Friday 17 August 2012

Preghiera e meditazione come Aspirazione e Realizzazione


                                          Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
Preghiera e meditazione come Aspirazione e Realizzazione
Geshe Gedun Tharchin

I testi che leggiamo possono essere utilizzati come mezzo per la meditazione o come preghiera. Se li leggiamo con l’intento di esprimere una preghiera allora il significato sarà rispetto e aspirazione, mentre se li consideriamo per la meditazione, mettiamo in atto i nostri pensieri e quindi un’analisi cognitiva.

In realtà non esiste una netta separazione tra la meditazione e la preghiera, se meditiamo stiamo in un certo senso pregando e viceversa: con la preghiera esprimiamo le nostre aspirazioni, gli obiettivi che vogliamo raggiungere; la meditazione invece è un tentativo di realizzare il significato delle aspirazioni che avevamo messo in luce con la preghiera.

Generalmente quando si parla di religione, o di spiritualità, si pensa sempre in termini di separazione tra la pratica della meditazione e della preghiera mentre, in realtà, esiste solo una differenza sottile che consiste nel fatto che nella preghiera esprimiamo le nostre aspirazioni non per ricevere qualcosa dall’esterno, mentre nella meditazione avviene un lavoro interiore di cui realizzarne il significato, ossia è un qualcosa che rafforza e conferma le nostre intenzioni.

La meditazione è quindi uno strumento per realizzare tutto ciò che ci siamo prefissi con la preghiera.
Per far si che la meditazione dia i suoi risultati è necessaria una costante preghiera; la preghiera senza meditazione è come desiderare di voler andare da qualche parte senza camminare.

La preghiera mostra il cammino da percorrere e la meditazione rappresenta il camminare, ossia lo sforzo, il lavoro. La meditazione senza la preghiera non saprebbe dove andare in quanto non conoscerebbe l’obiettivo, quindi la preghiera dà un impulso alla nostra pratica per andare più veloce.

La preghiera ci aiuta a capire a che punto del nostro lavoro siamo arrivati e dove dobbiamo dirigerci.
Quando leggiamo dei testi come preghiera, interiorizziamo i concetti, le parole, il senso ed ogni volta cogliamo qualcosa di diverso raggiungendo livelli diversi di comprensione che ci aiutano nella meditazione.
E’ importante chiarire le differenze tra preghiera e meditazione; su questo si fa molta confusione, crediamo siano due concetti in contrapposizione, pensiamo che pregare significhi chiedere qualcosa dall’esterno.

Ci sono due tipi di fraintendimenti: c’è chi pensa che colui che medita non abbia bisogno della preghiera in quanto autonomamente sviluppa una crescita interiore e chi ritiene che la preghiera esista senza la meditazione ossia chiedere qualcosa ad un Dio senza la propria realizzazione. Questi fraintendimenti portano le persone a credere o nella meditazione o nella preghiera quindi chi medita non prega e viceversa, invece preghiera e meditazione sono due cose diverse, ma complementari.

E’ quindi possibile pregare e meditare contemporaneamente, in quanto attraverso la preghiera abbiamo l’aspirazione e nella meditazione troviamo la realizzazione. Ad esempio quando leggiamo testi sacri stiamo pregando poiché questi vengono scritti come una preghiera, ma stiamo anche meditando in quanto ne analizziamo i concetti e quindi ne realizziamo il significato. Anche leggere silenziosamente è una forma di meditazione.

Nella società occidentale un ulteriore fraintendimento viene dal considerare la meditazione come una sorta di ginnastica mentale, mentre il vero significato è quello di portare la conoscenza alla realizzazione, ossia i concetti alla loro messa in pratica.

La conoscenza è il risultato di uno studio intellettuale, ma non avrebbe significato se, attraverso la meditazione, non la mettessimo in pratica e quindi la realizzassimo.

La meditazione e la preghiera sono quindi i metodi per portare la conoscenza alla sua realizzazione. Realizzazione significa portare dei concetti nella realtà, ad esempio possiamo sapere cosa siano l’amore e la compassione, ma poi è fondamentale realizzarli nella nostra vita, ossia vivere con amore e compassione.

Domanda: Volevo sapere se per preghiere si intendono solo quelle precostituite, o se ne posso creare io una, e nel caso che valore ha?
Risposta: Dipende dall’intenzione, dalla qualità del tuo cuore. Anche qui può nascere un fraintendimento in quanto a volte crediamo che recitare una preghiera scritta da una persona importante abbia un valore maggiore rispetto ad una formulata da uno sconosciuto o nostra, il valore invece sta nella qualità del cuore con cui viene espressa.

Domanda: C’è differenza se si prega in gruppo o da soli? Ho questa rimembranza dalla religione cattolica dove si crede che alcune preghiere siano più potenti perché recitate maggiormente.
Risposta: Questa è una grande illusione. Non dipende da quante volte o quante persone recitino quella determinata preghiera, ma da come la preghiera tocchi il cuore di ciascuno: più tocca il tuo cuore più ha effetto su di te e quindi diventa efficace. Pregare in gruppo dà un risultato collettivo, pregando da soli si accumulano propri meriti.

Domanda: Ma ci sono dei gruppi cattolici che si riuniscono sostenendo la potenza del gruppo che prega…
Risposta: Esiste un aspetto di verità in questo perché pregare in gruppo crea un’energia collettiva positiva. L’errore può essere nel credere di ottenere più grazia dall’esterno, mentre il senso è quello di rimanere più concentrati.

Domanda: Quando il Sangha recita una preghiera mi accorgo che non abbiamo un ritmo comune, ognuno recita indipendentemente. Questo è sbagliato?
Risposta: No, non è importante recitare una preghiera come se stessimo cantando una melodia.
Nel mio monastero cantiamo a qualsiasi ora del giorno e della notte perché abbiamo molto tempo libero per esercitarci.

Domanda: Studio, preghiera e meditazione sono i lati della stessa cosa?
Risposta: Sono tutti focalizzati sulla stessa cosa. La conoscenza aiuta in quanto arriva all’anima e al cuore. Quel che dobbiamo fare è creare un’unione tra la mente ed il cuore; questo avviene con la meditazione e la preghiera: sono due canali attraverso i quali dalla conoscenza mentale passiamo alla realizzazione del cuore-mente.

Domanda: Ci spieghi meglio che intendi con cuore, mente e anima?
Risposta: Nella traduzione dei testi di filosofia buddista si cerca di non utilizzare termini quali “anima” o “Dio” che ci riportano al Cristianesimo e che creerebbero dubbi e confusione. Nella concezione buddista con il termine “mente” non si intende soltanto il cervello, ovvero un qualcosa che risieda solo nella testa, ma si parla di un qualcosa che abbia un collegamento anche con il cuore, quindi in generale si potrebbe anche chiamare anima.
Analogamente il cuore non è soltanto l’organo che pompa il sangue, ma è un chakra ossia un punto centrale del nostro essere.
E’ comunque importante non sviluppare una concezione accademica o linguistica per distinguere questi termini, poiché il vero praticante è colui che sente queste cose all’interno del proprio essere.  

Wednesday 15 August 2012

Pratica di Dharma e vita


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
Pratica di Dharma e vita
Geshe Gedun Tharchin

Il nostro scopo è quello di portare quiete, tranquillità e pace nei nostri cuori e questa pace e tranquillità non è rivolta verso ragioni egoistiche, ma verso tutti gli altri esseri ed il mondo che ci circonda. E’ importante che questa calma e felicità che portiamo all’interno del nostro cuore non vada mai in contrasto con il nostro atteggiamento altruistico.

Questo non è facile da capire e da mettere in pratica senza cadere in una falsa contraddizione; bisogna creare nel nostro cuore queste buone qualità e nello stesso tempo mantenere vivo il principio dell’atteggiamento altruistico, riuscire a metterlo in pratica mantenendo la consapevolezza. Una volta che questo è stato compreso si potrà affrontare qualsiasi sentiero spirituale che permetta di sviluppare le nostre qualità interiori.

La mia esperienza personale, comune a tutti i praticanti, porta sulla via dello sviluppo delle qualità interiori, ma questo parte dal senso dell’io che a volte diventa troppo preminente e nega il fatto che le qualità interiori siano per il benessere degli altri, quindi la pratica stessa diventa contraddittoria perchè non dovrebbe mai prescindere dai due principi: quello dello sviluppo della pace nei nostri cuori ed il pensiero degli altri. Questa è la maggiore difficoltà che possiamo incontrare nella nostra pratica e nello sviluppo delle qualità interiori, in quanto, come detto prima, queste non si possono accrescere senza prendersi cura degli altri. Dopotutto, senza questo pensiero degli altri, a che cosa servirebbe sviluppare le qualità interiori? E’ proprio questo pensiero altruistico che rende significative le qualità interiori le quali possono trovare applicazione in qualsiasi pratica spirituale che diverrà, di conseguenza, bellissima. Si può dire che non esista pratica che sia basata esclusivamente su un atteggiamento egoistico in quanto l’egoismo è considerato come il maggiore ostacolo o disturbo nella pratica personale. Affrontare la pratica di Dharma con atteggiamento egoistico è praticamente impossibile.

Quotidianamente non sempre la nostra pratica è così corretta, il che significa che in un certo senso falliamo nella pratica e questa non ha più quel successo che dovrebbe avere. Se invece riusciamo ad avere un approccio completo alla pratica, allora qualsiasi attività quotidiana diverrà un pratica stessa. Quindi non c’è differenza tra quello che è la pratica e quello che sono le attività quotidiane in quanto queste vengono compiute non per se stessi, ma per chi si ama e per qualsiasi altro essere vivente; questa è la reale pratica.
Tutto questo dovrebbe riguardare la nostra vita, quindi la nostra sopravvivenza non è egoistica, ma è legata agli altri e questo fa si che qualsiasi cosa si faccia diventi un accrescimento, per noi e per gli altri, di gioia, tranquillità e calma.

Questo tipo di trasformazione di ogni nostro atto in una pratica di Dharma è un qualcosa che richiede molto tempo, ma può avvenire attraverso una riflessione analitica, una riflessione di ciò che facciamo attraverso il ragionamento, ed in questa maniera, gradualmente, riusciremo a vederne i frutti, ossia le piccole trasformazioni che ci porteranno a sentire dentro di noi una maggiore calma, pace e felicità. Perciò credo che non ci sia differenza tra la pratica di Dharma e la nostra vita, ma fino a quando troveremo questa differenza significherà che non abbiamo ancora raggiunto la perfezione nella pratica del Dharma.

Questo concetto lo potremmo addirittura utilizzare come strumento di misura, ossia osservare quanto questa differenza che facciamo tra la pratica del Dharma e la vita di tutti i giorni sia effettiva in noi, quindi là dove troviamo una grande distanza tra queste due cose ci renderemo conto di quanto poco stiamo praticando, mentre man mano che vedremo avvicinarsi la pratica di Dharma e la vita ci renderemo conto di quanto stiamo comprendendo finalmente la pratica del Dharma. Quindi la pratica del Dharma è la vita! E più si cresce e più si dovrebbe accumulare Dharma; questa sarebbe una buona cosa, così quando ci avvicineremo al momento estremo, significherà che saremo pronti quanto più possibile per poter raggiungere il Nirvana. (Per Nirvana si intende la pace permanente) Questa è la vera pratica di Dharma dove non ci dovrebbe essere differenza tra come procediamo nella pratica e come procediamo nella nostra vita.

Come dicono anche i maestri del passato, Amore e Compassione sono l’essenza della vita e ogni azione dovrebbe essere causata dall’Amore e dalla Compassione; se potessimo calcolare quante azioni sgorgano dall’Amore e dalla Compassione scopriremmo che quelle che ne derivano ci rendono felici e gioiosi, sono praticamente delle energie spirituali che pian piano accumuliamo fino a che non diventano una nostra abitudine. Ne segue che si deve avere cura di se stessi con un atteggiamento altruistico.

Nella società in cui viviamo si crede che aver cura di se stessi si ottiene soltanto se si sta lottando contro qualcosa e il fatto è che ci si concentra più a lottare contro questo qualcosa che a prendersi cura di se stessi! (risata) Il che fa si che ci stanchiamo nel prenderci cura di noi stessi in quanto combattiamo gli altri, cosa assolutamente inutile in quanto bisognerebbe prendersi cura degli altri per poter prendersi cura di se stessi; questo ci renderebbe sempre più rilassati e non perderemmo mai nessuna energia.

Ci sono milioni di libri nelle librerie, ma in realtà parlano più o meno della stessa cosa: Amore e Compassione. Questo vale per le religioni le quali parlano tutte dell’Amore e della Compassione e di come possiamo condurre una vita sulla basi di essi. Anche prima che venissero scritti i testi sacri, tutto veniva già perfettamente praticato; il fatto di dipendere dai libri o dai corsi che si frequentano o dalle attestazioni che si ottengono, è una cosa completamente nuova.

La nostra è una pratica che si basa sulla capacità delle qualità umane, ossia su di un qualcosa che già appartiene al nostro essere umano e noi, in quanto tali, siamo destinati a questo genere di pratica, ma durante il nostro percorso ci sono delle cose che ci corrompono e ci fanno sviare da una parte o da un’altra, ci distolgono dalla meta e finiscono per contaminare la nostra pura natura umana che ci spinge verso il nostro destino che è la pratica del Dharma. Se si riuscisse a tornare alla fonte di quello che percepiamo, non troveremmo altro che altruismo e nessuna distinzione tra noi e gli altri; soltanto in questo andare verso la gioia e la tranquillità consiste la natura di base dell’essere umano ed in questo trova fondamento il Dharma.

La nostra vita è come una discesa con gli sci, se riusciamo a mantenerci stabili su di essi, ossia sulla nostra pura natura umana di base, giungeremo alla fine essendo felici, altrimenti andremo fuori pista che significa soffrire. Il fatto è che ormai siamo nati e non possiamo restarcene fermi sugli sci con i quali, tra l’altro, non stiamo neppure comodi e poiché il luogo che possiamo incontrare è sempre il Samsara, ma se procediamo lungo la pista con una chiara consapevolezza, allora possiamo anche divertirci.

Un altro esempio può essere quello di un paracadutista: nascere è come essere gettati fuori dall’aereo e cadere nello spazio, ma se non si è più che attenti si rischia di finire male, tuttavia una forte concentrazione consente di atterrare correttamente.

La pratica di Dharma risiede nella nostra natura di base umana che è assolutamente positiva, che non distingue il nostro dall’altrui e tende semplicemente a ciò che è bene. Si può praticare anche senza nessun libro, ma con il proprio libro interiore che è anche il modo più semplice e più diretto, ossia seguire questa natura umana se, ovviamente, ne abbiamo le capacità.

Dunque cosa è la meditazione? La meditazione si compone sulla chiara consapevolezza e la capacità di mantenere ferma e solida la natura umana di base. Mantenere le qualità interiori significa che ogni nostro atto diventa manifestazione di queste stesse qualità e tutto ciò è magnifico!


Sunday 12 August 2012

Meditazione come osservazione della mente


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
Meditazione come osservazione della mente



Geshe Gedun Tharchin



La nostra ricerca per la pratica del Dharma ci consente di individuare come è il nostro stato mentale, ma oltre questo è necessario scendere fino ad un livello più profondo d’analisi che ci permetta di scoprire che cosa è la nostra mente.

La mente è, più o meno, quel fenomeno che è alla base di ogni nostra esperienza, e che può, da un lato essere di gioia, felicità, soddisfazione, e dall’altro di sofferenza, dolore od altro.

Oltre al riconoscimento del nostro stato mentale e a vedere l’essenza della mente, esiste un’altra terminologia che è il segreto della mente il quale consiste nella capacità che questa ha di cambiare o modificare le circostanze. Non conoscere il segreto della mente è la più grande ignoranza, è quella che ci conduce verso le più grandi disperazioni e le più grandi sofferenze, ma nel momento in cui si viene a conoscenza del segreto della mente e si è in grado di poterlo utilizzare e mettere in pratica, allora sarà possibile modificare le circostanze in cui ci troviamo trasformandole verso quelli che sono i nostri desideri.

Nella vita quotidiana, i nostri desideri, i nostri bisogni, sono basati su una sorta di fissazione della mente, ma in effetti, non c’è niente su cui essere fissati in quanto tutte le cose sono mutevoli, destinate ad un mutamento costante nel tempo, quindi tutti i nostri problemi derivano dal credere che questa fissazione corrisponda all’obbiettivo che ci proponiamo e che vediamo come capace di esaudire qualsiasi nostro desiderio attraverso cui raggiungere quella serenità che stiamo cercando, in particolar modo quando le fissazioni riguardano qualcosa di materiale. La fissazione su un oggetto materiale rappresenta la maggiore illusione.
Qualsiasi gioia, felicità, soddisfazione, in realtà non ci può giungere dall’esterno, ma dipende da un nostro senso di soddisfazione mentale, ecco perché conoscere il segreto della mente è così importante per poter essere una persona soddisfatta.

Siamo assolutamente in grado di poter semplificare i nostri desideri, bisogni o necessità e facendo questo si semplificano i desideri stessi, quindi quando la nostra mente diventa semplice anche i nostri desideri lo sono e le soddisfazioni si possono ottenere con minor tempo e più facilmente.

Quindi dobbiamo innanzitutto conoscere la nostra mente e quello che è l’essenza della mente in generale e, cosa più importante, conoscere il segreto della mente che significa saper avere a che fare con la propria mente e come semplificarla.

A volte i problemi possono venire dal fisico; i problemi fisici possono portare anche problemi mentali, ossia una sorta di disturbo della mente o, addirittura, a perdere la capacità di ragionare ed il risultato è che in questo modo peggioriamo ulteriormente la nostra condizione fisica.

Alla base di queste difficoltà c’è proprio la mancanza della meditazione ossia la mancanza di conoscenza su come poter intervenire sulla propria mente. Stabilizzare quindi la mente, essere all’interno della mente, essere concentrati su di essa, fa in modo di non permettere che la mente sia disturbata sia da fastidi fisici che da problemi esterni o mancanza di oggetti materiali; queste sono cose che si possono superare se si è capaci di creare un’atmosfera pacifica all’interno della propria mente in modo tale da poter poi affrontare le circostanze, le situazioni ed i problemi di salute. Questa atmosfera pacifica permette di progettare la mente, di ridisegnarla, e questo permette di rendere perfetto tutto ciò che ci circonda in quanto uno dei motivi che stanno alla base delle nostre difficoltà è la non corrispondenza che riscontriamo tra la mente ed il mondo esterno: la nostra mente è come se fosse affamata e non riuscisse mai a calmare questa fame; dato che quelli che sono i desideri della nostra mente non corrispondono con quello che riscontriamo nel mondo esterno, questo attua una serie di difficoltà e problemi.

L’aspettativa di poter raccogliere dall’esterno qualsiasi cosa, come gli oggetti, che sia in grado di soddisfare questa fame, è qualcosa di assolutamente impossibile da compiere, quindi la sola possibilità è quella di conoscere questo segreto della mente che ci permette di ridisegnare la mente e poterla organizzare in base alle circostanze in cui ci si trova. In questo modo qualsiasi cosa venga riscontrata nel mondo circostante se ne sarà sempre soddisfatti, felici, gioiosi, benevoli e aperti.

Non possiamo ignorare questo fenomeno, perché questa è la realtà stessa in cui viviamo.
E’ quello che sta succedendo alla società in cui viviamo, nella quale ci sono sempre più problemi e difficoltà che derivano proprio dal fatto di ignorare la mente.
La mente è un soggetto di cui non si parla all’università, in parlamento, che non interessa alle industrie, ed il risultato è, quindi, di sempre più confusione; l’unica cosa nella quale ci si impegna è, ad esempio, la manipolazione genetica della frutta o delle cose da mangiare, al punto che quando si va al supermercato, quasi si stenta a riconoscere un’albicocca da un pomodoro! (risata)

E questa è la società nella quale ci troviamo, molto difficile e complessa, e questo deriva dall’atteggiamento che si ha, per cui vengono create cose nell’aspettativa che queste possano soddisfare la fame interiore che abbiamo, il che è impossibile.

Per colui che abbia invece una conoscenza di quel che realmente è la mente (una mente non nel senso occidentale, ma qualcosa di differente) esiste la possibilità di ottenere una soddisfazione grazie al fatto di poter ridisegnare la mente a seconda di ciò che ci circonda e quindi poter ottenere delle soddisfazioni che in realtà sono a portata di mano.

In fondo disegnare la mente è una cosa facile perché è una cosa che ci appartiene interamente, non è possibile che qualcuno esternamente lo possa fare, ma è nel momento in cui ci dimentichiamo della nostra mente che sorgono i problemi.

La mente non ha la caratteristica della sofferenza in quanto è un fenomeno neutrale, fornisce sensazioni neutre, così se si è in contatto con la propria mente si avranno sensazioni neutre. Desiderare la felicità è causa di problemi, così come desiderare di evitare la sofferenza, quindi bisogna fare esperienza della condizione neutra. Questo essere nella mente, avere sensazioni neutre, significa essere un perfetto essere umano.

La meditazione non è provare sensazioni speciali, anzi in quel caso è più confusione che meditazione! (risata) L’effetto della meditazione è quello di avere sensazioni neutre ovvero naturali. La sensazione pacifica è quella che c’è nella condizione neutra.

Nella nostra società, soprattutto tra i giovani, sono purtroppo diffuse le droghe o comunque sostanze intossicanti che vengono assunte proprio per questa ricerca della felicità, ma in realtà sono un desiderio di sofferenza. Una esperienza di piacere non ha niente a che fare con la felicità e con la pace, ma è soltanto una sensazione estrema.

Anche una vita che si svolge troppo nel lusso è una forma di sofferenza, così come vivere sotto i ponti è una sofferenza. (risata)

In questa società la grande illusione viene dalla televisione, dai film, perché le persone prendono le cose che vedono come esempio; ho notato la stessa cosa nella mia famiglia dove, vedendo queste cose e prendendole ad esempio, si dice “Vorrei essere così”, ma questa è una grande illusione nella nostra società, perché siamo sempre alla ricerca di poter soddisfare i nostri desideri e le nostre necessità con le cose mondane, materiali, cosa che è assolutamente impossibile, ed è il segno evidente che non sappiamo nulla della nostra mente, segno che non viviamo dentro la nostra mente.

E’ necessario essere presenti nella propria mente, pacifici in qualsiasi circostanza incontriamo.
Ecco perché dire di conoscere la propria mente è così importante nell’ambito meditativo, ed anche quindi la Consapevolezza è un punto cruciale nel Buddismo, perché questo corrisponde alla possibilità di poter vivere all’interno della propria mente.

Bisognerebbe essere capaci di osservare, quasi di guardare la propria mente, vedere che sta facendo, che sta pensando, che sta guardando…questo è magnifico. Passiamo il tempo ad osservare quello che pensano o fanno gli altri, non facciamo altro che ipotesi su quello che è la mente degli altri, crediamo di avere una sorta di chiaroveggenza, mentre in realtà siamo totalmente ignoranti sulla nostra mente (risata) ed è questa la fonte dei nostri problemi quotidiani; ho provato a fare ipotesi su quello che gli altri pensavano, o che pensavano su di me, ma nel 99% dei casi mi sbagliavo! (risata)

Noi facciamo tutto questo in maniera volontaria e gratuita, ma questo altro non è che una cattiva abitudine che si acquisisce con il tempo, un neonato non l’ha ancora sviluppata, ha una mente pura che guarda tutto con occhio neutrale per cui è sempre sorridente, affettuoso, gioioso. Se si mettono insieme due bambini, uno tibetano ed uno cinese, questi non ci penseranno due volte a giocare e basta, ma se sono due adulti, un tibetano ed un cinese, cominceranno a guardarsi e pensare come si devono muovere (risata). Un mio amico dice che i tibetani ed i cinesi sono adesso come l’acqua e l’olio, impossibile mescerli. Forse in Tibet ci stanno riuscendo…chissà…(risata)

Questo osservare la nostra mente, stare nella nostra mente, è quello che solitamente tendiamo a non fare, ed è, invece, proprio quel che si fa nella meditazione.

E’ importante questa pratica di trasformare la mente nel suo aspetto positivo, perchè è una prospettiva che ci permette di vedere tutte le cose in positivo, ed è magnifica questa capacità di modificare tutto in positivo e, quando si è circondati solo da cose positive, non c’è più alcuna ragione per potersi agitare o preoccupare.

Domanda: Che cosa è esattamente il segreto della mente?
Risposta: Il segreto della mente si basa sulla flessibilità della mente stessa che ci permette di poter trasformare totalmente le cose in un aspetto positivo; il segreto della mente consiste appunto in questa qualità. Tendenzialmente siamo abituati a ricercare gli aspetti positivi ed evitare quelli negativi, quindi essenzialmente operiamo una divisione; il segreto della mente consiste nel trasformare tutto in positivo senza appunto fare divisioni. Per poter far questo è necessario trasformare la mente e sulla base di questo, si otterranno delle grandi realizzazioni frutto di queste attitudini positive.

Domanda: Il centro della mente è vuoto?
Risposta: Vuoto? Si, è perfetto. Il centro della mente non soltanto è vuoto, ma è un grande vuoto.

Domanda: Quando tu dici mente, che cosa intendi con questo termine? Perché a me viene da pensare al nostro concetto di mente che credo sia diverso…
Risposta: La mente è un qualcosa che non ha la possibilità di essere riportato in parole, è un qualcosa che va al di là del linguaggio, e che si riesce a conoscere solo attraverso le esperienze meditative. Visto che se non c’è meditazione non si riesce a trovare la mente, è per questo che le università, il parlamento e le industrie sono prive di mente, anche nelle conferenze o gli incontri di studio che vengono organizzati da centri Buddisti, si tende a parlare molto senza meditare, quindi si può dire che ci sono Buddisti senza mente! (risata)
Per quanto una persona possa studiare, se non pratica e non medita, non potrà mai conoscere la mente, quindi nessuna meditazione equivale a nessuna mente, nessun Buddismo e nessun Dharma, e questo è il risultato della situazione attuale.

Domanda: La mente può essere considerata come Bodhicitta?
Risposta: La Bodhicitta è la grande mente. “Citta” significa mente, “Bodhi” illuminazione, quindi la Bodhicitta rappresenta una mente completa dell’illuminazione.
Negli antichi testi indiani, nei Veda e nella Baghavata Gita, c’è un riferimento a tre termini fondamentali che sono: Verità, Mente e Beatitudine, che corrispondono perfettamente gli uni con gli altri: attraverso la mente si scopre la Verità e scoprendo la Verità si giunge alla Beatitudine e questa è la pratica del Dharma per cui senza mente non c’è Dharma e quindi la mente è il punto centrale.

Domanda: Volevo capire meglio la relazione tra la malattia e il Dharma.
Risposta: La radice di ogni malattia fisica è nella mente, quindi avendo cura della propria mente si può curare qualsiasi cosa.
Con la pratica del Dharma, anche nel caso di una malattia incurabile, si può trasformare la sofferenza ed il dolore in qualcosa di positivo, ossia se ne possono cogliere gli aspetti positivi; in questo modo si purificano molti Karma negativi acquisiti precedentemente, in quanto, avendo la consapevolezza, non si è preda di stati depressivi, mentre se si affronta la malattia in modo negativo, questa può diventare fonte di ulteriori Karma negativi.
Il Dharma è la comprensione della Verità.

Saturday 11 August 2012

Natura Interdipendente


Serie di lezione tenuta al Istituto Lamrim, Roma
Natura interdipendente

Geshe Gedun Tharchin

Buddha ha insegnato il Dharma con l’intenzione di essere di beneficio a tutti gli esseri senzienti, i
suoi insegnamenti vengono da un cuore compassionevole, dalla Bodhicitta.

Il modo per poter aiutare gli altri è quello di mostrare loro la visione corretta, inoltre ogni
insegnamento del Buddha è sempre iniziato con la spiegazione della natura interdipendente della
realtà che è ciò che dovremmo considerare come retta visione la quale ci conduce al Nirvana.
In questo caso per Nirvana si intende la liberazione dal Samsara, dalla confusione; non si deve
pensare al Samsara come ad un luogo o ad una realizzazione, ma esistono anche dei piccoli Nirvana
che sono da considerare come più pratici da ottenere perché l’unione di Amore e Compassione con
la natura interdipendente della realtà ci può condurre alla realizzazione di questi piccoli Nirvana che
sono degli stati di libertà dalla confusione e dall’ignoranza, ed il Sutra del Cuore è un contesto
molto utile per seguire questo tipo di pratiche.

La pratica del Dharma non si limita a venerare il Budha, ma ci avvicina alla realtà.
Le scritture dicono che ogni movimento del Buddha, sia fisico, mentale o verbale, non avviene se
non c’è un significato, ossia che non sia di beneficio agli esseri senzienti e questo perché qualsiasi
moto di parola, mente o corpo del Buddha, viene dall’Amore e dalla Compassione, perfino il suo
respirare porta beneficio agli esseri senzienti. Tutto questo non è possibile soltanto grazie alle
qualità del Buddha, ma si tratta di un magnifico esempio che anche noi possiamo seguire
camminando nel sentiero da lui tracciato.

Sta scritto che gli esseri mondani hanno paura al solo sentire il signore della morte, ed in modo
simile, il signore della morte ha timore al solo sentire pronunciare il nome del Buddha, e questo
perché il Buddha è il solo che può insegnare agli esseri mondani come poter sottomettere il signore
della morte.

Al Buddha vennero poste quattordici domande riguardanti quattordici argomenti, il primo dei quali
era se il mondo avesse una fine o meno, a cui il Buddha rispose semplicemente con il silenzio;
partendo da questo fatto ci si chiede come può esistere un Buddha che sia onnisciente? Il fatto che
non avesse risposto poteva significare apparentemente che non conosceva la risposta e quindi non
poteva essere onnisciente. In realtà il Buddha non rispose in quanto sapeva che c’erano cose che
poteva ed altre che non poteva fare, così come c’erano alcune cose di cui poter parlare ed altre di
cui non avrebbe potuto parlare, ma il fatto di non aver dato una risposta non vuol dire che non lo
sapesse. Questo perché il Buddha conosceva quello che era il livello mentale e le attitudini dei suoi
discepoli e dei suoi ascoltatori, e proprio per questo sapeva quando e che cosa doveva rispondere
per poter essere di perfetto aiuto agli altri ed ecco il motivo per cui quella volta il Buddha rimase
silente; il silenzio stesso può essere una risposta, si può rispondere tacendo e quella è la migliore
risposta.

A queste domande sui quattordici argomenti che riguardavano ad esempio se il mondo avesse una
fine o se esistesse l’”io”, il Buddha non diede risposta in quanto rispondere affermativamente o
negativamente sarebbe stata un’azione pericolosa e quindi non sarebbe stata di beneficio, ma
avrebbe potuto fare del male. Questo tacere del Buddha è quindi nato dalla Compassione.
Noi tendiamo, invece, a dare sempre una risposta anche quando non ne sappiamo abbastanza! Sono
stato invitato ad una trasmissione sul silenzio su Rai 3, ma a questo invito è seguito soltanto un
silenzio da parte loro, non se ne è fatto più niente (risata), e questo è un chiaro esempio di come sia
la natura interdipendente della realtà a produrre le cose e non noi: loro volevano fare una
trasmissione sul silenzio ed il silenzio si è prodotto! Parlare del silenzio pone il problema del modo
in base al quale parlarne, in quanto sembra abbastanza contraddittorio! (risata)
E’ la natura interdipendente della realtà che costituisce la retta visione la quale non siamo noi a
produrre, ma che già esiste e che dobbiamo soltanto comprendere.

Generalmente tutto ciò che è prodotto dai tre veleni (ossia rabbia, attaccamento ed ignoranza) sono
considerate cose negative, mentre ciò che viene prodotto dall’opposto dei tre veleni (ovverosia quel
che non è rabbia, attaccamento ed ignoranza) viene considerato positivo; si dice, però, che là dove
l’intenzione sia positiva, anche azioni compiute con la parola e con il corpo come mentire e rubare,
pur apparendo come negative, in realtà sono da considerarsi positive per la motivazione che hanno.
Quindi: è possibile che mentre la mente non ruba, la mano possa rubare? La mente non sta
compiendo nessuna azione negativa in quanto è pervasa dall’intenzione positiva: anche un’azione
che apparentemente può sembrare negativa in realtà non lo è. Ed ecco perché le azioni del
Bodhisattva che siano all’apparenza negative o positive, in realtà sono tutte virtuose proprio perché
l’attitudine e la motivazione mentale vengono prima di tutto.

Quindi è possibile che un’azione sia negativa e virtuosa al tempo stesso e questo è un bel tema per
farci un dibattito, ma può essere un argomento pericoloso perché può succedere che qualcuno pensi
che certe eccezioni possano essere lecite; ad esempio le guerre sante, con la Bodhicitta non si può
pensare di uccidere qualcuno, ed anche il più piccolo animale deve essere guardato con Amore e
Compassione.

Un esempio d’eccezione può essere quello di colui che sa che qualcuno vuole uccidere altre persone
e quindi per impedirgli di fare ciò lo uccide, ma questa eccezione deve essere comunque l’azione di
un Bodhisattva che sa quel che sta facendo.

Nell’ambito Buddista vengono riportate queste eccezioni le quali, in quanto tali, non appartengono
al nostro livello ordinario. Da un punto di vista morale, ossia dell’Amore, della Compassione e della
Bodhicitta, non possiamo far del male a nessun essere senza eccezioni, quindi è davvero difficile
trovare un’azione che sia al contempo negativa e virtuosa, perché per uccidere, ad esempio, ci deve
per forza essere un atteggiamento violento come, allo stesso modo, mentire o rubare comprendono
un atteggiamento negativo.

Quando si parla di un’azione non violenta questa richiede che in maniera assoluta non ci sia la
presenza di alcun male compiuto su nessun essere senziente, altrimenti persone come Bin Laden
vengono giudicate come esseri violenti e quindi uccisi, ma dal punto di vista della Bodhicitta anche
questi devono essere giudicati con Amore e Compassione perché c’è comunque qualche mezzo
pacifico per liberarli. Questo è il nostro principio etico ossia dettato dall’ Amore e dalla
Compassione e quindi non violento.

E’ possibile che nel Tibet, in passato, siano stati commessi tanti errori di valutazione su queste cose,
per cui capitava che un Lama dicesse di uccidere e la gente lo faceva; ed è quel che troviamo anche
nella nostra società, ad esempio le guerre sante dove i capi spirituali sono in realtà dei generali.
Nel governo tibetano in esilio il ministro della difesa è un monaco, ma se ci fosse un vero stato non
ci sarebbe un monaco a ricoprire questo incarico, comunque per la società tibetana questo è
possibile in quanto deriva dalla mentalità del passato poiché nell’antico Tibet si sono verificati casi
in cui dei monasteri hanno fatto guerre anche contro il governo stesso, tra questi anche il monastero
di Sera, ma d’altra parte si trattava di un governo molto debole e quindi una comunità forte come
quella dei monasteri dell’epoca, poteva tranquillamente permettersi di avere un atteggiamento
belligerante con la scusa della difesa del Dharma.

Dobbiamo quindi essere molto attenti a non fraintendere quello che è il nostro principio etico
dell’Amore e Compassione che è assolutamente non violento.

Domanda: Quale è il punto di visto Dharmico nei confronti di vittime che noi omettiamo di
proteggere? Se non faccio un’azione, buona e cattiva contemporaneamente, per proteggere una
potenziale vittima, non sono responsabile? Parlo di responsabilità morale, ossia se causo la morte di
altre persone perché ometto di fare un’azione cattiva, non sono responsabile?

Risposta: La tua responsabilità morale è semplicemente quella di non commettere un’azione
negativa, cioè qualsiasi azione che possa far del male a qualsiasi essere vivente per quanto piccolo
possa essere.

La gravità di una particolare situazione fa parte dei segreti della vita, i segreti del Samsara che sono
molto difficili da riconoscere. L’unica cosa che possiamo fare è proteggere la nostra mente, non
perdere mai la pazienza, l’Amore e la Compassione, il nostro rispetto totale nei confronti di
qualsiasi essere vivente, questo è il modo tramite il quale possiamo misurare la nostra attitudine.

Domanda: Rimango perplesso…come deve fare, ad esempio, un chirurgo di fronte ad un malato
che sta per morire, deve non intervenire secondo il Dharma?

Risposta: Questa non è violenza in quanto il chirurgo sta curando quella persona che è l’opposto di fare del male.

Domanda: Allora prendiamo un poliziotto…può uccidere un poliziotto per impedire un omicidio?

Risposta: Questo dipende dal karma negativo del poliziotto.

Domanda: Però, se fin dai tempi più antichi, nessuno avesse mai reagito ci troveremmo ancora con
i più forti che sottomettono i più deboli; se non c’è una difesa dei deboli, che a volte richiede un
metodo violento, alcuni popoli sarebbero scomparsi, le donne sarebbero delle serve…
Risposta: Questi sono concetti che nascono dall’idea che ci sia una permanenza delle cose.

Domanda: La legittima difesa è lecita?

Risposta: L’unica cosa che si deve difendere è ciò che nessuno ti può distruggere: la mente e quindi la Bodhicitta. La difesa è un qualcosa che viene sottolineato in occidente al punto che spesso sembra quasi una scusa, in fondo se non ci fosse stata questa tendenza a difendersi, il mondo sarebbe differente, non ci sarebbero confini o stati in quanto la difesa è un concetto di chiusura, mentre se ci fossero sempre. Amore e Compassione assoluti non ci sarebbe bisogno di difendersi.
E questo è proprio il Dharma, ossia un concetto straordinario che va oltre il modo di pensare
ordinario e che caratterizza le persone realizzate. Dovremmo provare questa visione straordinaria delle cose nella nostra vita ordinaria