrarsi in questo tipo di ricerca apporta una grande accumulazione di meriti. 
Avendo preso rifugio, dovresti comprendere che la giusta devozione nel pensiero e nell’azione al tuo sublime maestro, che ti mostra il sentiero per l’illuminazione, è la causa radice più propizia per ottenere una grande quantità di condizioni favorevoli in questa e nelle vite future. Quindi dovresti compiacere il tuo maestro offrendogli la tua pratica di ciò che ti ha insegnato, non abbandonandola nemmeno a costo della tua vita. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
La ricerca spirituale è fondamentale e anche una sola riga del Lam Rim può impegnare tutta la vita, perché non si tratta di esaminare elementi esterni, ma di scandagliare e scoprire se stessi; non lo si può ridurre ad un fenomeno carico di aspettative, di aspirazioni, deve crescere concretamente, svilupparsi e radicarsi in noi.
I tibetani hanno vissuto secoli nell’illusione, nella speranza, mentre i cinesi sono sempre stati ingannati dal dubbio, entrambi coinvolti in periodi altalenanti di pace e guerra, alleanze e conflitti, intrappolati rispettivamente: i primi nell’aspettativa e i secondi nel dubbio. La soluzione a questa condizione è riassunta in un antico detto: “I cinesi devono trovare gioia in Cina e i tibetani in Tibet”.
Questa saggia citazione mostra che ambedue gli atteggiamenti sono sbagliati, sia la troppa speranza che il dubbio eccessivo.
La prossima volta affronteremo il terzo tema del Lam Rim, il modo di insegnarlo e di ascoltarlo, vi suggerisco di iniziare a fare piccole ricerche sull’argomento, anche questa è una moderna modalità di meditazione.

Concludiamo con la preghiera di dedica recitandola con cuore altruistico libero da ogni attaccamento al sé (V. testi annessi pag. IV).






Come ascoltare l’insegnamento del Dharma


Rileggiamo insieme il Bsdus Dön fino all’ottavo verso, con ammirazione e devozione verso i maestri del lignaggio (V. testi annessi pag. XII).
E ora leggiamo “I tre aspetti principali del sentiero” (V. testi annessi pag. I).
Dopo aver realizzato i punti fondamentali dei tre aspetti del sentiero l’ultimo verso suggerisce di condurre una vita in solitudine coltivando lo scopo finale, indica senza incertezze la necessità primaria di fare chiarezza in se stessi, di comprendere e raggiungere i tre obiettivi.
Voi che studiate il Lam Rim dovete sempre aver presente che, tra le tante importanti istruzioni, i “Tre aspetti principali del sentiero” sono basilari, di importanza cruciale, perché ne racchiudono l’essenza e sono interconnessi con tutti gli altri testi.
Come abbiamo ripetuto più volte nel Lam Rim ci sono argomenti sostanziali, il primo tratta della grandezza dell’autore per mostrare l’autenticità delle fonti, in questo caso Atīsa. Per comprendere pienamente l’autenticità delle istruzioni occorre ricordare che “La lampada sul sentiero che conduce all’illuminazione” di Atīsa trae origine dall’“Ornamento della chiara realizzazione” di Maitreya, che a sua volta è un commento alla “Prajñāpāramitāsūtra” del Buddha.
La grandezza dell’autore a cui ci riferiamo è quella di Atīsa, un saggio dalla vita intensa e densa di eventi, che vi suggerisco di studiare perché non abbiamo il tempo per trattarla in questi incontri, sarebbe però interessante che la approfondiste da soli.
Il secondo argomento mostra la grandezza dell’insegnamento che induce la crescita di un rispetto devozionale per le istruzioni perchè la “Lampada sul sentiero” contiene tutti gli elementi basilari sia del Mantrayāna che del Sūtrayāna, è un insegnamento completo, facile da capire e da gestire, insegna come domare la mente ed è una caratteristica speciale del Lam Rim - Lo Jong.
Il Lam Rim - Lo Jong è particolarmente adatto a voi, non si sofferma a indagare gli aspetti filosofici e teorici, ma insegna nella pratica a sottomettere la propria mente.
All’interno dei monasteri si studiano essenzialmente cinque trattati: il “Mādhyamika”, il “Pramāna”, il “Vinaya”, “l’Abhidharma” e il “Prajñāpāramitā”, non si tratta di libri, bensì di scuole di pensiero essenzialmente concentrare sulle questioni filosofiche, teoriche, anche se contemporaneamente insegnano a domare la mente, invece il Lo Jong - Lam Rim agisce direttamente nel cuore, nella mente.
Altra fondamentale peculiarità del Lam Rim è l’essere ornato dai due grandi pionieri Nāgārjuna e Asanga e arricchito dalle istruzioni dei due grandi maestri.
Abbiamo già visto le tre caratteristiche e le quattro grandezze riferite al secondo argomento del Lam Rim che insegna a sviluppare rispetto devozionale verso le istruzioni, quali sono le quattro grandezze?
Risposta: Pongono in evidenza come tutti gli insegnamenti non siano contraddittori; favoriscono la comprensione dell’essenza dei discorsi del Buddha, indicano che ogni insegnamento è un’istruzione ricevuta direttamente; proteggono dal grande errore.
La prima grandezza, che mostra la non contraddizione tra gli insegnamenti, deve essere estesa a tutte le religioni.
La seconda grandezza segnala che gli insegnamenti del Buddha Sākyamuni, dei maestri indiani e tibetani, devono essere considerati istruzioni del Lam Rim.
La terza grandezza permette di comprendere il pensiero del Buddha immediatamente e agevolmente eliminando naturalmente ogni fraintendimento settario.
Concludiamo qui questo capitolo e passiamo al terzo tema che affronta il modo di ascoltare e insegnare il Lam Rim alla luce delle qualità già illustrate.
Innanzitutto è necessario imparare ad ascoltare.
In primo luogo si spiegano i benefici derivanti dall’ascoltare il Dharma che, come detto dallo stesso Buddha nei sūtra, sono:
ascoltando il Dharma si impara il Dharma;
ascoltando il Dharma non si compiono più azioni negative;
ascoltando il Dharma si smette di fare cose senza senso;
ascoltando il Dharma si può raggiungere il nirvāna.
Con l’ascolto del Dharma si è in grado di discriminare ciò che deve essere abbandonato da ciò che invece si deve ottenere, facendo così cessare ogni azione negativa; con l’interruzione delle azioni negative si raggiungeranno naturalmente, tramite la concentrazione, gli obiettivi prefissi; infine, si perverrà alla realizzazione della realtà ultima e si otterrà la liberazione dal samsāra avendone tagliato la radice.
Ascoltare è vitale, perché senza questa capacità nulla potrà essere conquistato, le buone qualità dipendono dall’ascoltare e il Buddha ha anche specificato che, in questo modo, si svilupperà la fede che porterà pace e serenità eliminando ogni oscurazione mentale.
Ascoltare è paragonabile ad una lampada che annulla il buio dell’ignoranza, è la ricchezza suprema che nessuno può rubare, è l’arma che distrugge il nemico dell’ignoranza, è il supremo amico che procura i mezzi abili.
Quando nella vita abbiamo dubbi, problemi, ostacoli, è bene consultare la conoscenza derivante dall’ascolto del Dharma.
Il Dharma può essere conosciuto anche con la lettura di libri e il suo ascolto è simile ad un amico spirituale che ci offre gli strumenti necessari per affrontare le difficoltà della vita.
Nella conoscenza del Dharma l’incontro con una persona intelligente amichevole e gentile è un grande regalo. All’interno di un gruppo il nostro modo di parlare, comportarci, e agire sarà accolto con gioia dalle persone intelligenti, mentre gli stolti non lo comprenderanno.
Dopo aver ascoltato si deve praticare, e una buona pratica è il risultato del buon ascolto e dello studio.
Potremo così liberarci dal samsāra con uno sforzo molto piccolo.
A coloro che hanno una grande conoscenza qualsiasi sforzo e karma negativo da purificare appariranno leggeri.
Al contrario, per lo stolto, anche il karma negativo minimo diventerà pesantissimo.
Tutti questi benefici derivano dall’ascolto, dallo studio e dalla conoscenza del Dharma.
In molti commentari del Lam Rim è scritto che ogni insegnamento del Buddha ha la facoltà di eliminare l’ignoranza:
Nella conoscenza si elimina l’ignoranza;
Eliminando l’ignoranza creiamo la saggezza;
Stabilizzare la saggezza è come creare le fondamenta per il Dharma.
Dunque ogni volta che ascoltiamo l’insegnamento acquisiamo qualcosa che ci permette di eliminare l’ignoranza, coltiviamo la conoscenza che diventa base per la costruzione del Dharma.
Non si ascolta il Dharma per potersi vantare con gli altri di sapere molto, lo si ascolta per eliminare l’ignoranza e acquisire la conoscenza indispensabile alla creazione delle sue fondamenta, è il secondo rifugio, si tratta di una realizzazione interiore.
La comprensione dell’interconnessione tra tutti questi elementi imprime significato ad ogni atto dell’esistenza.
Vi è un’ulteriore indicazione relativa alla necessità di evitare tre errori nel modo di ascoltare il Dharma:
non dobbiamo ascoltare il Dharma come se fossimo un bicchiere capovolto, perché l’acqua non potrà entrarvi;
non dobbiamo ascoltare il Dharma come se fossimo un bicchiere rotto, perché l’acqua non potrà esservi contenuta;
non dobbiamo ascoltare il Dharma come se fossimo un bicchiere sporco, perché se anche lo riempissimo con una buona bevanda, questa diventerà automaticamente imbevibile, inquinata.
Questi consigli utili, di facile comprensione, sono rivolti a noi che siamo individui malati, non fisicamente, ma spiritualmente; colui che parla del Dharma è il medico; ascoltare le indicazioni del dottore corrisponde alla medicina da prendere; infine, praticare quanto ascoltato è curare se stessi.
Ma il compito non è ancora concluso perché, dopo aver ascoltato e praticato, dobbiamo dedicare queste azioni al benessere di tutti gli esseri senzienti, con un’attitudine che dovrebbe essere mantenuta costantemente, il Dharma non può mai essere considerato benefico soltanto per noi stessi, sarebbe una enorme, assurda contraddizione.
Qualsiasi atto, sia l’ascolto che l’insegnamento, deve sempre essere motivato dalla bodhicitta, è fondamentale. Con la bodhicitta si arriva ovunque, è un po’ come una carta di credito che permette di viaggiare per tutto il mondo.
Domanda: Già, però anche le carte di credito si possono clonare e oggi si vedono spesso degli imbrogli, messaggi spacciati per spirituali che ingannano le persone!..
Lama: Per questo bisogna sempre consultare la saggezza interiore, affidarsi ad altri esseri umani è complesso e rischioso, cercare consulenti esterni per ogni cosa è veramente sbagliato. La via suprema è ascoltare per acquisire la conoscenza che porta alla saggezza interiore.
Qui in occidente è diffusissima la malattia delle consulenze, di fronte al minimo problema si cerca l’esperto che oltrettutto, nella maggioranza dei casi non lo è affatto, possiede semplicemente un foglio di carta che certifica una presunta capacità 
Non è bene vivere in questo modo, si incrementa la confusione che può invece essere evitata con una profonda conoscenza del Dharma.

Leggiamo la dedica Lam Rim (V. testi annessi pag. IV).








Compleanno di Sua Santità il Dalai Lamae ripasso con interrogazione


Oggi è il compleanno di Sua santità il Dalai Lama e per festeggiarlo con semplicità, ma con cuore grato, berremo insieme un buon the, anche i tibetani sparpagliati nel mondo ricordano e celebrano questo giorno.
La società moderna è immersa in una pesante ignoranza, che è il problema fondamentale, crea confusione e incrementa gli ostacoli evidenti in ogni circostanza, seppur bella e gioiosa come un compleanno, o la festa della repubblica, o qualsiasi altro evento, perché esiste sempre il rischio di limitarsi all’aspetto mondano e superficiale.
Per noi praticanti di Dharma è magnifico ricordare il Dalai Lama che ha offerto al mondo un immenso contributo di saggezza e compassione, non so quanto abbia potuto fare per i tibetani in particolare, soprattutto politicamente, ma sicuramente con il suo stile di vita permeato di amore, saggezza e capacità di interpretare e trasmettere l’insegnamento del Buddha, ha donato agli esseri di questo pianeta una infinita ricchezza.
Oggi tanti maestri di buddhismo sono assillati da incertezze e dubbi circa il modo di interpretare l’insegnamento del Buddha e la sua pratica.
Il buddhismo tibetano in particolare è complesso ed articolato e, senza il contributo del Dalai Lama, sarebbe stato veramente difficile offrirlo alle persone in modo essenziale, comprensibile e pratico.
Ritengo che i libri del Dalai Lama siano rilevanti e necessari per coloro che intendono praticare il buddhismo tibetano, perché lui sa interpretare il messaggio del Buddha in modo completo, essenziale e semplice e renderlo comprensibile e adeguato alla quotidianità di ognuno, alle varie circostanze, in perfetta armonia con le diverse tradizioni religiose e con l’umanità intera.
Nel momento in cui pratichiamo il Dharma dovremmo avere quest’unità interiore e nessuna volontà di contrapporsi agli altri.
Non è corretto giocare, come spesso succede in politica, usando in modo strumentale la figura del Dalai Lama soltanto per sfidare il potere cinese, questo è molto triste.
Il Dalai Lama è una persona estremamente gentile e attenta, e lo si dovrebbe sempre ascoltare, leggere i suoi discorsi, incontrare, motivati esclusivamente dalla ricerca spirituale, senza mai approfittare della sua persona per strategie e opportunismi politici, perché questo non può che provocare un effetto disastroso.
La politica del Tibet attuale è catastrofica e il Dalai Lama se ne è allontanato perché gli intrighi, le manipolazioni dei vari addetti sono così negativi che incrementano fortemente confusione e ostacoli.
Anch’io non ho una mentalità politica e ho difficoltà a seguire queste strategie.
Per fare politica è necessario saper essere falsi, dichiararsi d’accordo con chi gestisce il potere, questa è la politica e se non la si conosce è meglio non entrare nei suoi affari, evitando così di incrementare ulteriormente le negatività.
Dunque per noi celebrare il compleanno del Dalai Lama non è una questione politica, bensì un momento di riflessione per ricordare con gratitudine la sua saggezza, la sua compassione, il contributo che ha dato all’umanità con il suo modo pratico di interpretare l’insegnamento del Buddha.

Ora, bevendo il buon the in suo onore, facciamo un po’ di ripasso; in questi giovedi abbiamo affrontato il Lam Rim constatando come non sia così facilmente accessibile e come necessiti di una profonda analisi.  Che cos’è il Lam Rim?
Risposte: Non lo so… - Una via breve verso l’illuminazione… - Il sentiero da seguire gradualmente per arrivare all’illuminazione… - Il sentiero graduale…
Lama: Chi è l’autore del Lam Rim?
Risposta: Atīsa, però tutto proviene da Maitreya,….
Lama: Atīsa è l’autore perché ha scritto “la lampada sul sentiero verso l’illuminazione” che è il testo base, e dove ha composto quest’opera?
Risposta: in Tibet per il re Cianciub Ö perché in quella regione vi era una enorme confusione e il significato del Dharma era perduto.
Lama: Perfetto, precisamente compose il testo nell’undicesimo secolo, nel monastero di Tolin situato nell’area sud occidentale di fronte al monte Kailash.
La pratica del Lam Rim è presentata in tre modi:
Il Lam Rim praticato da coloro che hanno un piccolo scopo;
Il Lam Rim praticato da coloro che hanno uno scopo medio;
Il Lam Rim praticato da coloro che hanno un grande scopo;
Qual è la definizione del praticante Lam Rim dal piccolo scopo?
Risposta: Il piccolo scopo è riferito al sentiero Lokayāna, per la ricerca del benessere nel samsāra in pace e serenità e il mezzo per ottenerla è l’etica con l’applicazione delle dieci azioni virtuose.
Lama: La definizione dei praticanti con un piccolo scopo è: “Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.”
La definizione dei praticanti con uno scopo medio è: “Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.” Come commentate questo verso?
Risposta: Fondamentalmente si riferisce al sentiero Hīnayāna, della rinuncia con l’applicazione delle trentasette pratiche per ottenere la propria liberazione e giungere al nirvāna…
Lama: Ciò che classifica i praticanti dei tre diversi scopi è l’intenzione. L’intenzione dei praticanti che hanno uno scopo inferiore è il distacco dal benessere e la rinuncia all’attuale esistenza e praticano il Dharma per ottenere una rinascita migliore.
Questo è un passo importante perché il praticante di Dharma non può avere attaccamento ai beni di questa vita, né avversione.
Se hai attaccamento al samsāra significa che non hai sviluppato la rinuncia, se hai attaccamento alle tue ragioni o motivazioni significa che non hai sviluppato la compassione, se hai attaccamento a te stesso significa che non hai realizzato la retta visione.
La discriminante nell’essere o meno un praticante di Dharma è data dall’intenzione di attaccamento o meno a questa vita.
E’ importante sapere che i praticanti di livello inferiore rappresentano il primo passo fondamentale e devono attuare la rinuncia.
Nel momento in cui si è liberi dall’attaccamento a questa esistenza si è automaticamente liberi dal duhkha (la prima nobile verità della sofferenza).
Domanda: quando dici attaccamento però includi anche l’avversione?
Lama: Si, sono entrambi contrari alla rinuncia. Qual’è l’intenzione dei praticanti Lam Rim con scopo medio?
Risposta: Hanno realizzato la rinuncia, ma soltanto per se stessi, per la personale liberazione.
Lama: Il secondo livello è più chiaro, si è rinunciato ad ogni piacere del samsāra, non si commettono azioni negative, si desidera la liberazione individuale. Queste tre caratteristiche definiscono l’intenzione del praticante con scopo medio.
Ora cerchiamo le caratteristiche simili nel praticante con scopo inferiore. La prima è la rinuncia ai piaceri di questa vita, la seconda è non commettere nessuna azione negativa nei confronti degli altri, e la terza è desiderare il benessere samsārico nelle vite future.
In nessun caso si ha l’intenzione di ottenere benessere nell’esistenza attuale, perchè nel momento in cui questa ha fine scompaiono tutti i suoi ottenimenti, se invece si agisce per le prossime esistenze se ne potranno godere i risultati.
Leggiamo la descrizione del terzo tipo di praticante Lam Rim.
“Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.”
Chi sono? e quali sono le tre caratteristiche simili a quelle degli altri due?
Risposta: Sono i praticanti Mahāyāna che hanno sviluppato la bodhicitta. Le caratteristiche sono la pacificazione, la rinuncia completa di sé stessi, non commettere nessuna azione negativa in contrasto con l’attitudine altruistica, raggiungere l’illuminazione, e nessuna delle tre è limitata alla propria liberazione, bensì è rivolta a quella degli altri, è lo sviluppo della bodhicitta e della compassione.
Lama: La qualità di non commettere azioni negative contro l’intenzione altruistica a livello effettivo si realizza con precise pratiche: 
I praticanti di livello inferiore praticano l’etica nelle dieci azioni virtuose.
I praticanti di livello medio praticano le trentasette pratiche per il nirvāna.
I praticanti di livello superiore praticano le sei pāramitā.
Se non comprendiamo chiaramente questa cornice esterna è poi difficile scendere più in profondità e per questo motivo Atīsa descrive i tre tipi di praticanti nei primi versi del suo trattato, offrendo così una visione panoramica del Lam Rim.
Quali sono le tre principali pratiche del Lam Rim?
Risposta: Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
Lama: Perfetto! Molto bene. La pratica degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente”, del Lo Jong, a quale dei tre tipi di praticanti appartiene?
Risposta: Ai praticanti di livello superiore, dal grande scopo, al Mahāyāna.
Lama: Bene, e il “Sūtra del Cuore”?
Risposte: Sempre al terzo livello, è la saggezza…, veramente anche al secondo livello dell’aspirazione al nirvāna…
Lama: Infatti è una pratica comune sia al Mahāyāna che all’Hīnayāna.
Quale saggezza praticano coloro che appartengono al livello inferiore?
E’ la saggezza dell’impermanenza. Per rinunciare all’attaccamento a questa vita la chiave è la saggezza dell’impermanenza.
Noi abbiamo attaccamento per l’oggi, per domani, per il mese prossimo, per gli anni a venire a causa della visione errata della permanenza, viviamo come se considerassimo quest’esistenza eterna, ma la vita è come il fluire dell’acqua di un fiume, invece noi viviamo come se la corrente non scorresse affatto.
In realtà tutto cambia incessantemente e anche se non ce ne accorgiamo siamo incatenati al concetto di permanenza, questa è la maggiore espressione della nostra ignoranza da cui consegue il nostro comportamento, l’enorme ostacolo che ci impedisce di essere praticanti di Dharma.
I puri praticanti di Dharma hanno rinunciato a qualsiasi attaccamento al benessere di questa vita avendo realizzato l’impermanenza.
La meditazione sull’impermanenza è molto potente ed è un concetto presente anche nella tradizione cristiana, i monaci trappisti incontrandosi si rivolgono questo significativo saluto: “fratello ricordati che devi morire”.
In Tibet ci sono persone che meditano per lungo tempo nei cimiteri, che non sono belli e curati come i vostri, sembrano davvero una terra popolata da spiriti, da demoni e andarci di notte fa veramente paura. Molti yogi hanno praticano lungamente il Chöd ( tagliare, recidere) in centootto cimiteri e in centootto fiumi accanto alla corrente per realizzare l’impermanenza, l’assenza di sé, l’amore e la compassione. Anche a noi sarebbe molto utile questa meditazione.
Domanda: Qui le persone curano molto le tombe, vanno spesso al cimitero, ma non è anche questa una forma di attaccamento?
Lama: Non si può dire, il culto dei morti dipende dalla tradizione, dalla cultura, i luoghi e le circostanze sono diverse. L’impermanenza è difficile da realizzare, ma fondamentale.
Grazie per essere venuti con costanza a questi incontri, è molto importante per me, siamo collaboratori di Dharma, un piccolo Sangha e insieme possiamo accumulare karma positivo, dobbiamo continuare a praticare, riflettere sui tre livelli di praticanti del Lam Rim, ricercare e meditarne tutti gli aspetti.

Grazie, concludiamo con la dedica Lam Rim (V. testi annessi pag. IV)



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SECONDA   PARTE

Settembre  -  Dicembre 2006  
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Meditazione sulla Vacuità


Iniziamo questo secondo periodo di riflessione dell’anno con la lettura del “Sūtra del Cuore della Perfezione della Saggezza” (V. testi annessi pag. VI).

E’ magnifico meditare sul sūtra dell’essenza della saggezza, perché senza di essa non ci sarebbe nessuna possibilità di tagliare l’attitudine egoistica.
Noi siamo nel samsāra, nel cerchio della sofferenza, a causa dell’attaccamento al sé, origine di ogni problema.
Abbiamo la percezione dell’esistenza di un io unico, indipendente, permanente, da cui nasce l’idea di mio che a sua volta genera attaccamento o avversione verso ogni oggetto esterno.
La concezione errata dell’io e del mio è la base di tutte le sofferenze dell’esistenza, il motore che muove il cerchio senza fine del samsāra e, intrappolati in esso, perdiamo la libertà, diventiamo schiavi, come i tibetani che hanno perso la loro indipendenza e non hanno più una nazione.
Quando pensiamo alla condizione di queste persone spontaneamente sorge in noi un moto di compassione, di gentilezza amorevole, allo stesso modo quando riflettiamo sulla condizione del samsāra e degli esseri che vi sono imprigionati, dovremmo provare lo stesso sentimento.
La vita ci appartiene, ma non ne abbiamo un consapevole controllo, ci lasciamo trascinare dalle forze motrici dell’egocentrismo e dell’egoismo che non corrispondono affatto al nostro desiderio di felicità, anzi si contrappongono, dunque riflettendo sulla condizione samsarica in cui siamo tutti immersi, noi e gli altri, non può non nascere naturalmente nel cuore la compassione e la gentilezza amorevole.
Meditazione non è levitare o sperimentare sensazioni particolari ed eccelse, è semplicemente l’osservazione profonda e chiara, con mente lucida, di questi fenomeni fino al momento in cui si manifesta quell’emozione che ci spinge ad un’attitudine positiva.
Non ha alcun senso esaminare questi aspetti soltanto su un piano intellettivo, teorico, ma lo si deve introiettare a livello profondo tanto da modificare l’usuale atteggiamento mentale.
La meditazione sulla compassione rivolta in perfetta equanimità a tutti gli esseri è addestramento mentale, trasformazione della mente nell’interiorizzazione ininterrotta e stabile dell’oggetto meditato, fino a che diventi parte integrante e irrinunciabile del nostro modo di essere.
Per meglio comprendere questo concetto possiamo osservare con attenzione la nostra sofferenza, non la più evidente, fisica o mentale, ma quella sottile condizione di insoddisfazione perennemente presente che pervade ogni aspetto dell’esistenza.
Dopo aver meditato su questa condizione possiamo scendere più a fondo e analizzarne le cause, vedremo allora che tutto è causato dall’attaccamento all’io e dall’attaccamento al mio, i due atteggiamenti mentali responsabili quell’incessante stato di dolorosa insoddisfazione.
Questo tipo di meditazione ci condurrà contemporaneamente alla realizzazione della rinuncia, della compassione e della gentilezza amorevole.
La realizzazione non consiste nell’avere visioni sublimi, significa semplicemente che l’oggetto di meditazione diviene parte sostanziale della nostra personalità, del nostro comportamento.
Quando la rinuncia, la compassione, la gentilezza amorevole, saranno parte integrante del nostro atteggiamento quotidiano avvertiremo un senso di pienezza, di autentica soddisfazione, la fonte da cui scaturirà il nettare che ci permetterà di affrontare serenamente qualsiasi necessità della vita quotidiana.
Accade abbastanza frequentemente che quando siamo qui riuniti a parlare di Dharma ci sembri di aver compreso e assimilato tutto perfettamente, ma non appena l’incontro si conclude anche gli atteggiamenti mentali, apparentemente solidi, finiscono e ciò significa che non abbiamo ancora conseguito quest’attitudine mentale.
La nostra vita non è realmente indipendente, è come la ruota di un mulino ad acqua che gira incessantemente e raccoglie tutte le sofferenze, una dopo l’altra.
Lo straordinario maestro Candrakīrti nella sua opera Mādhyamika “Introduzione alla Via di Mezzo” descrive questa situazione:
“Gli esseri pensano “io” e si attaccano al sé, poi pensano “mio” e si attaccano alle cose e così girano inermi come i secchi di una ruota di un mulino ad acqua, ed alla compassione verso questi esseri io porgo omaggio.”
In questo verso ci sono due concetti importanti, il primo spiega perché ci ritroviamo ripetutamente nel samsāra, inteso come cerchio di sofferenza metaforicamente reso dal mulino che ruota incessantemente.
Il secondo concetto indica il metodo per sviluppare la compassione tramite la conoscenza lucida del samsāra e la ragione che lo determina.
Un ulteriore aspetto è l’indicazione di dover rendere omaggio alla grande compassione, non a qualche persona particolare, bensì a quest’attitudine straordinaria.
Abbiamo compreso la natura del samsāra e la sua radice, sviluppato la compassione e imparato come apprezzarla e condividerla e da ciò scaturisce la necessità e rilevanza dell’essenza della saggezza.
Per estirpare alla radice la sofferenza dobbiamo acquisire l’essenza della saggezza. Come la si realizza?
L’essenza della saggezza ha la capacità di tagliare alla radice l’origine della ruota del samsāra, e qual’è la vera radice del samsāra?
Risposte: L’attaccamento al sé, l’ignoranza.
Lama: Si, ma soprattutto, in termini filosofici, è la visione errata, un concetto fondamentale, diverso da attaccamento e ignoranza, che deve essere esattamente inteso.
La concezione errata è la radice del samsāra, mentre la concezione retta è la radice del nirvāna.
La retta visone è quella osservata dalla saggezza.
Ogni problema che sorge nella visione errata deriva dall’attitudine all’attaccamento al sé, mentre nella retta visione, che ne è libera, si eliminano tutti gli ostacoli, le difficoltà, le confusioni, le sofferenze.
La retta visione è l’oggetto della saggezza, mentre la visione errata è l’oggetto dell’ignoranza, da ciò si evidenzia che l’ignoranza e la visione errata sono due fattori distinti, così come la retta visione e la saggezza.
La visione dell’ignoranza è pensare che tutte le buone cose siano frutto dell’attaccamento al sé e alimentando questo fraintendimento, anche se cercassimo di migliorare noi stessi, in realtà non potremmo che peggiorare, è chiaro? Ci sono domande?
Domanda: A me risulta proprio difficile comprendere il concetto di vacuità espresso nel Sūtra del Cuore….
Lama: Tecnicamente il significato di vacuità è la natura interdipendente. Né la sofferenza né la felicità esistono in maniera indipendente, dipendono sempre da altre condizioni. Senza cause e condizioni nessuna entità può esistere autonomamente per questo la sua natura è vacua. Per via della vacuità i fenomeni sono imprescindibilmente interdipendenti.
Queste realtà sono le facce di una stessa medaglia, ovvero esiste la natura interdipendente perché esiste la vacuità, e il fatto che esista la vacuità permette alle cose di esistere in maniera interdipendente.
Per esemplificare si può pensare ad un bicchiere pieno d’acqua, Il bicchiere dà la possibilità all’acqua di entrarvi e nel contempo afferma l’esistenza del bicchiere d’acqua. Il bicchiere d’acqua dipende dal bicchiere capace di contenere l’acqua, il bicchiere d’acqua non può esistere in maniera indipendente.
L’esempio ci mostra un aspetto del significato che stiamo ricercando, anche se non è completo.
Quando non riesci a realizzare la vacuità devi riflettere sulla natura interdipendente, e quando non riesci a realizzare la natura interdipendente devi riflettere sulla vacuità. Queste sono le due porte per avere una visione globale della realtà e se rimangono chiuse non c’è modo di entrare, stiamo fuori e aspettiamo fino a quando non si apriranno, ci vuole molta pazienza.
E’ stata una bella domanda perché ci obbliga a riflettere sulla vacuità, le domande sono importanti nell’insegnamento di Dharma che deve appunto essere dato in risposta ai problemi e alle sofferenze umane.
A volte sono in difficoltà quando le persone mi dicono di parlare su uno specifico argomento predefinito in un titolo, è più facile rispondere alle domande che vengono dal cuore, da una ricerca spirituale.
Prima è bene cercare tutte le domande, non le risposte, e anche se non sono subito perfettamente chiare non importa, dobbiamo ordinarle con cura così da poter comprendere le risposte, questo è il modo giusto di procedere nel cammino spirituale.
Grazie, possiamo concludere l’incontro ricordando i versi di Candrakīrti:
“Gli esseri pensano “io” e si attaccano al sé, poi pensano “mio” e si attaccano alle cose e così girano inermi come i secchi di una ruota di un mulino ad acqua, ed alla compassione verso questi esseri io porgo omaggio.”
E’una preghiera e una meditazione bellissima ed essenziale, ed è davvero un peccato che tutta la vita scorra e finisca in una continua rincorsa dell’ io…io…io… o del mio…mio…mio…, sarebbe meglio impegnare la vita dicendo gli altri….altri…. altri…
Il bene del prossimo è fonte autentica di gioia per noi stessi e per tutti gli esseri, mentre pensare io e mio sarà inevitabile causa di sofferenza per noi e per gli altri, quindi dobbiamo dimenticare io e mio e l’unico mezzo che ci permette di cambiare questa usuale e nociva attitudine è la meditazione.
Questa è la via insegnata dal Buddha che noi chiamiamo Dharma.

Grazie.






Svantaggi di non meditare sull’impermanenza


I “Tre Aspetti Principali del Sentiero”, la rinuncia, la bodhicitta e la saggezza che realizza la realtà ultima dei fenomeni, sono l’essenza del Lam Rim.
Il termine Lam Rim è stato foggiato in Tibet nella tradizione buddhista che proveniva dall’India, in particolare dall’università monastica di Nālandā, le cui estese rovine si possono ancora ammirare oggi a pochi kilometri da Bodhgayā, luogo in cui il Buddha ebbe l’illuminazione.
Abbiamo già detto che il testo principale del Lam Rim è “La Lampada sul Sentiero dell’illuminazione” composta da Atīsa e tradotta da eruditi tibetani che avevano avuto l’opportunità di completare gli studi all’università di Nālandā.
La tradizione Lam Rim si è diffusa in tutte le scuole del buddhismo tibetano anche se è stata approfondita e praticata soprattutto dai maestri kadampa, i diretti discepoli di Atīsa.
Il Lam Rim, che significa “stadi del sentiero che conduce all’illuminazione”, unifica tutte le pratiche buddhiste.
Nelle scritture tibetane gli insegnamenti Lam Rim sono numerosissimi, ma di pochi si hanno le versioni nelle lingue occidentali, ad esempio questo stupendo testo su cui sto impostando i nostri incontri non è mai stato tradotto.
Apprendere il Lam Rim non è così facile, però anche il semplice tentativo di metterlo in pratica è un atto particolarmente virtuoso e meritevole.
La pratica del Dharma è pratica di rinuncia, senza aspettative, senza attaccamento, libera nella ricerca spirituale.
Prima di addentrarsi in qualsiasi azione di Dharma è necessario preparare il contenitore puro, pulito che, automaticamente, potrà essere riempito da qualcosa di positivo. E’ indispensabile predisporsi con una buona intenzione, una motivazione incontaminata e un interesse sincero, non scordando mai che ciò che si sta facendo non è finalizzato esclusivamente al proprio benessere, bensì a quello di tutti gli esseri senzienti.
La felicita o infelicità personale non dipende soltanto da noi stessi, ma anche da tutti gli esseri che ci circondano così come, ugualmente, la loro felicità o infelicità dipende da noi; non esiste la possibilità di creare per se stessi felicità o infelicità in modo indipendente, qualsiasi azione compiuta, nel bene e nel male, riguarda tutti.
I benefici del Lam Rim sono descritti nella versione breve, nel testo potente che ne comprende l’intera essenza, “I Versi dell’Esperienza” - Bsdus Dön; leggiamo il verso ottavo:
“Sebbene guadagni un grande merito recitando o ascoltando anche una sola volta questo testo scritto da Atīsa, che include i punti essenziali di tutte le affermazioni delle scritture, è certo che accumulerai anche grandi raccolte di benefici studiando e insegnando effettivamente il sacro Dharma in esso contenuto. Quindi dovresti prendere in considerazione il metodo per farlo correttamente.”
Anche solo insegnando, studiando, o leggendo un’unica volta questo testo si accumulano meriti, se pure non si apprendesse nulla e non si ottenesse un risultato tangibile. 
La rinuncia, è la mente di non attaccamento;
la bodhicitta è il supremo altruismo;
la saggezza che realizza la realtà ultima dei fenomeni è la saggezza che taglia alla radice l’ignoranza.
I problemi del pianeta non sono creati dagli esseri umani in quanto tali, ma dalla fitta ignoranza che impedisce la retta visione.
Immancabilmente imputiamo ad altri ogni responsabilità per i problemi nostri, della società, del mondo, ma in realtà ciò che dovremmo criticare non è un essere umano, bensì l’ignoranza. L’ignoranza è in tutti, in noi come negli altri, e la sua addizione incrementa gli ostacoli e la sofferenza del samsāra.
Non è dunque possibile giudicare nessuno, dobbiamo invece imparare a distinguere l’individuo dall’ignoranza manifesta.
La qualità ultima e la caratteristica positiva delle persone è la saggezza, per cui non perdiamo la speranza di poter rendere migliore questo mondo, è il nostro autentico obiettivo, che non coincide affatto con le lotte per il potere, per la ricchezza, per i beni illusori, dobbiamo combattere soltanto per ottenere la saggezza ed eliminare l’ignoranza.
La spiritualità e il Dharma sono aspetti basilari della nostra esistenza e ci sarebbe ancora molto da dire, però fermiamoci un istante per approfondire la lettura attenta e meditata dei “Tre aspetti principali del sentiero” (V. testi annessi pag. I).

Il testo tibetano a cui mi riferisco, e che dovrebbe indicare soltanto la pratica preliminare, è in realtà completo e complesso e a proposito della rinuncia mostra come le cose a cui rinunciare siano infinite.
Vi tradurrò soltanto gli argomenti trattati nei vari capitoli:
Il primo tratta delle modalità di rinuncia a questa vita;
il secondo della rinuncia ai parenti;
il terzo della rinuncia agli amici;
il quarto della rinuncia a insegnamenti superficiali e, altrettanto, all’ascolto approssimativo, il che significa rinunciare a tutte quelle azioni che solo in apparenza sono altruistiche.
Gli oggetti a cui rinunciare sono:
l’apprezzamento e il rispetto che si ottiene dagli altri;
l’accumulazione di oggetti materiali;
l’attaccamento al cibo e alle bevande;
l’attaccamento a ciò che ci è donato;
le amicizie superficiali e il piacere per la mondanità;
la gratificazione derivante da un nostro atteggiamento gentile e sorridente se nasconde un interesse personale;
l’accumulazione di meriti per questa vita;
il piacere per gli oggetti e le comodità dell’esistenza attuale;
gli otto dharma mondani;
il desiderio, con attaccamento, di ottenere gioia o felicità.
Inoltre si sottolinea un altro aspetto della rinuncia che consiste nell’aver imparato a vedere le nostre sofferenze come ornamenti, fonti di effettivo e prezioso beneficio.
In genere siamo spaventati dalla possibilità di soffrire, il dolore ci incute avversione, ma la rinuncia evidenzia una prerogativa ben diversa, dimostrando che il dolore è un ornamento che ci rende migliori, più belli e più ricchi.
Dobbiamo poi rinunciare a raccogliere beni, anche se sono per il maestro, per il Lama, per Buddha, per Cristo, per Dio.
Bisogna dunque praticare incessantemente al fine di predisporre le cause immediate della rinuncia alla presente esistenza, ma quali sono queste cause? è una domanda basilare perché l’attaccamento a questa vita è cruciale, nessuno vuole sentir parlare di morte, né della propria né di quella altrui, tutti ne siamo atterriti.
Dunque vi ripropongo la domanda, quali sono le cause immediate per rinunciare a questa vita?
Risposta: l’impermanenza…
Lama: si, la realizzazione dell’impermanenza è una causa.
Tutti sappiamo che è imprescindibile rinunciare a questa vita, però nessuno riesce a farlo in quanto manca delle cause immediate, eppure abbandonare l’attaccamento per l’attuale esistenza è la pratica principale del Dharma.
E’ indispensabile realizzare le cause immediate di questa rinuncia, dobbiamo riflettere approfonditamente sul principio dell’impermanenza, perché come insegna Lama Tsong Khapa, gli svantaggi di non farlo sono infiniti.
Siamo certi di dover morire, ma tutti pensiamo che questo avverrà in un futuro lontano, né oggi, né domani, e rimaniamo beatamente immersi in questa convinzione fino all’ultimo respiro, avvolti nell’illusoria coperta dell’ignoranza che concepisce la realtà come permanente.
Continuiamo imperterriti a concentrare tempo ed energie nel progettare la felicità per l’imminente futuro, ci preoccupiamo del domani, della prossima settimana, del prossimo mese, degli anni che verranno e così sprechiamo il presente e non riflettiamo sulla autentica felicità a lungo termine.
Ogni tanto abbiamo una vaga intuizione che ci suggerisce di praticare per la felicità duratura delle prossime esistenze, ma immediatamente ci lasciamo distrarre dalle chimere di piaceri istantanei e ci convinciamo che non sia così urgente, pensiamo di poter rimandare all’infinito.
In India è famosa la parola “kal”, che significa domani, infatti quando si va a chiedere qualcosa, un favore, un documento, la risposta è inesorabilmente kal e il giorno dopo e tutti quelli a seguire sarà ancora kal.
Così facciamo noi nei confronti di noi stessi, anche se siamo consapevoli di dover praticare per i benefici a lungo termine, ci concentriamo invece su ciò che faremo domani ritenendolo molto più importante, e ci sarà sempre un domani denso di inutili oggetti considerati erroneamente prioritari e fino all’ultimo respiro tralasciamo di costruire pazientemente i preziosi e fondamentali benefici duraturi, sperperando tutto il tempo a disposizione.
L’ignoranza nasce dal concetto di permanenza che ci porta ad afferrarci a questa vita sprecata in un altalenare di attaccamenti e avversioni che ci fanno sprofondare nella totale confusione, nei problemi e nella sofferenza, è circolo vizioso da cui non ne usciamo, intrappolati in faccende insignificanti e spesso nocive.
La nostra vita è importantissima, ogni attimo del tempo a disposizione è prezioso, non sciupiamo questa opportunità in futilità, dormendo e mangiando eccessivamente, oziando senza pensare, chiacchierando continuamente a vanvera, girovagando senza scopo.
Non gettiamo via l’esistenza che può essere invece di grande beneficio a noi e agli altri, al singolo e alla società, riflettiamo sul concetto di impermanenza, e non secondo un metodo scientifico di studio rivolto a oggetti esterni come il movimento egli atomi o altro, ma osservando noi stessi, il nostro essere, il nostro tempo, valutiamone ogni eccellente investimento.
Dobbiamo riflettere sull’impermanenza oggi, e non rimandarne l’analisi a domani, domani potremmo già essere morti e allora non avremo seminato nulla di proficuo né per noi né per gli altri. Negare questa evidenza è veramente sciocco, è la politica dello struzzo che pensa di sfuggire ai predatori nascondendo la testa nella sabbia.
E’ indubbiamente assai più saggio e rasserenante essere consapevoli e preparati al fatto che oggi stesso potrei morire, piuttosto che affermare stoltamente che “oggi non morirò sicuramente e nemmeno domani e per tanto tempo ancora vivrò”.
Pensare di poter morire oggi stesso corrisponde alla realtà, mentre fare progetti per un ipotetico e non garantito futuro è illusorio.
Domanda: E’ evidente che essere pronti a morire significa vivere la pienezza dell’istante, ma come si pone il buddhismo rispetto alla casualità degli eventi? esiste il caso, oppure no?
Lama: Anche la casualità ha delle cause. Esiste nel senso comune, ma deve essere interpretata nella giusta maniera.
Intervento: Nella scienza la casualità non succede per caso, ma in conseguenza a cause reali e concrete che non conosciamo. Anche la mela caduta dall’albero appariva come evento casuale, poi si è scoperto che il fenomeno era dovuto alla legge di gravità.
Lama: Nella casualità le cause si verificano in modo labile, tale da interrompere l’apparenza del normale svolgersi dei fenomeni, ma anche la casualità è determinata da cause.
Riassumendo:
Il primo dei tre aspetti principali del sentiero è la rinuncia;
Il primo elemento a cui dover rinunciare è l’attaccamento a questa vita;
la causa immediata per ottenere questa realizzazione è la riflessione sull’impermanenza.
Oggi abbiamo affrontato gli svantaggi derivanti dal non riflettere sull’impermanenza e gli ostacoli che rendono tanto difficile l’accettazione di questa realtà.
Riflettere sull’impermanenza è come spazzar via tutte le sofferenze.
Domanda: E’ un metodo sbagliato usare questa riflessione per sviluppare la compassione?
Lama: No, è un modo corretto, uno dei benefici derivanti dalla riflessione sull’impermanenza è l’amore e la compassione. Nel momento in cui riflettiamo sull’impermanenza di noi stessi e degli altri tutta l’avversione, la rabbia, l’astio, l'attaccamento, scompaiono automaticamente e questo ci offre l’opportunità di incrementare l’amore e la compassione che già sono presenti e radicati nel nostro cuore, anche se oscurati dall’attaccamento e dalla rabbia.

Prima di congedarci dedichiamo alcuni minuti alla meditazione silenziosa per riflettere sull’impermanenza dei fenomeni nell’auspicio che tutti gli esseri senzienti possano realizzarla.
Grazie.





Vantaggi di meditare sull’impermanenza e sulla morte


Iniziamo l’incontro con la lettura dei “Tre aspetti principali del sentiero” (V. testi annessi pag. I) 
Meditare su questi tre punti la rinuncia, lo sviluppo della mente altruistica e la saggezza che realizza la realtà ultima dei fenomeni, è indispensabile in quanto costituiscono l’essenza del Dharma e portano alle realizzazioni più elevate e al potenziamento della qualità della mente.
Non dovremmo limitare l’approccio ai “Tre aspetti principali del sentiero” ad un livello letterale o linguistico, bensì cercare il significato profondo dei valori universali.
La parola “rinuncia”, ristretta nella definizione lessicale, è limitativa, mentre il significato che propone è vastissimo.
Dedichiamo dunque alcuni minuti alla meditazione di questi valori rilassando il corpo, aprendo la mente e ascoltando la nostra interiorità.
(segue meditazione).

La settimana scorsa abbiamo considerato la realizzazione dell’impermanenza, condizione indispensabile al fine di abbandonare ogni attaccamento.
Il primo dei tre aspetti principali del sentiero è la rinuncia e la condizione primaria per poterla attuare è la realizzazione dell’impermanenza che comporta l’abbandono dell’attaccamento a questa vita.
Ci sono due modi per riflettere sull’impermanenza, uno consiste nell’osservazione degli svantaggi che derivano dalla sua negazione, e il secondo nella considerazione dei vantaggi che si ottengono con la sua applicazione.
La non accettazione dell’impermanenza comporta una visione distorta di ogni fenomeno, ad esempio pur avendo certezza della morte, tendiamo a considerarla un evento quasi teorico, lontanissimo estraneo a noi. Questa è un’osservazione errata della realtà che ci impedisce di vivere significativamente, ci mostra soltanto i possibili risultati effimeri a breve termine e oscura completamente la capacità di occuparci di quelli duraturi, a lungo termine.
Siamo indotti in gravi errori dalla percezione deformata di noi stessi e di ciò che ci circonda, consideriamo tutto permanente e ci incateniamo alle illusioni nel circolo vizioso del samsāra, prigionieri dell’ignoranza, e qualsiasi azione positiva, come la pratica del Dharma, non riuscirà mai a penetrare in noi, rimarrà in superficie, circoscritta all’immediato futuro.
Invece dovremmo fare l’esatto contrario e occuparci seriamente dei risultati a lungo termine imprimendo maggior forza alla crescita spirituale piuttosto che agli ottenimenti temporali.
Purtroppo la società tecnologica ha eliminato completamente lo spazio dell’autentica spiritualità, con il termine “mente” si riferisce unicamente al cervello, mentre l’anima, il cuore, l’umanità, sono stati definitivamente annullati.
Oggi l’attenzione è concentrata esclusivamente sullo sviluppo economico, sulla folle necessità di consumare in modo scriteriato e inutile, di ricercare cibi elaborati, abiti eleganti, case perfettamente arredate, automobili di prestigio, oggetti tecnologici sempre più sofisticati, rinunciando in questo modo all’essenza fondamentale dell’essere umano.
Ci stiamo trasformando in robot, lo sviluppo tecnologico esasperato porterà alla perdita definitiva della spiritualità, i robot non meditano.
Qui stiamo invece cercando di prenderci cura della nostra anima, della nostra mente e non è necessario anelare direttamente al paradiso o temere l’inferno, è sufficiente aver cura del nostro cuore. Aver considerazione per la mente, per il cuore, è già qualcosa di superiore rispetto al vuoto affannarsi in tante attività materiali.
Consideriamo insieme i benefici derivanti dalla riflessione sull’impermanenza.
La realtà dell’impermanenza è confermata dai dubbi che ci assalgono rispetto al futuro, non abbiamo certezze, non sappiamo nemmeno se domani saremo vivi.
Quindi qual’è l’atteggiamento migliore? Sprecare tutte le energie per ottenere benefici evanescenti, limitati ad un tempo brevissimo, oppure prepararci coscientemente a morire avendo maturato attitudini positive?
Certamente è meglio prepararsi a morire, perché se anche non sarà oggi né domani, è comunque un evento inevitabile e ogni istante vissuto in consapevolezza acquista valore, è prezioso.
Prepararsi ad andarsene non significa rinunciare a vivere, al contrario evidenzia la necessità di imparare a trasformare ogni attimo in preziosa e piena esperienza.
Se sperperiamo tutte le energie giorno dopo giorno per ottenere benefici di un perenne ipotetico domani destinato a non essere mai l’oggi, otterremo soltanto stanchezza e frustrazione in un’attesa inutile e priva di senso.
Per questo è essenziale liberarci dall’attaccamento per ciò che avverrà domani, vivendo invece l’oggi in semplicità, liberi da ogni inutile preoccupazione.
Tra le infinite percezioni, quella della morte e dell’impermanenza della realtà sono quelle supreme, in grado di eliminare definitivamente l’attaccamento, l’orgoglio, l’avversione e l’ignoranza.
La conoscenza dell’impermanenza è il martello che distrugge tutte le concezioni errate e apre la porta alla prosperità.
L’impedimento alla pratica del Dharma e alla vita pacifica è il risultato della non realizzazione dell’impermanenza.
Sprechiamo tutto il tempo pensando a ciò che potremo ottenere il giorno dopo, la settimana dopo, il mese dopo, l’anno dopo…., accumulando stress e frustrazione, facciamo come gli indiani che alle richieste di prestazioni o affari rispondono inesorabilmente: “kal” (domani).
La riflessione sull’impermanenza e sulla morte è una fondamentale pratica di Dharma e la si trova anche nel cristianesimo, soprattutto nelle tradizione monastiche contemplative.
Quando si giunge al nucleo centrale della spiritualità si annulla ogni possibilità di contraddizione tra le religioni del mondo, e oggi è assolutamente doveroso abbattere tutte le barriere edificate per dividere, con l’unico scopo di difendere interessi temporali e non spirituali.
In ogni religione si dà grande rilievo alla meditazione sull’impermanenza e sulla morte.
Intervento: Nel cattolicesimo, per iniziare il periodo di quaresima prima della Pasqua, si dedica un giorno alla penitenza “il mercoledi delle ceneri” in cui il sacerdote segna con la cenere la fronte dei fedeli dicendo: “cenere sei e cenere ritornerai”.
Lama: Molto bello.
I concetti dell’impermanenza e della morte sono immensamente profondi e per questo non è sufficiente riflettervi di tanto in tanto, ma è necessario assimilarli in sé stessi, consapevoli di dovervi meditare continuamente.
Il nostro compito consiste nell’integrare la pratica spirituale con il mondo materiale, due realtà che devono coesistere armonicamente, senza negarne nessuna. La loro separazione creerebbe inutili problemi.
Domanda: Vivere non preoccupandosi del domani è in teoria molto bello, ma se lo si vuole applicare davvero ci si  ritrova a dormire sotto i ponti, possono permetterselo unicamente coloro che fanno scelte radicali come Milarepa o san Francesco….
Lama: Proprio per questo insisto sulla necessaria coesistenza dell’aspetto materiale con quello spirituale; la non preoccupazione per il domani è data dalla mancanza di ogni attaccamento, dobbiamo vivere oggi con piena coscienza, in totale libertà, in modo sano, gioioso.
Non esiste alcuna contraddizione tra vivere il presente e non preoccuparsi del futuro, anzi c’è perfetta integrazione. Meditare non significa non dover lavorare, così come il lavoro non esclude la meditazione.
Possiamo utilizzare al meglio il computer, la scrivania, coscienti della loro impermanenza, in questo modo tutto sarà più facile, semplice, leggero, libero dalle illusioni dell’ignoranza.
Domanda: Per allenarmi a riflettere sull’impermanenza io uso il metodo di smontare mentalmente gli oggetti, ad esempio osservo quel tavolino e penso che può avere un tarlo, o che può rovinarsi in un trasloco, non so se è corretto…
Lama: L’impermanenza ha due livelli, uno grossolano e uno sottile. Un esempio del livello grossolano è la morte, visibilmente evidente a tutti, mentre il progressivo avvicinarsi della morte ad ogni istante di vita non è così immediatamente palese e questo è il livello sottile.
Purtroppo noi dimentichiamo ineluttabilmente sia il livello grossolano che quello sottile dell’impermanenza, di tanto in tanto il livello grossolano emerge alla coscienza quando particolari eventi esterni ci costringono a prenderne atto, mentre abbiamo rimosso totalmente il livello sottile e in questo modo ne siamo assolutamente inconsapevoli.
In Tibet si usava scrivere sui muri la parola “impermanenza”, era soprattutto una consuetudine per gli yogi raccolti in meditazione nelle grotte, e non sarebbe male se anche noi ne tappezzassimo le stanze, così da non scordarcene mai.
Dovremmo ricordare l’impermanenza sin dal primo mattino e potremmo sostituire l’usuale saluto “buon giorno” con “ricorda che sei impermanente”, chissà potrebbe essere un ottimo inizio di giornata!...
Grazie a tutti, ora dedichiamo l’accumulazione dei meriti maturati in queste ore per il beneficio degli esseri senzienti.






Meditazione sull’impermanenza e sulla morte 


Iniziamo l’incontro leggendo, non solo con la voce, ma con la mente e con il cuore, i “Tre Aspetti principali del Sentiero, (V. testi annessi, pag. I) 
I “Tre aspetti principali del sentiero” realizzano la rinuncia, la bodhicitta e la saggezza che riconosce la vera natura delle cose e rappresentano l’intero percorso del Lam Rim che conduce alla completa pace interiore.
Nel precedente incontro abbiamo studiato la rinuncia che porta  a desiderare il nirvāna, la liberazione dal samsāra.
Dobbiamo soffermarci sul significato dei due termini sanscriti, samsāra e nirvāna; samsāra è stato tradotto nelle lingue occidentali in molti modi, sostanzialmente significa “vita”, non in senso letterale, bensì come esistenza dominata dalle forze del karma e delle illusioni.
Il termine karma a sua volta deve essere compreso come insieme di impronte marcate dalle illusioni mentali.
Le illusioni mentali sono tante, ma le tre fondamentali sono l’ignoranza, l’odio, l’attaccamento e fissano nei nostri cicli vitali le impronte profonde che costituiscono il karma.
La nostra esistenza è dunque condizionata dalle orme impresse dalle illusioni mentali del passato che costituiscono il nostro karma e dalle illusioni mentali del presente dell’ignoranza, della rabbia, dell’attaccamento, manifeste sia in modo palese che subdolo, meno riconoscibile, ma pur presente.
Usando una metafora possiamo immaginare un mare, un oceano o un lago con una superficie apparentemente calma, al di sotto però il movimento è incessante a causa delle bolle prodotte dai calchi del karma incisi sul fondo, che rappresentano le illusioni mentali di rabbia, attaccamento e ignoranza. La nostra esistenza corrisponde alla superficie d’acqua scossa continuamente da queste forze.
Con un’altra metafora potremmo immaginare di essere acqua che sgorga dal monte Everest e fluisce fino all’oceano, da cui risale nell’atmosfera in goccioline di vapore per ricadere nuovamente come pioggia o neve sull’Everest, in una successione continua. Così è il ciclo delle vite nel samsāra, non avviene casualmente o automaticamente, è determinato da queste forze.
La rinuncia è dunque desiderare la liberazione dal circolo vizioso in cui siamo intrappolati e che ci costringe, esattamente come la molecola d’acqua, a ruotare nello stesso ininterrotto processo.
Per realizzare la rinuncia non è sufficiente averne l’aspirazione, è necessario agire.
La rinuncia è un’attitudine potente, ma deve essere accompagnata dalla saggezza che comprende la vera natura dei fenomeni e realizza la realtà ultima, perché senza questa conoscenza non potremo essere liberati dal samsāra.
La rinuncia è l’aspirazione, la volontà ad uscire dal samsāra, ma la saggezza è la forza che ne permette l’attuazione.
La rinuncia unita alla saggezza ci libera dal samsāra, ma l’unione della rinuncia con la bodhicitta, cioè la suprema intenzione altruistica, e di entrambe con la saggezza, è la via che ci porterà all’illuminazione.
I tre aspetti principali del sentiero, la rinuncia, la bodhicitta e la saggezza che conosce la vera natura delle cose, rappresentano l’intero sentiero Lam Rim da percorrere fino alla liberazione dal samsāra e al raggiungimento dell’illuminazione, potremmo in senso generale dire che costituisce il nostro metodo di studio e di pratica del Dharma.
Cosa significa la rinuncia a livello pratico?
Rinunciare completamente al samsāra è certamente difficile, però si può iniziare abbandonando l’attaccamento a questa vita.
Negli ultimi due incontri abbiamo esaminato sia gli svantaggi che i vantaggi derivanti rispettivamente dal non meditare, o viceversa dal meditare, sull’impermanenza e sulla morte.
Riflettere sull’impermanenza e sulla morte crea le migliori condizioni che permettono di rinunciare con immediatezza all’attaccamento a questa vita.
Il vantaggio pratico e diretto della meditazione sull’impermanenza e sulla morte è la diminuzione progressiva dell’attaccamento a questa esistenza e un rafforzamento della pace e serenità interiori. In caso contrario continueremo a soffrire sia durante la vita che nel momento in cui la dovremo lasciare.
È semplice e chiaro, se abbiamo raggiunto la rinuncia all’attaccamento a questa vita certamente avremo minori sofferenze, più gioia e tranquillità sia negli eventi quotidiani che nel momento in cui dovremo abbandonare tutto.
Ciò significa avere un approccio concreto alla realtà, non si tratta di discorsi teorici.
Rinunciare all’attaccamento alla vita non significa negarla, al contrario è renderla più feconda, concreta, aderente alla realtà, non si tratta di allontanarsene, bensì di assimilarla pienamente nella consapevolezza dell’impermanenza di ogni fenomeno, trasformando ogni momento in proficua esperienza.
La coscienza dell’impermanenza corrisponde al livello sottile, quella della morte al più grossolano, materiale.
E’ facile comprendere il concetto di morte, ma è difficile penetrare il concetto dell’impermanenza di ogni elemento.
L’impermanenza è cambiamento incessante, ogni palpito è cambiamento e se ci soffermiamo a riflettervi ne prendiamo coscienza e godiamo di un’autentica gioia, in caso contrario lo dimentichiamo ed entriamo nella nebbia della sofferenza.
Nella visione illusoria sostituiamo l’impermanenza con la permanenza, e questo genera attaccamento.
Le cose non sono affatto permanenti, anche se noi erroneamente vogliamo ad ogni costo considerarle tali.
L’attaccamento deriva da una falsa concezione dei fenomeni, per questo è così negativo, è frutto di una distorsione della realtà, quindi l’applicazione pratica della rinuncia inizia con la necessità di considerare ogni evento nella sua impermanenza.
Se siamo in grado di capire la costanza del cambiamento delle cose ci rendiamo conto di come la sua rapidità sia per noi inconcepibile.
Il fenomeno fisico conosciuto come il più veloce è quello della luce e quando comprendiamo l’impermanenza constatiamo che tutto cambia intorno a noi alla velocità della luce.
La luce è l’esempio più esaustivo della celerità con cui evolvono gli eventi e la morte, causata dall’impermanenza, ci raggiunge con questo ritmo.
Se ripenso al decennio vissuto in Italia mi pare che sia trascorso davvero in un lampo. Quando eravamo bambini la durata di un anno ci pareva lunghissima, quasi infinita, ma avanzando nell’età il tempo pare ridursi e l’anno appena iniziato è già finito.
Ripercorrendo l’ultimo decennio cerco di valutare il periodo trascorso e mi pare di non aver concluso nulla e che tutto il tempo sia stato sprecato, e pensando al futuro, che potrà forse durare ancora venti, trent’anni, mi chiedo cosa potrò fare considerando la rapidità con cui tutto passa, e mi rendo conto che la morte è già qui.
Questo tipo di riflessione avvicina al centro dell’esistenza inducendo a volersi impegnare per semplificare la vita e non per complicarla scioccamente.
Noi invece siamo strani meccanismi che cercano inesorabilmente complicazioni in un’esistenza già difficile, e ciò è provocato dall’errata percezione di ogni realtà come permanente.
Meditare sull’impermanenza è uno scopo della pratica del Dharma e il primo gradino, consiste nell’abitarsi a richiamare costantemente alla mente l’impermanenza e la morte di ogni elemento.
A volte siamo tremendamente arrabbiati e se in quel momento qualcuno ci colpisse con il concetto dell’impermanenza ci offrirebbe un immediato sollievo, come acqua fresca sul fuoco.
Nell’ira siamo inevitabilmente afflitti, infelici, quando invece il nostro cuore è tranquillo ed equanime ci sentiamo sereni, gioiosi, felici e il mezzo per ottenerlo è la riflessione sull’impermanenza e sulla morte che ci mostra la realtà dell’esistenza, il suo valore.
Nella cultura moderna questo concetto è stato completamente rimosso e se qualcuno ci parla di impermanenza e di morte immediatamente ci adombriamo e consideriamo quella persona uno iettatore.
A causa della nostra radicata convinzione di permanenza, la meditazione sull’impermanenza provoca in prima battuta una sensazione di sconforto che ci spinge a rimuoverla, non vogliamo sentirne parlare, è stato inferto un colpo durissimo, non direttamente a noi, ma alle nostre incrollabili, errate certezze.
E’ importante che queste convinzioni siano sgretolate altrimenti continueremo a vivere afflitti nell’illusione di una realtà permanente andando incontro a pesanti dispiaceri durante il corso dell’esistenza e nel momento in cui finirà.
La meditazione sull’impermanenza è una pratica profonda di Dharma, permette una chiara visione della realtà, elimina l’ignoranza, e genera automaticamente infiniti benefici e intenzioni positive.
Ci sono domande?
Domanda: I rapporti affettivi, i sentimenti, possono aiutare nella meditazione?
Lama: Dipende da caso a caso, non c’è una teoria generale, ogni persona è diversa, se tu sei convinto che ti sia di aiuto lo sarà, altrimenti no, e dipende anche dal tipo di meditazione che stai facendo.
Domanda: L’amore a una persona invece potrebbe essere di ostacolo al non attaccamento?
Lama: Non c’è una regola, tutto consegue a come queste emozioni sono gestite, l’amore in sé è opposto a ogni concetto di attaccamento.
Intervento: In occidente l’innamoramento è sinonimo di possesso, di attaccamento all’altra persona, e se ne siamo abbandonati o questa muore siamo annichiliti dalla disperazione per aver subito una perdita, mentre l’amore dovrebbe essere libero da questo sentimento, dovrebbe essere fondato sul desiderio di lasciare completa libertà a chi si ama.
Intervento: Ci sono situazioni in cui è veramente difficile non avere attaccamento, ad esempio nel rapporto madre-figlio.
Lama: Nella pratica la soluzione migliore è la via di mezzo.
Quando parliamo di attaccamento, di innamoramento, siamo su un piano abbastanza superficiale, emotivo, ma nella meditazione ci troviamo ad uno stadio ben diverso, più profondo.
Nella meditazione scendiamo ad un livello sottile e raffinato della coscienza che trascende il piano emotivo.
Se ancora dobbiamo combattere contro emozioni come la rabbia, l’innamoramento, tanto forti da dominarci, significa che ci troviamo ad un piano assolutamente materiale e basso e a quel punto non c’è proprio spazio per la meditazione, mancano le basi più elementari.
La meditazione, anche se non contrasta direttamente queste emozioni, è comunque di aiuto perché agisce alla radice di ciò che le produce.
Dire a qualcuno sconvolto dall’ira, “devi praticare la pazienza” è assolutamente inutile. In quel momento non ha la possibilità di farlo e anzi si arrabbierà ancora di più, ma ricordargli la necessità di praticare la pazienza quando sta praticando la meditazione è più utile e getta il giusto seme per maturare un controllo sulle emozioni negative.
Praticare la pazienza mina alla radice la possibilità di generare rabbia, e questo vale per tutte le emozioni, nel momento in cui siamo sopraffatti da un attaccamento molto forte ad esempio è difficile contrapporvi misure adeguate, ma se stiamo meditando sull’impermanenza e riusciamo a comprenderla, automaticamente stiamo riducendo la carica generatrice di livelli emozionali così devastanti.
Quando le potenti emozioni di attaccamento o di rabbia ci dominano è impossibile avere contemporaneamente un’attitudine alla grande rinuncia e alla compassione, la coesistenza è impossibile.
Una domanda ricorrente è se, e come, queste forti emozioni potrebbero essere utilizzate positivamente nel nostro cammino. Il potenziale energetico è così forte che, se ben incanalato e controllato, potrebbe diventare un aiuto alla nostra realizzazione.
Ritornando all’impermanenza vi suggerisco di pensarvi ripetutamente durante la giornata, inventate, sperimentate i metodi a voi più congeniali per richiamarla alla mente più volte, in questo modo colpite e incrinate le statiche e illusorie certezze interiori che vi inchiodano all’errata visione di una realtà permanente.
Non lasciatevi scoraggiare dal senso di smarrimento iniziale, è un sintomo doloroso della malattia da sconfiggere, la concezione della permanenza.
E’ una meditazione semplice, ma indispensabile.
La meditazione sulla morte è indubbiamente utile, ma ardua e difficilmente praticabile perché noi non sappiamo come moriremo, forse non avremo nemmeno l’opportunità di accorgercene, come avviene in un incidente, in una situazione impensabile nell’attimo precedente, però la riflessione sull’impermanenza è già in sé stessa una meditazione sulla morte.
Questo è il primo insegnamento del Buddha, tutti i fenomeni composti sono destinati alla loro fine, non esiste nulla a cui attaccarsi in quanto permanente, dobbiamo realizzare la rinuncia.
Grazie a tutti per essere qui e praticare il Dharma.
Il Dharma non è un miracolo, una magia, è imparare a confrontarsi con la realtà.






Meditazione sugli svantaggi di coltivare orgoglio e gelosia


Nel XXI° secolo, dobbiamo essere in grado di raccogliere una grande quantità di meriti con un piccolo sforzo, mentre nel passato le persone disponevano di più tempo e per accumulare una piccola quantità di meriti era necessario un grande sforzo.
Si accumulano molti meriti con un piccolo sforzo aprendo la mente-cuore all’ammirazione e all’apprezzamento per le virtù maturate nel passato, da noi stessi e dagli altri.
Per questo è importante rammentare con gioia le buone azioni del passato, senza tuttavia provare orgoglio. Essere contenti od orgogliosi sono due condizioni assolutamente differenti.
Il primo passo per accumulare meriti è aver compito azioni positive nel passato, perché senza queste non avremmo nulla di cui rallegrarci.
Il secondo imprescindibile metodo è quello di essere contenti per le buone azioni compiute dagli altri nel passato.
Spesso invece, a causa di un nostro grave difetto, la gelosia, non ci allietiamo affatto delle virtù altrui.
Se riuscissimo ad eliminare l’invidia nei confronti delle qualità del prossimo potremmo goderne maturando nel contempo una gran quantità di meriti.
I due difetti che ci impediscono di accumulare meriti con un piccolo sforzo sono l’orgoglio nei confronti di noi stessi e la gelosia nei confronti degli altri.
Questi due veleni ci confondono e sono causa di un’infinità di problemi e di sofferenza.
In monastero i maestri insistono nel ricordare ai monaci questo detto tibetano: “l’orgoglio è simile ad una palla ed è inutile versarvi dell’acqua, perché questa scivolerà immediatamente via”.
L’orgoglio è un enorme ostacolo che impedisce di riconoscere i pregi del prossimo con entusiasmo e allegria e pianta invece il seme della confusione, dell’insoddisfazione, della depressione, della sofferenza. Tutti gli esseri samsarici del pianeta sono affetti da questo malanno.
Proviamo a immaginare come sarebbe bello se il mondo fossimo liberato dall’orgoglio!....
In tibetano esistono due frasi, che non saprei come tradurre esattamente nelle lingue occidentali, e che indicano con precisione i due tipi di orgoglio, il primo, positivo, riconosce le proprie qualità, ne vede la dignità, e il secondo, negativo, si fonda sulla sopravvalutazione, sempre immotivata, delle stesse.
Il metodo per accumulare meriti è semplice, tuttavia la difficoltà di applicarlo è determinata da questi ostacoli a cui noi, inconsapevoli della loro devastante gravità, attribuiamo un grande valore a causa dell’ignoranza.
L’ignoranza che ci rende ciechi è il movente di tutti gli sbagli della nostra vita.
Per effetto dell’ignoranza alimentiamo con meticolosa cura l’orgoglio e la gelosia rafforzando e moltiplicando le sofferenze, e oltretutto sprechiamo un’enorme quantità di energie in sforzi inutili nell’assurda certezza di agire per il nostro bene.
L’ignoranza è il maggior problema degli esseri samsarici.
Nei momenti in cui, in un barlume di saggezza, intravvediamo la luce che rischiara queste tenebre profonde ci rendiamo conto di quanto l’orgoglio e la gelosia siano distruttive con il loro gravoso fardello di sofferenza.
Riflettere su questi aspetti è meditare.
La meditazione non è soltanto stare seduti, con gli occhi chiusi, concentrati sul respiro nel tentativo di svuotare la mente da ogni pensiero, è riflettere sulla realtà in cui siamo immersi in modo da acquisire una saggezza che spazzi le tenebre dell’ignoranza e ci conduca sul giusto cammino affinché possiamo divenire persone veramente e continuativamente felici.
Se non meditiamo seriamente sulla condizione samsarica e ci limitiamo a restare immobili, fissi sul vuoto mentale, non appena ci alziamo tutti i pensieri ritorneranno ad affannarci esattamente come prima, nulla è stato trasformato.
La meditazione è come il cibo, ne esistono di vari tipi e tutti servono per mantenersi in salute, ma l’eccesso, o un unico tipo di alimentazione non è salutare; ognuno deve essere in grado di conoscere e scegliere cosa e quanto gli sia congeniale e benefico in quel preciso momento dell’esistenza, adattando la pratica, libera da generalizzazioni preconcette, al proprio flusso mentale.
Riflettere sui difetti delle illusioni mentali, quali l’orgoglio e la gelosia, è fondamentale.
Ci sono troppe cose nel mondo di cui non possiamo gioire, e tra queste non dovrebbero esserci le azioni virtuose compiute nel passato che diventano motivo di sofferenza se ricordate con ingiustificato orgoglio, se invece le ripensassimo con umiltà proveremmo una sincera immensa gioia.
Inoltre tendiamo irrazionalmente, senza eccezione, ad imputare agli altri la colpa della nostra sofferenza, che invece dipende esclusivamente da noi stessi, dal coltivare illusioni mentali devastanti.
La spiritualità e il Dharma ci mostrano che l’errore è in noi, non all’esterno, ma senza la spiritualità e il Dharma siamo completamente ciechi, privi di ogni capacità di interiorizzazione, vediamo e valorizziamo solo ciò che appare al di fuori di noi e questo è il più grande problema della società moderna.
Non è possibile soddisfare se stessi e la propria mente attraverso un’attenzione unicamente esteriore, soltanto tramite lo sviluppo interiore è possibile raggiungere una piena soddisfazione. La spiritualità e il Dharma sono fondamentali nella nostra vita e ogni individuo ne è responsabile.
La spiritualità è essere in grado di riconoscere i valori interiori ed imparare ad evitare le trappole dell’orgoglio e della gelosia, difetti che giacciono sempre nella profondità del nostro essere.
Nella pratica del Dharma dobbiamo essere costantemente vigili e controllare gli impedimenti che la vanificherebbero perché è facile cadere nell’illusione dell’orgoglio, oppure essere gelosi della pratica altrui.
Esiste gelosia tra i praticanti di Dharma, tra i differenti gruppi di Dharma, tra le diverse religioni, sono infiniti i tipi di gelosia e tutti, direttamente o indirettamente, ci influenzano, minano la nostra pratica che perde così efficacia, anche se meditiamo, ascoltiamo, studiamo e facciamo tutto bene.
Talvolta la gelosia e l’orgoglio creano difficoltà perfino tra buoni amici o in famiglia e questo è davvero triste ed è dovuto alla mancanza di sviluppo dei valori interiori.
Queste considerazioni fanno risaltare la necessità di contrapporsi alla logica corrente, perché la società moderna è estremamente aggressiva e competitiva e ritiene che la gelosia e l’orgoglio siano strumenti indispensabili per vincere in ogni circostanza. Dunque allontanandosi da questo caos è possibile essere emarginati, estranei a questo mondo.
C’è molto su cui riflettere, il pericolo è subdolo e può annidarsi ovunque, ad esempio questo fine settimana ci sarà un ritiro fuori Roma, ma i partecipanti non sanno bene dove si terrà perché i due amici responsabili della programmazione lo hanno predisposto in due luoghi diversi. 
Io non voglio mai interferire nell’organizzazione delle attività, così come non chiedo nessun compenso, se ricevo qualcosa sono contento e se non ricevo nulla lo sono altrettanto, non mi piace fissare alcunché rigidamente, è bene lasciare la massima autonomia e libertà anche se possono verificarsi questi piccoli inconvenienti.
Nel momento in cui la mente è piena di orgoglio e di gelosia dimentica totalmente il Dharma a causa della mancanza di consapevolezza.
Apprendere il Dharma ci mette in una situazione pericolosa, perché finché non lo si conosce ci si può comportare secondo le consuetudini, seguire la corrente, essere ben inseriti nel meccanismo sociale ordinario, ma quando se ne ha consapevolezza e non lo si segue tutto diventa molto difficile, la responsabilità è considerevole.
Possiamo concludere la serata, continuiamo però nei prossimi giorni a riflettere sui difetti mentali della gelosia e dell’orgoglio e sul loro bagaglio di sofferenze e compariamo tutti i vantaggi di pace e felicità che derivano dal gioire per le azioni virtuose nostre e degli altri.

Recitiamo insieme i “Tre aspetti principali del sentiero”  (V. testi annessi pag. I).





Abbandona questa vita - da Atīsa a Dromtönpa


Continuiamo il nostro percorso nel Lam Rim approfondendo il testo composto da Atīsa nel decimo secolo in risposta alle dispute sorte in Tibet circa presunte contraddizioni tra i sūtra e i tantra, egli dimostrò, nella “Lampada sul sentiero dell’illuminazione”, che non esisteva alcuna contraddizione. Il suo viaggio in Tibet è stato dunque una vera benedizione per tutti noi perché ha prodotto questa preziosa opera espressa in un linguaggio semplice e accessibile, benché profondissima e completa, rispettosa di ogni scuola e religione.
La storia narra che in seguito all’insegnamento di Atīsa in Tibet il buddhismo ebbe una notevole evoluzione, un rinnovamento, come se fosse stato portato nel paese per la seconda volta.
Atīsa insisteva particolarmente sulla necessità di prendere rifugio e sulla legge di causa ed effetto e per questo divenne famoso in Tibet come il Lama del rifugio di causa effetto, cioè del karma.
Un discepolo tibetano di Atīsa, certo Tichok, un giorno chiese al maestro cosa dovesse fare per praticare bene e per prima cosa domandò se poteva meditare, ma Atīsa rispose che era una cattiva azione e che doveva evitarla; allora chiese se poteva insegnare e la risposta fu la stessa; dunque Tichok, dopo una breve riflessione, disse che a volte avrebbe meditato e altre insegnato, ma Atīsa ancora una volta ribadì che anche questa era un’azione cattiva da evitare. Dunque Tichok domandò cosa dovesse fare per praticare il Dharma e Atīsa rispose : “Abbandona questa vita”. Con ciò volle sottolineare che qualsiasi cosa facesse, insegnare, meditare o altro, se compiuta con attaccamento a questa vita, sarebbe stata vana, inutile, soltanto mondana.
Tichok, che era un grande discepolo e maestro Kadampa, fece tesoro del consiglio di Atīsa e andò nella foresta nei pressi di Ratin vivendo come gli animali, aveva completamente abbandonato la sua vita.
Il più grande discepolo di Atīsa fu Dromtönpa, un laico con i voti di upāsaka, un giorno vide un giovane monaco che faceva la circoambulazione del monastero e gli parlò con grande rispetto esprimendo ammirazione per questa sua devozione, però gli suggerì di abbandonarla e di impegnarsi maggiormente nella pratica del Dharma.
Potete notare la differenza dell’approccio tra questi due grandi maestri. Atīsa, più diretto, dice “queste sono azioni cattive, evitale”, mentre Dromtönpa si rivolge con reverenza e lode al fratello ma gli suggerisce ugualmente di lasciare ciò che sta facendo e di dedicarsi al Dharma.
Il monaco pensò che forse era più appropriato fare molte prostrazioni e anche questa volta Dromtönpa si complimentò con lui ma ribadì che avrebbe dovuto invece praticare il Dharma. Il giovane allora si concentrò nella preghiera, eppure la risposta di Dromtönpa fu la stessa, dunque cominciò a meditare davanti ad una statua del Buddha, ma la risposta rimaneva immutata. Il giovane monaco, non sapendo più come comportarsi chiese espressamente cosa dovesse fare e Dromtönpa gli ripeté per tre volte: “abbandona questa vita, abbandona questa vita, abbandona questa vita”.
Che cosa significa abbandonare questa vita?
Per prima cosa è essenziale vivere con equanimità ogni evento, perché tutto è uguale.
Se non abbiamo l’attitudine ad abbandonare questa vita, quando tutto va bene crediamo di essere tranquilli e contenti, ma al sorgere del minimo contrattempo o malanno diventiamo immediatamente irritabili, tristi e arrabbiati; questa mancanza di equilibrio è provocata dalla ingiustificata certezza che la felicità dipenda dall’attaccamento a sé e dall’orgoglio che ne deriva, mentre la rabbia, la depressione e la pigrizia siano imputabili ad uno stato di infelicità provocato da qualcosa di esterno.
Nell’abbandono della vita queste discriminazioni fantasiose cadono automaticamente e rimaniamo stabili nell’equanimità.
Se non abbandoniamo questa vita la pratica del Dharma è impossibile.
Abbandonare questa vita non significa diventare barboni, bensì vivere gli otto dharma mondani come uguali, senza esaltarci quando tutto va come vorremmo, né deprimerci o arrabbiarci quando sorgono difficoltà.
La pratica dei maestri Kadampa è molto semplice, non richiede nessun particolare studio e corrisponde esattamente alla pratica di San Francesco d’Assisi che aveva una fortissima propensione naturale al Dharma.
Essere veri praticanti di Dharma non è così facile e nemmeno lo si può realizzare in una sola vita, non è una questione di anni o di mesi, ma di moltissime purificazioni in tante esistenze. Agire in modo appropriato ci permetterà di maturare questa  tendenza nel futuro.
Affinché la nostra forma mentale dharmica si consolidi e sorga spontaneamente occorre molto tempo e molte vite.
Un altro Geshe kadampa aveva adottato come pratica principale la recita dei mantra per vivere nella totale equanimità gli otto dharma mondani.
Una stessa azione può essere positiva o no, virtuosa o no, a seconda dall’attitudine che la realizza. Al di fuori dell’atteggiamento che la determina l’azione in sé è neutra e per questo non può essere giudicata in base alla sua manifestazione esteriore.
L’aspirazione può trasformarsi in attitudine negativa se, ad esempio, la ricerca della gioia, della felicità è motivata dall’attaccamento, l’aspirazione alla fama dall’orgoglio, e la brama di ricchezza e del rispetto altrui è condizionata da un dharma mondano.
L’avversione che proviamo nei confronti dell’infelicità, della cattiva reputazione, della mancanza di rispetto da parte degli altri, del non possedere ricchezze, decadono automaticamente quando acconsentiamo ad abbandonare questa vita, cioè riconoscere gli otto dharma mondani come assolutamente paritari.
Qualsiasi azione fondata sull’ignoranza, l’attaccamento e la rabbia non potrà mai essere virtuosa, nemmeno se dedicassimo tutto il tempo a meditare, pregare, leggere e ascoltare il Dharma.
Molte persone praticano per ottenere benefici materiali, salute, buon esito agli esami, nel lavoro, ricchezze, per realizzare tutti i desideri, e questo non succede solo in occidente ma anche in Asia soprattutto in quelle zone in cui c’è una forte americanizzazione. Tutto ciò è una gigantesca contraddizione, perché praticare il Dharma significa anche vivere gli otto dharma mondani riconoscendone la perfetta uguaglianza.
Oggi i rari luoghi in cui si pratica ancora con semplicità e purezza il buddhismo credo siano lo Srī Lanka e il Bangladesh, da cui proveniva Atīsa. Le popolazioni di questi due paesi sono veramente speciali, particolarmente umili con una tradizione millenaria di vera pratica e, anche se ora i problemi economici e sociali sono drammatici, sono persone davvero uniche.
In Tibet la situazione è assai più complessa, io stesso ho difficoltà a comprenderla pienamente, penso che potrei farlo solo dopo esservi stato. Alcuni tibetani assomigliano ai cinesi, altri ai nepalesi, altri ancora ai mongoli, non c’è un unico ceppo etnico e la storia insegna che le innumerevoli invasioni di popoli diversi hanno introdotto abitudini diverse, dunque non esiste una compattezza culturale come nello Srī Lanka o in Bangladesh, e non è affatto certo che tutti i tibetani pratichino il Dharma.
Atīsa e Dromtönpa hanno dato gli insegnamenti del Buddha basandosi sul conosciutissimo “Dharmapāda”, scritto in sanscrito e tradotto in seguito nelle varie lingue, arricchito poi da numerosissime esemplificazioni e commentari, per cui è necessario studiarlo con particolare attenzione.
Il primo verso cita: “I Dharma sono dominati dalla mente, hanno come elemento principale la mente e sono costituiti dalla mente”, perché la mente è più veloce di ogni azione fisica o verbale e determina la positività o meno dell’azione stessa, poi continua: “Se un individuo parla o agisce con mente corrotta, ecco che l’infelicità lo segue come la ruota del carro segue l’orma di chi lo trascina”, dunque se si possiede un atteggiamento negativo qualsiasi azione si compia sarà portatrice di sofferenza.
Il secondo verso recita:
“I Dharma sono dominati dalla mente, hanno come elemento principale la mente e sono costituiti dalla mente. Se un individuo parla o agisce con mente serena, ecco che la felicità lo segue come l’ombra che non si diparte mai.”
Approfondiremo in seguito questo trattato, per ora dobbiamo ricordare quanto studiato sino ad oggi, l’insegnamento di Atīsa e Dromtönpa, l’uguaglianza degli otto dharma mondani e la necessità di abbandonare questa vita.
Atīsa, il Lama del rifugio e del karma, era un grande pandit dell’università di Nālandā ma istruiva in modo estremamente semplice, adeguato agli uditori a cui si rivolgeva, non si addentrava in disquisizioni dottrinali o negli insegnamenti di Nāgārjuna e di Candrakīrti che difficilmente sarebbero stati compresi. Praticare il Dharma è qualcosa di diverso dall’apprendimento della filosofia.
In questo senso io ho imparato molto dall’impostazione cristiana, in cui si fa distinzione tra teologia e filosofia, ed è importante, altrimenti la confusione potrebbe vanificare ogni interiorizzazione.
E’ fondamentale saper giungere all’essenza della realtà, e nella semplicità c’è la miglior pratica.

Grazie, leggiamo ora la preghiera di dedica (V. testi annessi pag. IV).





Pratica del Tong Len 


Cominciamo con la lettura degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag. V).
Leggiamo ora due passi di un commentario degli otto versi:
“Quindi venerabili e compassionevoli Guru chiediamo le vostre benedizioni perché tutte i debiti karmici, gli ostacoli e le sofferenze degli esseri, madri, senza alcuna eccezione maturino su di noi proprio in questo istante per poter dare agli altri la nostra felicità e le nostre virtù portando in tal modo la beatitudine a tutti gli esseri.
Anche se l’ambiente e gli esseri che vi dimorano fossero colmi dei frutti negativi del loro karma e le sofferenze indesiderate cadessero come pioggia, chiediamo le vostre benedizioni per poter prendere queste circostanze avverse come sentiero, vedendole quali cause per esaurire le conseguenze delle nostre azioni negative”.
Sono magnifici, già in sé preghiere di grande potenza e correlati in particolare con il settimo degli otto versi:
“In breve, direttamente e indirettamente, offro
Ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.”
Esistono diverse descrizioni del “Tong Len”, che letteralmente significa “dare e ricevere”, una pratica che richiede una lunga e progressiva preparazione, non è immediata, occorrono indispensabili fasi preliminari, prima di tutto è necessario procedere all’eliminazione di radicati e potenti difetti quali l’attaccamento al sé, causa radice di tutti gli ostacoli e le difficoltà.
Eliminare l’attaccamento al sé è il principale obiettivo dell’intera pratica del Dharma, e soltanto procedendo nell’estirpazione della radice dell’ego possiamo constatare che i problemi diminuiscono proporzionalmente e noi diventiamo, senza eccezione, più felici.
Ogni sofferenza può essere superata esclusivamente dallo sradicamento dell’attaccamento al sé.
La società moderna costruisce il proprio potere sulla forza dell’attaccamento al sé, ma il Dharma dimostra che questa non è vera vita, è anzi l’esatto contrario.
Come vedete sono molti gli aspetti da considerare con attenzione, su cui riflettere, meditare e osservare da più punti di vista, sia mondani che del Dharma, perché l’approccio migliore non è quello religioso, dogmatico, nel Dharma non c’è dogma in cui credere ciecamente, tutto è ricerca, comprensione, esperienza.
Noi viviamo correndo dalla mattina alla sera, ma corriamo dietro a cosa? A nulla di esterno, bensì esclusivamente ad un solidissimo attaccamento al sé, ne siamo così condizionati che rinunciamo persino a vivere nella pienezza, a riposare, è una gara affannosa, senza tregua, nel tentativo di afferrare fumo.
Noi non riflettiamo mai su questo aspetto, non lo riconosciamo affatto ed è un grave problema, eppure fermarsi a guardarlo sarebbe già il primo passo per farlo svanire, non lo si può annullare con la forza, con la lotta, ma solo osservandolo consapevolmente in tutte le sue folli manifestazioni.
In tibetano ci sono due parole che esprimono con precisione la necessità di riconoscere la natura effimera dell’oggetto illusorio e indicano che per poter far svanire l’attaccamento al sé bisogna prima far svanire il sé, sono due aspetti separati e distinti.
Noi abbiamo attaccamento ad un sé inesistente, e qui sorge il problema, perché ci aggrappiamo allo stesso attaccamento del sé che in realtà non c’è.
Il sé non c’è, eppure l’attaccamento al sé è invece forte e radicato.
E’ un concetto importante ma difficile da spiegare, potremmo utilizzare come esempio l’iter parlamentare della legge finanziaria per il prossimo anno; si scatenano discussioni, litigi, spartizioni, potente attaccamento a un denaro che oggi non c’è, lo si considera solido, concretamente presente, ma è soltanto virtuale.
Può esserci attaccamento ad un oggetto anche a fronte della sua inesistenza.
Tutta la confusione del mondo e in noi stessi scaturisce dall’unica sorgente dell’attaccamento al sé, e per poterlo superare è necessario riflettere, meditare, aprire il cuore alla tangibile verità della sofferenza di tutti gli esseri nel samsāra e applicare tutti gli strumenti, le modalità e i riferimenti della propria cultura, ideologia, fede religiosa, per i buddhisti saranno i Buddha, i Lama, per i cristiani gli angeli, Cristo, Dio, per i musulmani Allah, e così via.
E’ essenziale fermarsi a riflettere sulla sofferenza perché soltanto in questo modo il cuore si addolcisce, abbandona l’abituale durezza e insensibilità, accetta umilmente di commuoversi, di provare compassione, di condividere con sincerità il dolore.
Nel Tong Len si accoglie con compassione la sofferenza degli esseri samsārici, si matura il desiderio di eliminarla cominciando da se stessi, così da essere in grado di condividere fino in fondo e prendere su di sé il dolore degli altri.
È interessante la progressione di queste fasi, in questo preciso momento prendiamo su di noi tutti i problemi, anche quelli di domani, ma se non abbiamo risolto le nostre difficoltà non saremo in grado di ricevere con cuore grande e generoso quelle degli altri, assumendo oggi tutti i problemi del futuro acquisiamo coraggio e apriamo il cuore.
Il Tong Len si pratica in due fasi, la prima corrisponde all’inspirazione, in cui visualizziamo un denso fumo nero che rappresenta tutte le sofferenze e negatività altrui che entrano nel nostro cuore, nel centro di noi stessi, e qui dissolvono nell’annullamento dell’attaccamento al sé.
La fase successiva è data dall’espirazione in cui visualizziamo una splendente luce bianca che rappresenta tutte le virtù, la felicità e la gioia che doniamo agli altri e pervade il loro cuore.
Il Tong Len è una pratica potente, ma non la si può attuare se non si riconoscono, affrontano e sradicano tutti gli svantaggi e i difetti dell’attaccamento al falso, inesistente sé.
Se ci soffermiamo a riflettere attentamente sulle difficoltà e gli ostacoli della vita vediamo che non sono prodotti direttamente da noi o da altri, ma tutti, senza eccezione, sono frutto esclusivo dell’attaccamento al sé, che può essere dissolto solo con l’altruismo, con la pratica del Tong Len.
Domanda: Prendere la sofferenza altrui va bene, ma dare cosa? Quali sono le buone cose da dare, dove le prendiamo?
Lama: Devi dare tutto te stesso, il tuo corpo, i tuoi beni, le tue virtù. I grandi yogi hanno praticato così, come Sāntideva che offriva il suo corpo non avendo altri beni. Non si tratta di corpo e beni ordinari, ma di trasformare te stesso e tutto ciò che ti circonda in beni illimitati da donare agli altri per il loro benessere.
Questo concetto è ripreso in modo esauriente nella Preghiera in sette rami (V. testi annessi pag. XVIII:
Oh leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri,
a quanti di voi esistono nelle dieci direzioni,
mi prostro con corpo, parola e mente.
Questo è un sūtra del Buddha, un suo insegnamento diretto. Ci si rivolge, in un saluto immaginario, a tutti i Buddha, non a uno particolare, a quelli del passato, del presente e del futuro, è un omaggio e un ottimo modo di accumulare meriti.
Sulle onde della potenza di questa regina delle preghiere,
per i metodi supremi e sublimi
con corpi numerosi come gli atomi del mondo,
mi prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.
Offrendo il corpo lo visualizzate all’infinito moltiplicandolo in corpi numerosi come gli atomi dell’universo, questo modo di immaginare è tipico dei Bodhisattva, a noi esseri ordinari pare una cosa insensata e invece è bellissimo.
In ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha;
con sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi che riempiono l’intero Dharmadhātu.
Lo spazio infinito della natura dei fenomeni è riempito dai Buddha e dai Bodhisattva. Nella meditazione, il nostro corpo si trasforma in natura di Buddha e di Bodhisattva, questo è il mistero della vacuità. Tutta la pratica del Dharma è basata sul mistero della vacuità.
La natura dello spazio dei fenomeni significa vacuità dei fenomeni, la vacuità è forma, la forma è vacuità, come detto nel sūtra del cuore.
Lo spazio non deve essere strettamente inteso in senso fisico, ma come essenza stessa della realtà, è un concetto impossibile da esprimere con parole e dunque c’è molto su cui riflettere, per questo gli yogi indiani e tibetani non finiscono mai di meditare, tutta la vita non è sufficiente.
Grazie, per questa sera non procediamo oltre.






Gli estremi dell’ eternalismo e del nichilismo, e la corretta visione dei fenomeni nell’apparenza e vacuità.


Leggeremo ora con profonda devozione verso i Buddha e i Bodhisattva, e con grande ammirazione per le loro realizzazioni, “I Tre principali Aspetti del Sentiero” (V. testi annessi pag. I).
Nella penultima quartina di questo testo si affrontano le due visioni estreme:
Inoltre, l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto, 
non sarai preda delle visioni estremiste.
La prima visione estrema è relativa all’esistenza intrinseca delle cose erroneamente percepite come entità autonome e indipendenti.
La seconda visione estrema invece afferma che se tutte le cose sono vacue e non esistono in maniera indipendente, allora nulla esiste.
Sono entrambi estremismi che affondano le radici nell’ignoranza fondamentale che permea il nostro essere nella quotidianità.
La via di mezzo è la posizione corretta tra i due estremi, ma anch’essa non può determinarsi in modo indipendente, autonomo, esiste in relazione ai due estremi che a loro volta esistono in quanto c’è la via di mezzo, tutto è interdipendente.
I due estremi che affondano nell’ignoranza fondamentale e ci derubano della vita sottraendoci alla possibilità di compiere azioni virtuose sono l’eternalismo, che afferma l’esistenza intrinseca e indipendente di ogni fenomeno, e il nichilismo che, al contrario, conclude che nulla esiste. Entrambe le posizioni sono superabili osservando in modo corretto la realtà nella sua interezza.
Per eliminare l’eternalismo è necessario esaminare la vera natura dei fenomeni, constatare la loro apparenza e analizzarne ogni particolare. E’ molto semplice, non si tratta di concetti intellettuali complessi o di dotte teorie filosofiche, ma di valutazioni della normale quotidianità.
In genere percepiamo i fenomeni come permanenti, ma se li controlliamo una seconda volta con maggiore attenzione possiamo verificare che non lo sono affatto, che nulla è statico e intrinsecamente esistente perché tutto è in costante evoluzione e dipende da altro, tutto cambia continuamente, è impermanente.
Grazie alla conoscenza del Dharma è naturale porsi queste domande, analizzare nella giusta ottica i fenomeni imprimendo significato ad ogni istante di vita, libero da distorsioni estreme.
La conoscenza del Dharma permette di vedere le caratteristiche degli elementi e di avvicinarsi alla realtà con una consapevolezza non ordinaria, ma dharmica.
Il Buddha ha indicato quattro caratteristiche appartenenti a tutti i fenomeni nel samsāra: 
sono impermanenti;
non soddisfano;
sono privi di sé;
sono vacui.
La consapevolezza del Dharma, che fonda sulla concentrazione e sulla saggezza, permette di vedere i fenomeni nella loro reale natura.
Questo è il significato della penultima quartina dei “Tre aspetti principali del sentiero”, l’osservazione delle cose nella loro naturale apparenza elimina l’estremo dell’esistenzialismo.
Le cose appaiono nella loro realtà interdipendente, però nell’istante in cui noi le osserviamo non le percepiamo come tali, siamo ottenebrati dall’ignoranza e le guardiamo senza riconoscere la loro vera natura.
Il difetto non è dunque nel fenomeno osservato ma in noi, è il risultato della nostra visione distorta e soltanto riconoscendo con consapevolezza che tutto è interdipendente possiamo eliminare l’estremo dell’esistenzialismo e dell’eternalismo.
Nello stesso istante in cui avvertiamo i fenomeni del samsāra non abbiamo affatto coscienza delle quattro caratteristiche descritte dal Buddha a causa dell’ignoranza che non ci fa distinguere tra il loro modo di apparire e la nostra percezione distorta.
La natura interdipendente è la caratteristica più visibile e comprensibile dei fenomeni, mentre la vacuità è meno evidente, per questo nella riga successiva si raccomanda di osservare la realtà nella sua essenza di causa effetto, infatti il modo in cui appaiono le cose è la causa per eliminare l’estremo dell’esistenza nell’eternalismo, mentre la vacuità è la causa per eliminare l’estremo della negazione assoluta del nichilismo. Tra le due realizzazioni esiste dunque una correlazione inscindibile, non sono in competizione tra loro, ma si manifestano in modo consequenziale.
Nel momento in cui abbiamo capito che queste due realizzazioni sono causa ed effetto con cui possiamo eliminare le visioni estreme, allora le nostre azioni saranno libere da condizionamenti.
Domanda: Cosa intendi esattamente per causa ed effetto?
Lama: La causa è la realizzazione dell’apparenza dei fenomeni nella loro natura interdipendente ed elimina l’estremo dell’eternalismo, da questo deriva l’effetto della realizzazione della vacuità che elimina l’estremo del nichilismo. Il punto essenziale è comprendere che queste due realizzazioni sono causa ed effetto, perché una deve venire prima dell’altra, non è possibile avere una senza l’altra o invertirne il processo.
Intervento: Quindi la comprensione dell’interdipendenza dei fenomeni ha come effetto la comprensione della vacuità dei fenomeni….

C’è un altro fattore che dobbiamo prendere in considerazione, infatti non possiamo accostarci a queste due realizzazioni in modo diretto, prima dobbiamo conoscere e comprendere le visioni estreme dell’eternalismo e del nichilismo, ed è una meditazione veramente difficile, è più semplice meditare sul Buddha.
E’ agevole meditare sulle terre pure, sui mandala, su tutto ciò che crea illusioni, ma è arduo meditare sull’attaccamento, sulla rabbia, sull’ignoranza, tutti ostacoli solidi che, se non sonno superati, renderanno impossibile qualsiasi meditazione.
Oggi abbiamo affrontato aspetti complessi e articolati ed è bene prendere il tempo necessario per riflettere e approfondire ogni particolare ritorneremo ad analizzare questi argomenti in futuro.

Grazie e buona serata a tutti.






Dharma e Meditazione


Leggiamo il “ Sūtra del Cuore” (V. testi annessi pag. VI) e poi “Gli Otto Versi di Trasformazione della Mente” (V. testi annessi pag. V).

La pratica del Dharma e della meditazione è un mezzo per curare il nostro spirito inteso come anima, ātmā, o mente, le differenze terminologiche non hanno nessuna importanza, possiamo attribuire al concetto qualsiasi nome, ciò che conta è la risonanza che hanno in noi perché esprimono il vero , che non è fisicamente tangibile, ma di cui percepiamo l’essenza profonda.
L’io, la persona, il sé, è qualcosa di diverso dall’essenza dell’io, dall’essenza della persona, e dall’essenza del sé, perché la persona può mutare, essere buona, cattiva, positiva, negativa, mentre l’essenza della persona non cambia, dunque l’essenza della persona, dell’io e del sé è un tesoro prezioso, di valore inestimabile.
L’essenza del sé è l’anima, l’ātmā, che percepiamo e conosciamo facendone esperienza, dunque nutrire, prendersi cura dell’essenza del sé, equivale a prendersi cura dell’universo intero.
Gli studenti del Lam Rim conoscono pochi mantra e spesso mi è stato chiesto il significato di questa parola, la radice “man” significa spirito, mente, anima, cuore, mentre il suffisso “tra” significa proteggere, il mantra è dunque qualcosa che protegge la mente, non è una formula magica il cui solo suono ha un potere infinito, è necessario comprenderne il senso, per questo non è assolutamente necessario snocciolare i mantra nella lingua originale, sanscrito o pali, senza sapere ciò che si sta dicendo.
La stessa recitazione degli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” se ripetuta in tibetano è per voi incomprensibile e dunque non incide minimamente nel vostro cuore, ma se sono letti con attenzione in italiano, assimilandone ogni parola, diventano un mantra, proteggono e trasformano realmente la mente.
Alcuni ritengono che pronunciare i mantra in sanscrito sia più efficace perché si sprigiona una qualche forma di energia e forse è parzialmente vero, ma se non si comprende ciò che si sta dicendo questa stessa energia si riduce moltissimo, mentre recitando nella propria lingua e assimilandone il senso esso diviene protezione della mente.
Il mantra solleva lo spirito, è importante e quando pratichiamo, studiamo, meditiamo, ascoltiamo insegnamenti, preghiamo dobbiamo farlo consapevolmente, perché ogni atto rappresenta lo specchio della nostra anima.
Dovremmo considerare la pratica del Dharma come lo specchio di noi stessi, del nostro spirito che possiede la preziosa caratteristica di essere un potente aiuto, di sollevare la nostra anima e di prepararci ad essere un forte sostegno per gli altri.
Lo spirito è l’essenza del sé, ma qual è l’essenza dello spirito?
L’essenza dello spirito è l’amore e la compassione; perché l’amore e la compassione sono l’essenza dello spirito?
Lo spirito è determinato dalla saggezza che realizza la realtà ultima.
L’essenza di noi stessi è data dall’amore e dalla compassione, che però possono manifestarsi soltanto nella saggezza che realizza la realtà ultima dei fenomeni. 
In questo modo troviamo il nostro sé autentico, noi stessi, e ne riceviamo una grande dignità.
Se invece non conosciamo il nostro sé, la sua essenza, è come se avessimo perduto noi stessi e questo è un grande problema.
Se perdiamo qualcun altro non così drammatico, ma se perdiamo noi stessi è veramente grave. La pratica della meditazione, della spiritualità ci insegna a proteggere noi stessi da noi stessi.
Avere amore e compassione non è assolutamente facile, ma estremamente importante, non è possibile ottenere questo stato con una forzatura, con immediatezza, lo possiamo sviluppare soltanto attraverso la saggezza, perché solo in essa questi due aspetti maturano.
È altrettanto importante assimilare il “Sūtra del Cuore” che ci stimola a ricercare la saggezza, e gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” che ci inducono a sviluppare amore e compassione.
A livello concreto, spesso abbiamo difficoltà a trovare l’amore e la compassione, però sul piano spirituale è sempre possibile. La pratica degli Otto Versi può apparire quasi irrealizzabile a causa di molteplici ostacoli, però nello spirito è sempre fattibile; anche se avessimo un corpo malato, immobilizzato, ma la mente chiara, potremmo praticare gli Otto Versi in tutta la loro ricchezza.
L’amore, la compassione e la saggezza non dipendono dal nostro stato fisico, ma esclusivamente dalla capacità del nostro spirito.
Quando la mente è debole, confusa, anche se il corpo fosse fortissimo come quello di Rambo, non saremmo comunque in grado di praticare efficacemente.
Fisicamente possiamo fare molto, fino a raggiungere la nostra massima capacità, ma qui ci dobbiamo forzatamente fermare, mentre sul piano spirituale non c’è limite all’amore e alla compassione, li possiamo estendere all’infinito.
La spiritualità è illimitata, mentre la materia è condizionata dai propri confini, anche se avessimo la massima cura del nostro corpo, con condizioni di vita vantaggiose, farmaci efficacissimi, medici eccellenti, nulla potrebbe fermare la sua decadenza e morte, se invece curiamo con la meditazione e la pratica lo spirito questo migliorerà illimitatamente.
Dunque dobbiamo accostarci alle pratiche del Dharma non con una visione ristretta, materialistica, ma con l’apertura del cuore, della mente.
A volte vediamo persone fisicamente forti e sane, ma fragili a livello mentale, dunque è fondamentale cercare in sé stessi l’essenza dello spirito, l’essenza del sé e il “Sūtra del Cuore”, così come gli “Otto Versi”, sono medicine eccezionali per la mente, purché siano compresi e introiettati e mai utilizzarli con superstizione come formule magiche o portafortuna.
Un puro praticante di Dharma quando incontra la sofferenza è felice, l’accoglie con gioia. Gli yogi kadampa pregavano di trovare la sofferenza, di prenderla su di sé in modo da eliminare il dolore degli esseri senzienti, questa era la loro pratica, e dovrebbe essere quella delle persone che vengono qui agli incontri del Lam Rim.
Gruppo: Ma noi non siamo yogi!….
I kadampa sono stati i praticanti più umili che siano mai esistiti e gli yogi più grandi, in India ricordiamo Sāntideva e in Tibet Milarepa.
Molti Lama tibetani invece sfoggiavano un’opulenza regale, non disdegnavano le competizioni tra loro, e questo è il segno della loro decadenza. Anche in altri paesi, in oriente e in occidente, nelle varie chiese e istituzioni religiose si è assistito a questa degenerazione, ma il potere, l’accumulo di ricchezze e onori, le guerre, non hanno nulla a che fare con lo spirito, anzi ne sono l’esatto opposto.
Gesù era come i maestri kadampa, un umile praticante, spoglio di tutto, impartiva insegnamenti preziosi con la più limpida semplicità, non ostentava né ricchezze né simboli sacri, accolse la crocifissione con infinito amore e saggezza prendendo su di sé la sofferenza di tutti gli esseri. Questa è l’attitudine devota degli yogi kadampa, farsi carico della sofferenza altrui con amore, compassione e saggezza.
Anche i discepoli di Gesù e tanti santi come san Francesco, avevano questo coraggio, dunque non è necessario andare in India o in Tibet per cercare i Mahāsiddha, essi sono ovunque, anche qui, dobbiamo solo riconoscerli. San Pietro, San Paolo e tanti ancora hanno abbandonato tutto mettendosi al servizio amorevole dei fratelli e anche noi dovremmo avere lo stesso atteggiamento, pregare di prendere in noi la sofferenza degli altri donando in cambio la nostra gioia e virtù, umilmente, con amore, compassione e saggezza.
Purtroppo invece noi preghiamo per non avere malattie, per ottenere fortuna, successo, alimentando in questo modo l’attaccamento al sé. Anche in Tibet c’è questa pessima abitudine, corredata da pūja e rituali, e mi chiedo come sia possibile non accorgersi dell’assurdità di simile atteggiamento mondano, in totale contraddizione con il Dharma e fortemente negativo.
La pratica del Dharma, la spiritualità, è tutt’altra cosa, ma è difficile spiegare ad altri la profondità della sua essenza.
Gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” sono la preghiera per incontrare la sofferenza e prenderla su di sé per il bene di tutti gli esseri.
La pratica Kadampa è molto potente e altrettanto semplice, Milarepa viveva sulle montagne senza possedere nulla, eppure anche oggi se ci rivolgessimo ad un importante Lama chiedendo pūja o benedizioni dovremmo prima preparare tutti i segni di riconoscimento del suo rango, predisporre un trono altissimo, lucidare tutti gli strumenti d’oro e d’argento, ma a questo punto sorge il dubbio che non si sappia praticare il Dharma senza tanto contorno. La differenza tra gli yogi kadampa e coloro che non lo sono è evidente.
Domanda: Cosa significa esattamente kadampa?
Lama: Letteralmente è “coloro che praticano le parole del Buddha e le istruzioni” cioè coloro che ricevono gli insegnamenti come consiglio personale per praticare il Dharma. Significa essere in grado di accogliere qualsiasi dottrina, cristiana, islamica, buddhista, induista con uguale rispetto e consapevolezza, riconoscendone l’immenso valore e l’assenza di ogni contraddizione, facendone istruzioni personali di pratica del Dharma.
Dobbiamo seguire l’insegnamento Kadampa, non c’è altro modo per superare la sofferenza, la malattia e vivere gioiosamente ogni evento, senza discriminazione per il beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Possiamo avere a disposizione i più famosi medici e le medicine più efficaci, ma ci ammaleremo ugualmente, anche se migliaia di Buddha si prendessero cura di noi comunque moriremo. Dunque per poter affrontare la sofferenza, la malattia e la morte dobbiamo accoglierle con gioia e trasformarle in bene per gli altri, dobbiamo essere praticanti kadampa. Non è semplice, ma è importate comprendere la grandezza di questa via e, senza scoraggiarci, iniziare a  camminare, provare almeno a seguirne lo orme.
Gli “Otto Versi di Trasformazione della Mente” sono adeguati per qualsiasi cosa, per dormire, per risvegliarci, per lavorare, per meditare, per soffrire, per morire, per tutto.
Vi leggo ora questa preghiera che riassume pienamente l’insegnamento di oggi:
“Quindi venerabile e compassionevole Guru chiedo le vostre benedizioni perché tutti i debiti karmici, gli ostacoli e le sofferenze degli esseri madri, senza alcuna eccezione, maturino su di me proprio in questo istante, per poter dare agli altri la mia felicità e le mie virtù, portando in tal modo la beatitudine a tutti gli esseri, anche se l’ambiente e gli esseri che vi dimorano fossero colmi dei frutti negativi del loro karma e sofferenze indesiderate cadessero come pioggia.
Chiedo le vostre benedizioni per poter prendere queste circostanze avverse come sentiero, vedendole quali cause per esaurire le conseguenze delle mie azioni negative.
Qualunque cosa mi capiti di incontrare chiedo le vostre benedizioni per poterla adattare alla mia meditazione e con gli abili metodi delle quattro applicazioni possa io rendere questa esistenza dotata di libertà e di ricchezza infinitamente significativa mettendo in pratica i consigli dell’addestramento mentale.
Al fine di liberare tutti gli esseri dell’esistenza chiedo le vostre benedizioni per divenire esperto nella pratica di Bodhicitta per mezzo di un puro desiderio non egoistico, con amore e compassione, unito alla tecnica di meditazione del dare e prendere con il respiro.”
Possiamo trasformare il nostro respiro in un mezzo di Bodhicitta nello scambio del dare e ricevere, questo è molto importante.

Grazie a tutti.







Stato naturale di nascita e di morte


Cominciamo leggendo i “Tre Principale Aspetti del Sentiero” (V. testi annessi pag. I)
Proseguiamo con la lettura della “Preghiera in Sette Rami” (V. testi annessi pag. XVIII)
Ora mediteremo sulla rinuncia, sul cuore di Bodhicitta e sulla vacuità che realizza la realtà ultima, osserviamo la rinuncia come non attaccamento, la Bodhicitta come la suprema mente altruistica, e la saggezza che realizza la realtà ultima come la visione suprema. Possiamo riflettere su questi principi sia considerandoli singolarmente che nel loro insieme.
(meditazione)

La pratica del Dharma, in sintesi, ha l’unico scopo di smantellare il nostro atteggiamento egocentrico, e di conseguenza egoistico, un’attitudine che è la fonte di tutte le miserie, le confusioni e i problemi.
Il nirvāna, la pace permanente, è ottenibile solo dopo aver definitivamente distrutto l’attitudine egocentrica e quando la mente ne è completamente libera siamo nel paranirvāna uno stato di purezza mentale, detto anche mente primordiale, o mente innocente come quella di un neonato, o mente pura.
Alla nascita abbiamo una mente incontaminata e ugualmente nel momento della morte abbandoniamo tutto, ci stacchiamo da tutto, rendendo così la mente pura, libera da orpelli, invece nel periodo intermedio, fra nascita e morte, incappiamo in numerosi eventi che determinano tutta la confusione e le complicazioni della vita.
Nel momento della morte, staccandoci da questi ostacoli, la nostra mente, libera dal corpo, si libra nel cielo come piuma al vento e dunque possiamo sperimentare la mente del distacco, la mente di Bodhicitta ovvero della suprema compassione altruistica, la mente della saggezza.
Negli stati della nascita e della morte sono possibili le esperienze primordiali di purezza della mente, di purezza di sé, perché essere liberi dal corpo offre questa opportunità, non subiamo più i condizionamenti della materia, non dobbiamo più averne cura, patire ed essere influenzati dai suoi cambiamenti.
Però attenzione! la rinuncia, la bodhicitta, la vacuità sono condizioni che possiamo sperimentare nella nascita e nella morte, ma in questo caso non si tratta della loro realizzazione, non matura nulla in questi stati, ne facciamo semplicemente esperienza per via delle condizioni che ne permettono la percezione.
Durante la fase intermedia in cui usufruiamo del prezioso corpo, abbiamo invece la possibilità concreta di maturare e realizzare questi tre ottenimenti e allora nella morte, in cui sperimenteremo naturalmente gli stati primordiali di purezza della mente, saremo in grado di riconoscerli.
L’incontro tra le condizioni naturali della mente liberata dal corpo e gli ottenimenti maturati nella vita accrescerà le nostre realizzazioni, ma se durante l’esistenza terrena non abbiamo realizzato nulla, le esperienze prodotte dalle particolari condizioni di quel momento, anche se appaiono come rinuncia, bodhicitta e vacuità non lo sono effettivamente e potrebbero causarci paura e trasformarsi in esperienze negative.
Se invece le nostre azioni erano finalizzate a conseguire il non attaccamento, l’altruismo, la visione della vacuità, nel momento della morte in cui queste esperienze si manifesteranno naturalmente penseremo di aver finalmente trovato ciò che stavamo cercando da così tanto tempo.
La rinuncia, la bodhicitta, la saggezza che realizza la realtà ultima non sono oggetto di laboratorio, elementi su cui costruire una ricerca scientifica, bensì il risultato dello scavo che stiamo operando in noi stessi per trovare la nostra vera natura, è simile ad un sito archeologico in cui si cercano i reperti originali, non se ne stanno fabbricando di nuovi.
La pratica del Dharma e le realizzazioni sono simili alla ricerca delle origini, non c’è nulla da costruire, nulla di nuovo da presentare, è importante assimilare chiaramente questo concetto.
Nella morte lasciamo tutto, anche la cosa più preziosa, il corpo, ed è questo che dobbiamo affrontare, eppure oggi se perdiamo un qualsiasi oggetto ci alteriamo e agitiamo, se un terremoto o lo tsunami distruggono le nostre case, anche se siamo ancora vivi ci disperiamo, ma quando moriamo anche il corpo finisce.
La morte è come l’origine, è il modo in cui veniamo e il modo in cui ce ne andiamo.
Dobbiamo maturare qui e ora le realizzazioni della rinuncia, della bodhicitta e della vacuità, senza dover attendere il momento della morte, questa è la pratica del Dharma.
Quando meditiamo sulla rinuncia, sulla bodhicitta e sulla vacuità è necessario connetterle con le esperienze della nascita e della morte, il momento in cui siamo completamente nudi, anzi nella morte addirittura privi del nostro stesso corpo.
La liberazione è la libertà dall’attaccamento, e se ora siamo materialmente legati al corpo ce ne possiamo distaccare mentalmente, perché noi veniamo da questo punto e ritorneremo a questo punto e dunque comprenderlo è fondamentale.
E’ importante coltivare senza sosta l’altruismo, perché il corpo, che offre tante possibilità per la nostra sopravvivenza, può essere utilizzato per molte altre azioni. A cosa serve la nostra vita se non essere utili agli altri? non c’è altro da fare.
L’altruismo è parte integrante della nostra origine, e dunque:
qual è il nostro pensiero originale? è l’altruismo;
qual è il nostro atteggiamento originale? è la rinuncia;
qual è la nostra visione originale? è la visione della vacuità, della saggezza.
Questa è la nostra origine e sarà la nostra fine, una realtà che dobbiamo vivere consapevolmente nel presente senza mai separare la vita dalle radici. Nel cristianesimo si viene da Dio e si ritorna a Dio e dunque è importante vivere ogni attimo con Dio, nell’induismo si viene da Brahmā e dunque si deve vivere con Brahmā e ritornare a Brahmā, perché altrimenti nel momento in cui dovremo ritornare alle origini non si saremo in grado di riconoscerle essendone vissuti separati.
Allo stesso modo nel buddhismo la rinuncia, la bodhicitta, la vacuità costituiscono la natura di Buddha cioè di noi stessi. Noi veniamo dalla natura di Buddha, viviamo nella natura di Buddha e ritorneremo alla natura di Buddha e se riusciamo a permanervi stabilmente significa che siamo liberati, siamo nel nirvāna.
La condizione di illuminazione è appunto questo, essere nel proprio stato originale senza alcuna separazione, è molto semplice, non è necessario studiare pesanti tomi di filosofia per comprenderlo.
Nella religione c’è la teologia e la fede nella verità, credere nella verità, cercare la verità, vedere la verità, vivere con la verità senza porsi troppe domande o elaborare complessi ragionamenti. 
Senza studi complessi e raffinate disquisizioni filosofiche o teologiche è possibile praticare pienamente il Dharma.
Il Dharma è il modo naturale in cui vivono gli esseri senzienti.
La rinuncia, la bodhicitta la visione della vacuità sono la base e il punto di arrivo.
Abbiamo dunque visto qual è il compito del praticante Lam Rim e di ogni essere senziente.

Vi ringrazio per essere stati qui e aver praticato insieme.



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TESTI   ANNESSI 





I tre Aspetti Principali del Sentiero


Testo insegnato dall’erudito monaco Drakpa Pal (Tsongkhapa) a Tsa Kho Vonpo Ngawang Drakpa.
Traduzione inglese e note a cura di Geshe Gedun Tharchin - La traduzione italiana è stata effettuata dall’Istituto Lam Rim di Roma.

Porgo omaggio ai venerabili Lama.

Spiegherò, come meglio posso,
il significato essenziale di tutte le Scritture del Buddha,
il sentiero lodato dagli eccellenti Bodhisattva,
la via d’accesso per il fortunato che anela alla liberazione.

Coloro che non sono attaccati ai piaceri dell’esistenza mondana,
coloro che si sforzano per rendere utili le circostanze favorevoli e la fortuna,
coloro che propendono per il sentiero che compiace Buddha ,
questi fortunati dovrebbero ascoltare con mente attenta.

Senza una rinuncia completamente pura,
non vi è modo di frenare l’ardente ricerca di piaceri nell’oceano dell’esistenza.
Inoltre, l’attaccamento all’esistenza ciclica imprigiona completamente gli esseri incarnati.
Quindi, sin dall’inizio, bisognerebbe cercare di realizzare la rinuncia.

Le circostanze favorevoli e la fortuna sono difficili da ottenere
e la vita non è lunga,
familiarizzando con ciò, si elimina l’attaccamento alle apparenze di questa vita.
Riflettendo costantemente sul karma e sui suoi inevitabili effetti
e sulle sofferenze del samsara,
si elimina l’attaccamento alle apparenze delle vite future.

Se, avendo meditato in tal modo, non nasce nessun desiderio
per i piaceri dell’esistenza ciclica,
e se costantemente, giorno e notte, sorge un’aspirazione alla liberazione, 
allora la rinuncia è stata generata.

Tuttavia, se questa rinuncia non viene unita alla generazione
di una completa aspirazione alla più alta illuminazione,
non diverrà causa della meravigliosa beatitudine dell’insuperabile Bodhi.
Perciò il saggio dovrebbe generare il supremo Bodhicitta.

Gli esseri samsarici vengono trascinati dalla corrente dei quattro potenti fiumi,
sono legati con le strette catene del karma, difficile da eliminare,
sono entrati nella gabbia di ferro dell’attaccamento al Sé,
sono completamente oscurati dalle fitte tenebre dell’ignoranza,

nascono nell’esistenza senza limiti, e nelle loro nascite
vengono incessantemente torturati dalle tre sofferenze.
Riflettendo in tal modo circa la condizione delle madri che si trovano in tale stato,
genera la suprema intenzione altruistica di divenire un Risvegliato.

Se non possiedi la saggezza che comprende la vera natura delle cose,
sebbene tu abbia sviluppato la rinuncia e il Bodhicitta,
la radice del samsara non può essere estirpata.
Quindi, impegnati intensamente per realizzare l’origine interdipendente.

Colui che vede come inevitabile la realtà di causa ed effetto di tutti i fenomeni
nel samsara e nel nirvana,
distrugge totalmente ogni percezione errata
ed è entrato nel sentiero che compiace i Buddha.

Fin quando le due realizzazioni, quella delle apparenze,
ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente
e quella della Vacuità, ovvero la non-asserzione,
vengono considerate separate, non vi è ancora la realizzazione 
del pensiero di Buddha Shakyamuni.

Quando le due realizzazioni esistono simultaneamente, senza alternarsi,
e la semplice percezione dell’inevitabilità dell’origine interdipendente eliminerà
la concezione di un’esistenza intrinseca,
allora l’analisi della visione è completa.

Inoltre, l’estremo dell’esistenza è eliminato dall’apparenza,
e l’estremo della non-esistenza è eliminato dalla Vacuità.
Se comprenderai che la Vacuità appare come causa ed effetto,
non sarai preda delle visioni estremiste.

Quando avrai realizzato correttamente 
i punti essenziali dei tre aspetti principali del sentiero,
dimora in solitudine e genera il potere della perseveranza entusiastica.
Raggiungi presto la tua meta finale, figlio mio.

***





Dedica e preghiera conclusiva nel Lam Rim 

Composta da Geshe Gedun Tharchin il 4 novembre 2000 - versione originale in tibetano


La Vittoriosa tradizione dei Buddha come fondamento di Pace e Felicità,
Medicina per illuminare le sofferenze di tutti gli esseri senzienti,
Tesoro che realizza le speranze degli esseri viventi dei tre reami,
Gioiello che soddisfa simultaneamente i desideri propri e altrui.

Dal profondo del mio cuore porgo il mio rispetto ai Maestri,
che mi hanno indicato senza errori i metodi per seguire 
il Percorso Fondamentale, come affidarmi ad una guida spirituale
fino a raggiungere, tramite la pace, la completa Illuminazione.

(x 3)   Possano tutti gli esseri, e noi stessi, incontrare la felicità
Realizzando la rinuncia, la mente del non-attaccamento,
il Bodhicitta, la mente altruistica e che aspira a vincere la sofferenza, 
 la Vacuità, la massima visione della Chiara Luce.








Gli Otto Versi della Trasformazione della Mente


Considerando tutti gli esseri senzienti
superiori alla gemma che esaudisce i desideri 
per realizzare il fine supremo
possa io costantemente prenderli a cuore.

Quando sarò con gli altri, 
riterrò me stesso come il meno importante,
e mi prenderò cura di loro fin nel profondo del cuore
come se ognuno fosse il più elevato degli esseri.

Vigile, ogni volta che sorge un’emozione negativa
Che possa nuocere me o gli altri,
l’affronterò e l’eliminerò
senza indugio.

Vedendo esseri in preda alla malvagità
Intenti a violente azioni negative, sopraffatti da sofferenze, 
avrò sempre cura di tali creature così rare,
come se avessi trovato un tesoro prezioso.

Quando altri, per invidia, mi maltratteranno,
mi insulteranno o faranno cose simili,
accetterò la sconfitta e offrirò la vittoria.

Quando qualcuno a cui ho fatto del bene
e in cui ho riposto grandi speranze
mi infligge un danno terribile,
lo considererò il mio santo amico spirituale.

(ripetere 3 volte)   In breve, direttamente e indirettamente, offro
ogni beneficio e felicità a tutti gli esseri senzienti, mie madri;
possa io segretamente prendere su di me
tutte le loro azioni negative e sofferenze.

Possa la pratica non essere mai contaminata dalle idee causate
dalle otto preoccupazioni mondane,
e, consapevole che tutte le cose sono illusorie,
possa io, privo di attaccamento, essere libero dal samsara.








Il Cuore della Perfezione della Saggezza”

Il titolo sanscrito è: Bhagavati  Prajna Paramita Hridaya
Così una volta udii:
Il Bhagavan dimorava a Rajagrha, presso il Picco dell’Avvoltoio, con un gran numero di Arhat e un gran numero di Bodhisattva e a quel tempo il Bhagavan era entrato nell’assorbimento meditativo sulla varietà dei fenomeni chiamato “percezione profonda”. In quello stesso tempo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, era assorto nella stessa pratica della profonda perfezione della saggezza e vide che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca.
Quindi, tramite l’ispirazione del Buddha, il venerabile bikshu Shariputra si rivolse all’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva e gli disse: “come deve addestrarsi un figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza?”
Quando fu detto questo, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, rispose al venerabile bikshu Shariputra e disse: “Shariputra, ogni figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva, che desideri impegnarsi nella pratica della profonda perfezione della saggezza, dovrebbe vedere chiaramente nel seguente modo: dovrebbe vedere distintamente che anche i cinque aggregati sono vuoti di natura intrinseca”.
“La forma è vuota, la vacuità è forma; la vacuità non è altro che forma, la forma non è altro che vacuità. Allo stesso modo sono vuote le sensazioni, le percezioni, le formazioni mentali e la coscienza. Quindi, Shariputra, tutti i fenomeni sono vacuità; essi sono privi di caratteristiche peculiari; non sono nati, non cessano; non sono contaminati, non sono incontaminati; non sono incompleti e non sono completi.”
“Quindi, Shariputra, nella vacuità non c’è forma, né sensazioni, né percezioni, né formazioni mentali, né coscienza. Non c’è occhio, né orecchio, né naso, né lingua, né corpo, né mente. Non c’è forma, né suono, né odore, né gusto, né oggetti concreti, né oggetti mentali. Non c’è nessun elemento visivo, così fino a nessun elemento mentale fino a includere nessun elemento della coscienza mentale. Non c’è ignoranza, non c’è estinzione dell’ignoranza, e così fino a nessun invecchiamento e morte, e nessuna estinzione dell’invecchiamento e della morte. Allo stesso modo, non c’è sofferenza, origine, cessazione o sentiero; non c’è saggezza, né ottenimento e neppure mancanza di ottenimento.”
“Quindi, Shariputra, poiché i Bodhisattva non hanno ottenimenti, si basano e dimorano nella perfezione della saggezza. Non avendo oscuramenti nelle loro menti, essi non hanno paura, ed essendo andati totalmente oltre l’errore, essi raggiungono la meta finale: il nirvana. Tutti i Buddha che dimorano nei tre tempi hanno ottenuto il pieno risveglio dell’insuperabile, perfetta illuminazione, basandosi su questa profonda perfezione della saggezza”.
“Quindi, si dovrebbe sapere che il mantra della perfezione della saggezza – il mantra della grande conoscenza, il mantra supremo, il mantra uguale a ciò che non ha uguale, il mantra che fa tacere tutte le sofferenze – è vero perché non è ingannevole. Si proclama il mantra della perfezione della saggezza:
TADYATHA GATE’ GATE’ PARAGATE’ PARASAMGATE’ BODHI SVAHA
Shariputra, così i Bodhisattva mahasattva dovrebbero addestrarsi alla profonda perfezione della saggezza”.
Quindi, il Bhagavan si svegliò dal suo assorbimento meditativo e lodò l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, dicendo che era eccellente.
“Eccellente! Eccellente! Figlio del lignaggio dei Bodhisattva, è proprio così; dovrebbe essere così. Bisogna praticare la profonda perfezione della saggezza proprio così come hai rivelato. Perciò anche i Tathagata se ne rallegreranno”.
Come il Bhagavan pronunciò queste parole, il venerabile bikshu Shariputra, l’arya Avalokitesvara, il Bodhisattva mahasattva, insieme all’intera assemblea, inclusi i mondi degli dei, degli umani, degli asura e dei gandharva, tutti gioirono e lodarono ciò che il Bhagavan aveva detto. 







Atīsa - La Lampada sul Sentiero verso l’Illuminazione

 (Trascrizione del testo: Fabio Di Donna)
Mi prostro al bodhisattva, il giovane Mañjusrī.
Rendo omaggio con grande rispetto ai Conquistatori dei tre tempi, ai loro insegnamenti e a coloro che aspirano alla virtù. Esortato dal perfetto discepolo Cianciub Ö illustrerò la lampada sul sentiero verso l’illuminazione.
Comprendi che ci sono tre tipi di individui poiché essi hanno capacità inferiore, media e superiore. Scriverò distinguendo chiaramente le loro caratteristiche individuali.
Sappi che coloro che ricercano per se stessi, con qualunque mezzo, nient’altro che i piaceri dell’esistenza ciclica, sono individui di capacità inferiore.
Coloro i quali ricercano la pace solo per se stessi, avendo voltato le spalle ai piaceri mondani e rinunciato a compiere azioni negative sono detti individui di capacità media.
Coloro che, attraverso la loro personale sofferenza, desiderano sinceramente far cessare tutte le sofferenze degli altri, sono persone di capacità suprema.
Per queste creature eccellenti, che aspirano alla suprema illuminazione, spiegherò i metodi perfetti tramandati dai maestri spirituali.
Di fronte a un’immagine dipinta, scolpita e così via di colui che ha raggiunto la completa illuminazione, a uno stupa e all’insegnamento eccellente, offri fiori, incenso e qualunque altro bene possiedi.
Con l’offerta in sette parti dalla [Preghiera della] Nobile Condotta, con il pensiero di non tornare indietro finché non raggiungi l’illuminazione ultima,
e con una forte fede nei Tre Gioielli, inchinati con un ginocchio a terra e, con le mani giunte, per prima cosa prendi rifugio tre volte.
Quindi, iniziando col generare un pensiero d’amore per tutte le creature viventi, considera gli esseri, senza nessuna esclusione, tormentati dalle tre cattive rinascite, tormentati dalla nascita, dalla morte e così via.
Allora, dal momento che desideri liberare questi esseri dalla sofferenza del dolore, dalla sofferenza e dalla causa della sofferenza, fai sorgere immutabilmente la determinazione di raggiungere l’illuminazione.
Le qualità per sviluppare questo tipo di aspirazione sono completamente illustrate da Maitreya nel Sutra della sequenza dei tronchi.
Avendo appreso di tutti gli infiniti benefici che derivano dall’intenzione di raggiungere la completa illuminazione leggendo questo sutra o ascoltandolo da un maestro, falla sorgere ripetutamente per renderla stabile.
Citerò brevemente a questo punto i tre versi del Sutra richiesto da Viradatta nel quale i meriti suddetti sono pienamente illustrati.
Se i meriti di questa intenzione altruistica dovessero assumere una forma fisica riempirebbero completamente lo spazio e si espanderebbero oltre.
Se qualcuno offrisse ai protettori dell’universo gioielli in tal numero da riempire i campi puri dei buddha pari ai granelli di sabbia del Gange,
tale offerta sarebbe inferiore al dono di congiungere le mani e disporre la propria mente verso l’illuminazione, perché tali meriti sono senza limite.
Avendo generato la mente che aspira all’illuminazione, costantemente con grande sforzo occorre accrescerla. Per ricordarla in questa vita e anche nelle altre, mantieni propriamente i precetti come è spiegato.
Senza prendere il voto della mente dell’impegno, la perfetta aspirazione non potrà svilupparsi. Sforzati definitivamente di prenderlo, poiché vuoi accrescere il desiderio per l’illuminazione.
Coloro che mantengono qualunque dei sette tipi di voto per la liberazione individuale, non gli altri, possiedono i [requisiti] ideali per prendere il voto del bodhisattva.
Il Tathagata ha spiegato i sette tipi di voto della liberazione individuale. Il più elevato fra questi è la gloriosa pura condotta, che è il voto proprio della persona completamente ordinata.
In accordo al rituale descritto nel capitolo sulla disciplina nel testo Gli stadi del bodhisattva, prendi il voto da un bravo e ben qualificato, maestro spirituale.
Comprendi che un buon maestro spirituale è esperto nella cerimonia di concedere il voto, vive nel voto e possiede la confidenza e la compassione per concederlo.
Comunque, se dopo aver cercato, non sei riuscito a trovare un tale maestro spirituale, spiegherò un’altra procedura corretta per prendere il voto.
Descriverò qui chiaramente, secondo la spiegazione del Sutra dell’ornamento della terra pura di Manjusri, come, molto tempo fa, quando Mañjusrī si chiamava Ambaraja, generò l’intenzione di raggiungere l’illuminazione.
“Di fronte ai Protettori, faccio sorgere l’intenzione di ottenere la completa illuminazione. Invito tutti gli esseri come miei ospiti e li libererò dall’esistenza ciclica.
“Da ora in poi, sino al raggiungimento dell’illuminazione non darò spazio a pensieri che danneggiano, rabbia, avarizia, invidia.
“Coltiverò una condotta pura, rinuncerò alle azioni negative e al desiderio e con gioia nel voto della disciplina mi addestrerò nel seguire i buddha.
“Cercherò di non avere fretta nel voler velocemente raggiungere l’illuminazione, ma rimarrò indietro sino alla fine per il beneficio anche di un solo essere.
“Purificherò le inconcepibili infinite terre e sarò presente nelle dieci direzioni per tutti coloro che invocheranno il mio nome.
“Purificherò tutte le mie azioni compiute col corpo e con la parola. Purificherò anche le mie attività mentali e non farò niente che non sia virtuoso.”
Quando coloro che osservano il voto della mente dell’impegno si saranno ben addestrati nelle tre forme di disciplina, il loro rispetto verso queste crescerà, causando la purezza del corpo, della parola e della mente.
Quindi attraverso lo sforzo compiuto dal bodhisattva di mantenere il voto per la pura e piena illuminazione, le raccolte per la completa illuminazione saranno pienamente realizzate.
Tutti i buddha affermano che la causa per completare le raccolte, la cui natura è merito e saggezza suprema, è lo sviluppo della chiaroveggenza.
Come un uccello che non ha sviluppato le ali non può volare nel cielo, coloro senza il potere della chiaroveggenza, non possono lavorare per il bene degli esseri viventi.
I meriti ottenuti in un solo giorno da colui che possiede la chiaroveggenza, non possono essere ottenuti neanche in cento vite da colui che ne è privo.
Coloro che vogliono completare velocemente le due raccolte per la piena illuminazione otterranno la chiaroveggenza per mezzo dello sforzo, non per mezzo della pigrizia.
Senza l’ottenimento della calma dimorante non si potrà ottenere la chiaroveggenza. Quindi, compi ripetuti sforzi per conseguire la calma dimorante.
Se le condizioni per la calma dimorante sono incomplete, la stabilizzazione meditativa non sarà completata, anche se si meditasse strenuamente per migliaia di anni.
Così, mantenendo correttamente le condizioni menzionate nel Capitolo della collezione per la stabilizzazione meditativa, focalizza la mente su un qualsiasi oggetto virtuoso.
Quando il praticante ha realizzato la calma dimorante, otterrà anche la chiaroveggenza, ma senza la pratica della perfezione della saggezza le ostruzioni non avranno fine.
Perciò, per eliminare tutte le ostruzioni alla liberazione e all’onniscienza, il praticante dovrebbe continuamente coltivare la perfezione della saggezza con mezzi abili.
La saggezza senza mezzi abili e anche i mezzi abili senza saggezza sono indicati come “legami” perciò non abbandonare nessuno dei due.
Per eliminare qualsiasi dubbio su cosa sia la saggezza e cosa siano i mezzi abili, chiarirò la differenza tra mezzi abili e saggezza.
A parte la perfezione della saggezza, tutte le pratiche virtuose come la perfezione della generosità, sono descritte come mezzi abili dai vittoriosi.
Chiunque, per il potere della familiarità con i mezzi abili, coltivi la saggezza, otterrà velocemente l’illuminazione non solo meditando sulla mancanza del sé.
Comprendere la vacuità dell’esistenza intrinseca attraverso la realizzazione che gli aggregati, i costituenti e le sorgenti non sono prodotti, è spiegata come saggezza.
Un fenomeno esistente non può essere prodotto, e nemmeno qualcosa di non esistente, come un fiore nel cielo. Questi errori sono entrambi assurdi e così nessuno dei due può accadere.
Una cosa non è prodotta da se stessa, non è prodotta da altro, non è prodotta da entrambi, né senza causa, perciò non esiste intrinsecamente, per sua propria entità.
Inoltre, quando tutti i fenomeni sono esaminati in funzione dell’essere uno o molti, essi non sono visti esistere per loro propria entità, perciò sono accertati come non intrinsecamente esistenti.
La logica esposta nelle Settanta stanze sulla vacuità, Il trattato sulla via di mezzo e così via, spiega che la natura di tutte le cose è stabilita come vacuità.
Poiché vi sono veramente molti passaggi, non li ho citati qui, ma ho solamente spiegato le loro conclusioni per lo scopo della meditazione.
Allora, qualunque meditazione sulla mancanza del sé, poiché non osserva una natura intrinseca nel fenomeno, è lo sviluppo della saggezza.
Proprio come la saggezza non vede una natura intrinseca nei fenomeni, dopo aver analizzato la saggezza stessa tramite ragionamento, medita non concettualmente su di essa.
La natura di questa esistenza mondana, che sorge dalla concettualizzazione, è concettualità. Quindi l’eliminazione della concettualità è il più alto stato del nirvana.
La grande ignoranza della concettualità ci fa precipitare nell’oceano dell’esistenza ciclica. Dimorando in una stabilizzazione non concettuale, la non concettualità simile allo spazio si manifesta chiaramente.
Quando i bodhisattva contempleranno non concettualmente questo eccellente insegnamento, trascenderanno la concettualità, così difficile da superare, e alla fine otterranno lo stato privo di concettualità.
Avendo compreso, attraverso le scritture e i ragionamenti, che i fenomeni non sono prodotti e non hanno un’esistenza a sé stante, medita senza concettualità.
Avendo meditato così sulla talità, alla fine, dopo aver ottenuto il “calore” e così via, si raggiungerà il “molto gioioso” e gli altri e, dopo breve tempo, lo stato illuminato della buddhità.
Se desideri creare facilmente le raccolte per l’illuminazione attraverso le attività di pacificazione, incremento e così via, acquisite attraverso il potere del mantra,
e anche per la forza degli otto e altri grandi ottenimenti come il “buon vaso”, se vuoi praticare il mantra segreto, come è spiegato nel tantra dell’azione e del comportamento,
allora, per ricevere l’iniziazione del maestro, devi compiacere un eccellente maestro spirituale, attraverso servizi, regali preziosi e cose simili così come l’obbedienza.
Grazie al completo conferimento dell’iniziazione del maestro, da parte di un maestro spirituale che è compiaciuto, sarai purificato da tutte le negatività e diverrai idoneo per conseguire i potenti ottenimenti.
Coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta non devono prendere le iniziazioni segrete e della saggezza, poiché nel Grande tantra del Buddha primordiale è proibito severamente.
Se coloro che osservano l’austera pratica di pura condotta ricevono queste iniziazioni, degenerano il loro voto di austerità facendo quello che è proibito.
Questo crea trasgressioni che sono una sconfitta per coloro che osservano la disciplina. Poiché essi sono certi di cadere in una cattiva rinascita, non otterranno mai delle realizzazioni.
Tuttavia, non vi è difetto se uno ha ricevuto l’iniziazione del maestro e conoscendo la talità, ascolta o spiega i tantra, compie i rituali dell’offerta bruciante, o fa offerte di doni e così via.
Io, l’Anziano Dipamkarashri, in accordo ai sutra e ad altri insegnamenti, ho scritto questa concisa spiegazione su richiesta del discepolo Cianciub Ö.






I Versi dell’Esperienza

Lam-Rim Bsdus-Dön -  (Il Significato Essenziale del Sentiero Graduale) 
di Lama Tsong Khapa Lobsang Drakpa
Fu scritto nel monastero di Ganden Nampar Gyelwa’l, sulla montagna Drog Riwoche, in Tibet, compilato in forma breve perché non possa mai essere dimenticato, dal monaco buddhista Lobsang Drakpa, un meditante che ha ascoltato molti insegnamenti. - La traduzione italiana è stata fatta dall’Istituto Lamrim di Roma dal testo originale in tibetano, consultando varie traduzioni in inglese.

Mi prostro davanti a te, Buddha, capo della stirpe dei Sakya. Il tuo corpo illuminato è generato da decine di milioni di virtù positive e perfette realizzazioni; la tua parola illuminata esaudisce i desideri di innumerevoli esseri; la tua mente illuminata vede tutto l’esistente nella sua vera natura.
Mi prostro davanti a voi, Maitreya e Manjusri, supremi figli spirituali di questo impareggiabile maestro. Assumendovi la responsabilità di favorire tutte le azioni illuminate del Buddha, voi inviate emanazioni a innumerevoli mondi.
Mi prostro davanti ai vostri piedi, Nagarjuna e Asanga, ornamenti del nostro mondo. Grandemente famosi in tutti i Tre Reami, avete commentato la “Madre dei Buddha”, la più difficile da comprendere, rivelando esattamente il suo vero significato.
Mi inchino a Dipamkara Atisha, titolare di un tesoro di insegnamenti. Vi sono inclusi tutti i punti completi, senza errori, che riguardano i sentieri della visione profonda e dell’azione estesa, trasmessi inalterati dai suoi due grandi precursori.
Mi prostro rispettosamente davanti ai miei maestri spirituali. Voi siete gli occhi che ci permettono di comprendere tutte le infinite affermazioni delle scritture, il miglior guado degli esseri fortunati che avanzano verso la liberazione. Voi rendete chiaro ogni argomento tramite i vostri abili mezzi, motivati da un’intensa preoccupazione amorevole.
Gli stadi del sentiero verso l’illuminazione sono stati trasmessi intatti da coloro che si sono succeduti a Nagarjuna e Asanga, gioielli che adornano la corona di tutti gli eruditi maestri del mondo, lo stendardo della loro fama sventola al di sopra delle masse. Dato che, seguendo questi stadi, si può soddisfare ogni desiderio di tutti gli esseri viventi, sono simili ad un re che concede il potere del prezioso insegnamento. Inoltre, poiché raccolgono il flusso del pensiero di migliaia di classici eccellenti, in effetti sono un oceano di sublimi e corrette spiegazioni.
Questi insegnamenti rendono facile comprendere come non vi sia nulla di contraddittorio in tutti gli insegnamenti del Buddha e fanno sorgere nella tua mente ogni affermazione delle scritture, senza eccezione, come un’istruzione ricevuta direttamente. Rendono facile scoprire quello che il Buddha intendeva e ti proteggono dall’abisso del grande errore. Grazie a questi quattro benefici, quale persona capace di comprendere fra gli eruditi maestri dell’India e del Tibet non avrebbe la propria mente completamente conquistata da questo insegnamento degli stadi del sentiero dei tre livelli di persone, l’istruzione suprema alla quale molti esseri fortunati si sono dedicati?
Sebbene guadagni un grande merito recitando o ascoltando anche una sola volta questo testo scritto da Atisha, che include i punti essenziali di tutte le affermazioni delle scritture, è certo che accumulerai anche grandi raccolte di benefici studiando e insegnando effettivamente il sacro Dharma in esso contenuto. Quindi dovresti prendere in considerazione il metodo per farlo correttamente.
Avendo preso rifugio, dovresti comprendere che la giusta devozione nel pensiero e nell’azione al tuo sublime maestro, che ti mostra il sentiero per l’illuminazione, è la causa radice più propizia per ottenere una grande quantità di condizioni favorevoli in questa e nelle vite future. Quindi dovresti compiacere il tuo maestro offrendogli la tua pratica di ciò che ti ha insegnato, non abbandonandola nemmeno a costo della tua vita. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
Questa esistenza umana, con le sue otto libertà, è più preziosa persino della gemma che esaudisce i desideri. Ottenuta una sola volta, difficile da conseguire e facilmente persa, trascorre come un lampo, come un fulmine nel cielo. Considerando come ciò facilmente possa succedere in qualsiasi momento e comprendendo che tutte le attività mondane sono prive di vero significato, come paglia senza valore, tu dovresti tentare di coglierne il valore in ogni momento, giorno e notte. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
Dopo la morte, non vi è alcuna garanzia che non rinascerai in uno dei tre reami sfortunati. Nonostante questo, è certo che i Tre Gioielli del Rifugio abbiano il potere di proteggerti dai loro tormenti. Per questo motivo, la tua presa di rifugio dovrebbe essere estremamente solida e dovresti seguire il suo consiglio senza mai lasciare indebolire il tuo impegno. Inoltre, il tuo successo nel far ciò dipende dalla corretta comprensione su quali siano le azioni karmiche negative e positive, insieme ai loro risultati , e quindi vivere secondo i dettami di ciò che deve essere accettato o rifiutato. Io, lo yogi, ho già praticato così. Tu, che anche cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
I più intensi passi del successo nel realizzare i supremi sentieri non avverranno se non avrai ottenuto il fondamento pratico ideale di un essere umano. Pertanto, devi addestrarti nelle azioni virtuose causali, che consentiranno il raggiungimento di tale forma umana in modo completo. Inoltre, siccome è estremamente essenziale purificare le macchie dei debiti e delle conseguenze del karma negativo, derivati dalla rottura dei voti, macchiando le tre porte (corpo, parola e mente), e soprattutto eliminando gli ostacoli karmici che impedirebbero una rinascita umana, dovresti avere a cuore continuamente di dedicarti ad applicare tutti i quattro poteri antagonisti, che ti possono ripulire da ogni negatività. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore coltiva la tua mente allo stesso modo.
Se non ti sforzi di riflettere sulle tue sofferenze e i loro inconvenienti, non potrai sviluppare correttamente un intenso interesse per l’impegno necessario alla liberazione. Se non comprendi il modo in cui le reali origini di tutte le sofferenze ti pongono e trattengono nell’esistenza ciclica, non conoscerai mai i metodi per tagliare le radici di questo circolo vizioso. Quindi dovresti avere a cuore di provare un totale disgusto e rinuncia di questa esistenza, conoscendo quali siano i fattori che ti legano alla sua ruota. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
L’accrescimento continuo della tua motivazione illuminata di bodhicitta è l’asse centrale del sentiero Mahayana. E’ la base e il fondamento per grandi onde di condotta illuminata. Come l’elisir che produce l’oro, esso trasforma qualunque cosa tu faccia nelle due accumulazioni, edificando un tesoro di meriti prodotti da virtù raccolte all’infinito. Sapendo questo, i Bodhisattva considerano questa preziosa mente suprema come la pratica più interiore. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
La generosità è la gemma che esaudisce i desideri con la quale puoi realizzare le speranze degli esseri senzienti. E’ l’arma migliore per tagliare il nodo dell’avarizia. E’ il comportamento altruistico che aumenta la fiducia in se stessi e il coraggio impavido. E’ la base per la buona reputazione da proclamare nelle dieci direzioni. Sapendo ciò, i saggi hanno votato se stessi all’eccellente sentiero dell’offrire totalmente il proprio corpo, i propri averi e meriti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
La disciplina etica è l’acqua che lava via le macchie delle azioni negative. E’ il raggio di luna che rinfresca l’ardente calore delle afflizioni mentali, Ti rende raggiante come il monte Meru in mezzo alle nove specie di esseri. Tramite il suo potere, sei capace di esercitare la tua buona influenza su tutti gli esseri, senza ricorrere ad altri mezzi. Sapendo ciò, i santi hanno protetto, come se fossero i loro stessi occhi, i precetti che hanno accettato di osservare con purezza. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
La pazienza è il miglior ornamento per coloro che hanno il potere, e la perfetta pratica ascetica lo è per chi sia tormentato da illusioni. E’ l’aquila che si innalza alta, è la nemica del serpente della rabbia, è la corazza più robusta contro le armi del linguaggio offensivo. Sapendo ciò, i saggi si sono esercitati nei vari modi e nelle varie forme con la corazza della suprema pazienza. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
Una volta che hai indossato l’armatura della risoluta e irremovibile perseveranza entusiastica, la tua conoscenza delle scritture e la tua intuizione aumenteranno come la luna crescente. Tutte le tue azioni saranno significative per lo scopo di ottenere l’illuminazione, e qualunque cosa tu intraprenderai la porterai alla sua conclusione come volevi. Sapendo ciò, i Bodhisattva si sono esercitati in grande ondate di perseveranza entusiastica, eliminando ogni pigrizia. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
La concentrazione meditativa è il sovrano esercizio del potere sulla mente. Se la fissi su un oggetto, vi rimane stabile come il monte Meru. Se la applichi, può affrontare perfettamente qualsiasi oggetto virtuoso. Conduce alla grande beatitudine del corpo e della mente, rendendoli utili allo scopo. Sapendo ciò, gli yogi esperti hanno votato se stessi alla continua concentrazione sul singolo punto, che sconfigge il nemico della divagazione mentale. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
La profonda saggezza è l’occhio con il quale contemplare la profonda vacuità e il sentiero con il quale sradicare l’ignoranza fondamentale, fonte dell’esistenza ciclica. E’ il tesoro dell’ingegno elogiato in tutte le affermazioni delle scritture e rinomato come la suprema lampada che illumina le oscurità della mente limitata. Sapendo ciò, i saggi che hanno desiderato la liberazione hanno progredito lungo questo sentiero con grande impegno. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
Con la sola meditazione sul singolo punto, non hai la visione che ti porta l’abilità di estirpare le radici dell’esistenza ciclica. Inoltre, sprovvisto del sentiero della quiete costante, la sola saggezza non può far ripiegare le illusioni, non importa come tu le analizzi. Quindi, sul cavallo incrollabile della calma dimorante, i saggi hanno montato la saggezza discriminante che è assolutamente cruciale per conoscere la vera natura delle cose. Allora, con la spada affilata del ragionamento della Via di Mezzo, escludendo le visioni estremiste, essi hanno utilizzato ampiamente la saggezza discriminante per analizzare correttamente e distruggere tutti i fondamenti delle loro idee che tendevano ad aggrapparsi agli estremi. In questo modo essi hanno accresciuto la loro conoscenza, che ha realizzato la vacuità. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
Una volta conseguita la concentrazione sul singolo punto tramite la familiarità con la mente focalizzata sul singolo punto, il tuo stesso esame sul singolo fenomeno, tramite l’appropriata analisi, da sola accrescerà la tua concentrazione univoca stabilizzata estremamente salda. Vedendo ciò, coloro che hanno praticato con ardore si sono meravigliati dall’ottenimento dell’unione della calma dimorante e dell’intuizione della vacuità. C’è bisogno di affermare che dovresti pregare per ottenerla tu stesso? Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
Avendo conseguito tale unione, dovresti meditare sia sulla vacuità simile allo spazio, mentre sei completamente assorbito nella sessione meditativa, che sulla vacuità simile all’illusione, quando in seguito ti alzi. Così facendo, attraverso l’unione di pratica e consapevolezza, sarai elogiato come qualcuno che si perfeziona nella condotta del Bodhisattva. Comprendendo ciò, coloro che hanno avuto la grande fortuna di ottenere l’illuminazione, non si sono mai accontentati semplicemente di sentieri incompleti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
In questo modo, una volta che hai sviluppato adeguatamente il sentiero comune necessario ad entrambi i veicoli Mahayana, quelli della pratica delle cause e dei risultati, affidandoti ad un’abile guida attraversare il vasto oceano degli insegnamenti Mantrayana. Coloro che hanno fatto ciò e che si sono dedicati alle sue istruzioni, hanno ottenuto la realizzazione di un corpo umano con tutte le libertà ed ottenimenti di grande significato. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.
Per familiarizzare la mia mente con ciò e darne beneficio agli altri esseri che abbiano avuto la buona fortuna di incontrare un autentico maestro e che siano capaci di praticare quanto egli insegna, ho spiegato qui, con parole facilmente comprensibili, il sentiero che compiace i Buddha. Prego affinché il merito che ne deriva possa far si che nessun essere senziente sia mai separato da questi sentieri puri ed eccellenti. Io, lo yogi, ho già praticato così. Se anche tu cerchi la liberazione, per favore evolviti allo stesso modo.







PREGHIERA MĀHAMUDRĀ


O Grande Vajradhara, che pervadi tutte le nature,
Glorioso primo Buddha, principio di tutte le famiglie di Buddha
Nella dimora celeste dei tre corpi spontanei,
Ti prego di concedermi la tua benedizione.

Affinché io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé nel mio continuum mentale,
Praticare l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
O Onnisciente, Eccelso Mañjusrī,
Padre di tutti i Conquistatori dei tre tempi,
Nelle terre di Buddha attraverso i mondi delle dieci direzioni,
Ti prego di concedermi la tua benedizione.

Affinché io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé nel mio continuum mentale,
Praticare l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
O Guru venerabili,
Guide spirituali che, per discepoli fortunati,
Avete diffuso l'essenza del Dharma,
Vi prego di concedermi la vostra benedizione.

Affinché io possa sradicare la pianta rampicante dell’attaccamento al sé nel mio continuum mentale,
Praticare l’amore, la compassione e la bodhicitta,
e compiere velocemente il mahamudra del sentiero dell’Unione,
Vi prego concedetemi la vostra benedizione.

Affinché io possa vedere il venerabile Guru come un Buddha,
Superare l’attaccamento per il samara,
Completare i sentieri comuni e non comuni,
e ottenere velocemente l’Unione del Māhamudhrā.

Il mio corpo e il tuo corpo, o Padre,
La mia parola e la tua parola, o Padre,
La mia mente e la tua mente, o Padre,
Possano, attraverso la tua benedizione, divenire un’unità inseparabile.








Pratica dei sette rami


Oh leoni fra gli uomini, Buddha passati, presenti e futuri,
a quanti di voi esistono nelle dieci direzioni,
mi prostro con corpo, parola e mente.

Sulle onde della potenza di questa regina delle preghiere,
per i metodi supremi e sublimi
con corpi numerosi come gli atomi del mondo,
mi prostro ai Buddha che pervadono lo spazio.

In ogni atomo si trova un Buddha che siede tra gli innumerevoli figli di Buddha;
con sguardo fiducioso mi rivolgo ai Vittoriosi che riempiono l’intero Dharmadhātu.

A coloro che hanno infiniti oceani di eccellenza,
con un oceano di prodigiosa parola
canto lodi alla grandezza di tutti i Buddha:
un elogio a coloro che sono andati nella beatitudine.

Offro loro ghirlande di fiori, parasoli decorati, musiche piacevoli e profumi eccelsi;
offro a tutti i Vittoriosi lampade al burro e sacro incenso purissimo.

Cibo eccellente, fragranze supreme
e un cumulo di sostanze mistiche alto come il monte Meru
dispongo in un ordine speciale
e offro a coloro che hanno conquistato se stessi.

Elevo tutte le offerte impareggiabili con ammirazione per coloro
che sono andati nella beatitudine con la forza della fede nei metodi sublimi,
mi prostro e faccio offerte ai Conquistatori.

Da lungo tempo,
sopraffatto da attaccamento, odio e ignoranza,
con il corpo, la parola e la mente ho compiuto innumerevoli azioni negative.
Ora le confesso tutte senza omissioni.

Nelle perfezioni dei Buddha, Bodhisattva, Arhat,
sul sentiero e nella potenziale bontà di tutti gli esseri viventi,
elevo il mio cuore e gioisco.
Oh luci dell’universo,
Buddha che otteneste lo stato dell’illuminazione incontaminato,
a tutti voi rivolgo questa richiesta:
fate girare l’incomparabile “ruota del Dharma”.

Oh maestri che volete mostrare il Parinirvāna,
vi prego di restare con noi
e insegnare per tanti eoni quanti sono i granelli di polvere,
per portare gioia e virtù a tutti gli esseri.

Possa qualunque merito accumulato
tramite queste prostrazioni, offerte, purificazioni, 
rallegrandomi e chiedendo ai Buddha di rimanere e insegnare il Dharma,
essere dedicato all’illuminazione suprema e perfetta,
affinché, al più presto,
io liberi dalla sofferenza tutti gli esseri.



****
 1) consapevolezza del corpo, delle sensazioni, della mente, degli oggetti mentali.
 2) abbandono degli atti non virtuosi già prodotti, degli atti non virtuosi non ancora prodotti, accrescimento degli atti virtuosi già prodotti, sviluppo degli atti virtuosi non ancora prodotti.
 3) aspirazione allo scopo, perseveranza, pensiero stabile, attenzione.
 4) fede nelle quattro nobili verità, perseveranza nel realizzarle, vigilanza o attenzione per non dimenticarle, raccoglimento concentrativo sulle verità; conoscenza superiore e analisi chiara delle verità.
 5) le stesse facoltà precedenti sviluppate in modo da neutralizzare ogni possibile ostacolo.
 6) attenzione, discernimento delle dottrine, energia perseverante o impegno entusiastico, gioia, agio nel dominio delle passioni, raccoglimento, equanimità.
 7) retto punto di vista, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di esistenza, retto impegno, retta attenzione, retto raccoglimento.
 Lama: (termine tibetano, in sanscrito guru) guida o maestro spirituale. Letteralmente: “ricco di qualità spirituali”.
 Bodhisattva: (termine sanscrito) colui che possiede la Bodhicitta.
 Liberazione: (in sanscrito moksha) eliminazione di tutte le emozioni afflittive o illusioni, ottenimento dello stato di Arhat, il sentiero della fine dell’apprendimento del sarvabuddha e del pratyekabuddha
 Piaceri dell’esistenza mondana: piaceri dominati dall’attaccamento ai piaceri dei sensi.
 Circostanze favorevoli e fortuna: avere buone opportunità e condizioni per praticare il Dharma.
 Fortunati: coloro che hanno incontrato il Dharma e sono capaci di praticarlo.
 Rinuncia: autentica intenzione di abbandonare il Samsara e raggiungere il Nirvana. 
 Oceano dell’esistenza: (in sanscrito samsara, in tibetano khor wa) attaccamento alle apparenze di questa vita, interesse per gli aspetti riguardante la vita presente.
 Samsara: (termine sanscrito) gli aggregati impuri di un essere senziente, che da tempo senza inizio hanno dato luogo al ciclo di morte e rinascita a causa dell’illusione e del karma, e hanno reso gli esseri senzienti carichi delle sofferenze dei sei regni fisici/spirituali.
 Attaccamento alle apparenze delle vite future: interesse per gli aspetti riguardanti le prossime vite nel samsara.
 Aspirazione alla più alta illuminazione: (in sanscrito Bodhicitta, in tibetano jang chub kyi sem).
 Insuperabile Bodhi: lo stato di Buddha. 
 Bodhicitta: (termine sanscrito) autentica aspirazione a raggiungere la completa illuminazione allo scopo di portare tutti gli esseri  senzienti allo stato di completa illuminazione.
  Quattro potenti fiumi: rinascita, invecchiamento, malattia e morte.
 Karma: (termine sanscrito, in italiano azione, in tibetano les) una sottile impronta nel continuum mentale proveniente da esperienze precedenti, la quale da impulsi ad azioni mentali e fisiche.
 Attaccamento al Sé: (in tibetano dag zin): percezione errata che si attacca all’idea di un Sé o di un Io intrinsecamente esistente.
 Tre sofferenze: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza della condizione.
 Madri: tutti gli esseri  senzienti, i più cari, quelli che hanno recato più benefici.
 Intenzione altruistica di divenire un Risvegliato: in questo contesto si riferisce al Bodhicitta.
 Saggezza: realizzazione della Vacuità.
 La vera natura delle cose: la realtà ultima dell’esistenza delle cose, vacue di un’esistenza intrinseca.
 Radice del Samsara: l’ignoranza, il non vedere la verità, opposta alla saggezza.
 Origine interdipendente: (in tibetano ten byung) la realtà dell’esistenza delle cose e degli eventi, che esistono in modo interdipendente. 
 Nirvana: al di là della sofferenza, cessazione della sofferenza.
 Apparenze, ovvero l’inevitabilità dell’origine interdipendente: realtà convenzionale o verità convenzionale.
 Vacuità, ovvero la non-asserzione: realtà ultima o verità ultima.
 Pensiero del Buddha Shakyamuni: la natura non duale delle due verità.
 Visione: realtà ultima.
 Estremo dell’esistenza: l’idea che le cose esistano solo in maniera intrinseca o da sé. 
 Apparenza: Visione comune.
 Estremo della non-esistenza: l’idea che le cose non esistano, se non in maniera intrinseca.
 Vacuità: la vera natura dei fenomeni, non esistenti in maniera intrinseca.
 Visioni estremiste: Nichilismo ed Eternalismo. 
 I tre aspetti principali del sentiero: Rinuncia, Bodhicitta e Saggezza.
 Perseveranza entusiastica: sforzo gioioso nella pratica del Dharma. 
 Meta finale: illuminazione completa, stato di Buddha .
 Figlio mio: in maniera diretta, si riferisce a Tsakhowa Ngawang Dakpa; in maniera indiretta a coloro che desiderano realizzare i tre aspetti principali del sentiero.

 Fine supremo: lo stato di completa illuminazione, lo stato di Buddha.
 Emozione negativa: (in tibetano nyon mong) le contaminazioni mentali quali rabbia, attaccamento, ignoranza 
 Azioni negative: (in tibetano dig pa) una disposizione mentale causata da un’azione negativa commessa.
 Sofferenze: (in pali dukkha) la verità della Sofferenza, che ha tre livelli: sofferenza del dolore, sofferenza del cambiamento, sofferenza del samsara.
 Amico spirituale: (in tibetano ge wei she nyen, Geshe) colui che aiuta a fare azioni virtuose.
 Madri: - tutti gli esseri senzienti sono state nostre madri. – La persona più cara e quella più giovevole.
 Otto preoccupazioni mondane: le idee generate dal guardare attraverso gli occhi dell’attaccamento e dell’avversione, sono: piacere e dispiacere, vittoria e perdita, lode e biasimo, gloria e disgrazia.
 Samsara: (termine sanscrito, in tibetano khor wa) attaccamento bramoso alle cose mondane che fa permanere nel circolo della sofferenza e dell’insoddisfazione.
 Bhagavati: (termine sanscrito, in tibetano: gyal wai yum) Madre Buddha, si riferisce alla “Saggezza della Perfezione”, che è la madre in quanto causa fondamentale dell’illuminazione.
 Bhagavati Prajna Paramita Hridaya: (sanscrito) il cuore della Bhagavathi, la perfezione della saggezza.
 Bhagavan: (termine sanscrito, in tibetano: chom dhen de) titolo generalmente attribuito a un essere illuminato; letteralmente significa “colui che ha completamente illuminato gli ostacoli e possiede tutte le qualità”; sinonimo di “Tathagata” (sanscrito) e di “de war sheg pa” (tibetano) nel senso di “colui che ha raggiunto lo stato di piena calma e piena illuminazione”. In questo brano ci si riferisce al Buddha Shakyamuni.
 Rajagrha: (termine sanscrito, in tibetano: gyal poe khab) luogo nel quale si erge un palazzo reale.
 Picco dell’Avvoltoio: montagna con la cima a forma di avvoltoio; luogo in cui venne impartito il sutra secondo la tradizione. Viene identificato popolarmente in una collina vicino a Rajagrha, nello stato indiano del Bihar.
 Arhat: (termine sanscrito, in tibetano: dra chom pa) colui che ha raggiunto il Nirvana. Detto anche Sravaka o Pratyekabuddha. Nel testo originale tibetano il termine è Bikshu, ma si intende Arhat. 
 Bodhisattva: (termine sanscrito, in tibetano: Jang chub sem pa). Essere che possiede il Bodhicitta.
 Assorbimento meditativo: (in sanscrito: samadhi, in tibetano: ting nge zin) una forma di meditazione.
 Varietà dei fenomeni: (in tibetano: choe kyi nam drang) i 5 aggregati (forme, percezioni, formazioni mentali e della coscienza); le 12 fonti dei sensi (le sei sorgenti dei sensi e le sei facoltà); i 18 elementi ( le sei sorgenti dei sensi, le sei facoltà e le sei coscienze); i 12 anelli della catena dell’origine interdipendente (Ignoranza, Azione volontaria, Coscienza, Nome e Forma, Sorgenti dei sensi, Contatto, Sensazioni, Attaccamento, Brama, Concepimento, Nascita, Invecchiamento e Morte); le 4 Nobili Verità (la Verità della sofferenza, la Verità delle cause della sofferenza, la Verità della cessazione e la Verità del sentiero); i 5 sentieri (Accumulazione, Preparazione, Visione, Meditazione e Non-più-apprendere); le 4 fiducie; i 10 poteri di Buddha; ecc… 
 Percezione Profonda: (in tibetano: zab mo nhang wa) vedere la vera e profonda realtà ultima dei fenomeni.
 Arya: (termine sanscrito, in tibetano: Phag pei Gang zag) un Essere superiore che ha raggiunto la saggezza della diretta realizzazione della vacuità o che ha seguito il sentiero in uno dei veicoli.
 Avalokitesvara: (termine sanscrito, in tibetano: Chen re zig) conosciuto come il “Buddha della compassione”.
 Bodhisattva mahasattva: (termine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po) Bodhisattva di ordine superiore o che ha conseguito il sentiero dei Bodhisattva o il sentiero mahayana della visione.
 La pratica della profonda perfezione della saggezza: (in tibetano: she rab kyi pha rol du chin pai zab moi chod pa).
 I cinque aggregati: (in sanscrito: skandha, in tibetano: phung po ngha) Forme, Sensazioni, Percezioni, Formazioni mentali, e della Coscienza.
 Vuoti di esistenza intrinseca: (in tibetano: ran shin gyi tong pa).
 Venerabile Bikshu: (in tibetano: thse dan dhen pa) titolo attribuito a un bikshu con mente sveglia e intelligente
 Shariputra: figlio di Sharit, conosciuto come bikshu dalla mente acuta fra i discepoli di Buddha Shakyamuni.
 Arya Avalokitesvara Bodhisattva mahasattva: (temine sanscrito, in tibetano: jang chub sem pa sem pa chen po phags pa chen re zig) si riferisce a un singolo individuo conosciuto come Bodhisattva mahasattva Avalokitesvara, diverso dal “Buddha della compassione” Avalokitesvara. Qui infatti viene identificato come un Bodhisattva sotto le sembianze  di un bikshu, Bodhisattva, mahasattva e arya.
 Figlio o figlia del lignaggio dei Bodhisattva: (in tibetano: rigs kyi bu vam rigs kyi bumo).
 Nirvana: (termine sanscrito, in tibetano: Nyang De) essere andato oltre la sofferenza.
 Mantra: (termine sanscrito, in tibetano: yid kyob) che protegge la mente.
 Thatagata: (termine sanscrito) sinonimo di Bhagavan.
 Asura: (termine sanscrito, in tibetano: lha ma yin) semi-dei che sono tra il regno degli umani e quello degli dei.
 Gandharva: (termine sanscrito, in tibetano: di zha) esseri senza forma, che vivono nutrendosi di odori.
 Le “perfette realizzazioni” sono la realizzazione della motivazione illuminata del Bodhicitta e la realizzazione della corretta visione della vacuità.
 I “Tre Reami” sono le tre diverse dimensioni in cui si possono reincarnare gli esseri senzienti: il reame del desiderio, il reame della Forma Pura e il reame del Senza Forma. Il reame del Desiderio comprende gli esseri infernali, i preta o spiriti avidi, gli animali, gli umani, gli asura o titani e le sei prime classi degli dei. Il reame della Forma Pura comprende le successive diciassette classi degli dei. Il reame del Senza Forma comprende le quattro classi superiori degli dei.
 La “Madre dei Buddha” è il “Sutra della Perfezione della Saggezza” (Prajnaparamita Sutra), trasmesso dal Buddha presso il Picco dell’Avvoltoio e da cui hanno avuto inizio i due lignaggi Mahayana degli insegnamenti della visione profonda della vacuità e della vasta azione del Bodhicitta.
 Il “tesoro di insegnamenti” è “La Lampada del Sentiero dell’illuminazione” (Bodhipathapradipa), breve testo di Dipankara Atisha che è all’origine di tutti i testi del Lam rim. In questo testo si ricompongono i due lignaggi del Prajnaparamita Sutra
 Tsong Khapa si riferisce in modo particolare a due dei suoi 45 maestri spirituali, il Lama Kagyu Chokyob Zangpo, “il più erudito fra i monaci”, e il Lama Nyingma Namka Gyeltshen da Lhodrag dai quali ha ricevuto e riunito i tre stadi del lignaggio Lam Rim di Atisha.
 Sono due i desideri da raggiungere: la rinascita in uno stato superiore, come un essere umano o un dio, e la liberazione dalla sofferenza, la piena illuminazione di un Buddha.
 “Tutti gli esseri viventi” sono le nove diverse possibilità di trasmigrazione,alla rinascita, nello stesso o da uno all’altro dei Tre Reami. Ad esempio, un essere del regno del Desiderio può permanere in questo stesso regno oppure trasmigrare in quello della Forma Pura o del Senza Forma.
 “il re che concede il potere” è un altro modo per designare la gemma che esaudisce i desideri, un leggendario gioiello che esaudisce tutti i desideri del mondo.
 “Quello che il Buddha intendeva” era la rinuncia, la motivazione illuminata del Bodhicitta e la corretta visione della vacuità.
 Il “grande errore” consiste nell’avere una visione settaria, screditare una qualsiasi scuola buddhista, un veicolo o un testo, e disconoscere la validità dell’insegnamento del Buddha.
  Il primo livello sono le persone che hanno sviluppato la motivazione e l’impegno per una rinascita superiore, umana o come dio, generato dal timore di una rinascita inferiore. Il livello intermedio sono le persone che hanno sviluppato la motivazione e l’impegno per la liberazione dal ciclo dell’esistenza, generato dalla rinuncia alla nostra sofferenza. Il livello superiore sono le persone che hanno sviluppato la motivazione del Bodhicitta.
  Lo “yogi” qui si riferisce all’autore.
 Le “otto libertà”dell’esistenza umana sono quelle che facilitano lo studio del Dharma. Quattro sono legate agli ostacoli dell’esistenza umana: nutrire visioni errate, essere nato in un paese che impedisce lo studio del Dharma, essere nato in un paese nel quale esiste il Dharma, avere tutte le capacità sensoriali per studiarlo. Le altre quattro libertà sono legate agli ostacoli di un’esistenza non umana: essere nato negli inferi, come preta (spirito avido), animale o fra gli dei dalla lunga vita.
 I “tre reami sfortunati” sono le rinascite come creature degli inferni, preta (spirito avido) o animale.
 I “tre Gioielli del Rifugio” sono il Buddha, il Dharma dei suoi insegnamenti e il Sangha, la comunità di coloro hanno realizzato o stanno seguendo gli insegnamenti del Buddha.
 Il “fondamento pratico ideale di un essere umano” sono le condizioni che favoriscono lo studio e la pratica del Dharma: avere una lunga vita, un corpo in salute, rispettabilità, onestà, attendibilità, una buona influenza sugli altri, avere una mente e una corpo forti.
 I “quattro poteri antagonisti” che ripuliscono dai debiti del karma negativo sono: sincero pentimento delle azioni non virtuose precedentemente compiute, invocare ciò su cui bisognerebbe fare affidamento (i Tre Gioielli del Rifugio e la motivazione del Bodhicitta), la promessa di evitare di compiere qualunque azione non virtuosa, ed infine, il potere che qualunque azione virtuosa venga compiuta per contrapporsi a quelle non virtuose.
 Le “due accumulazioni” sono l’accumulazione di meriti e quella della saggezza. La prima consiste nell’accumulare azioni positive tramite la pratica della generosità, la seconda comprende tutte le pratiche che hanno la natura della saggezza (prajna) e della conoscenza superiore lo studio e la meditazione.
 La “pratica delle cause dell’illuminazione” è il veicolo Mahayana dei Sutra, il Sutrayana
 La “simulazione immediata dei risultati che saranno ottenuti” è il veicolo Mahayana dei Tantra, il Tantrayana
 Traduzione a cura dell’Istituto Lam Rim di Roma