Tuesday 3 October 2017

MANTRA nel BUDDHISMO TIBETANO



UNIVERSITA’ LA SAPIENZA - Roma
Facoltà di Medicina e Psicologia

MEDITAZIONE sui MANTRA nel BUDDHISMO TIBETANO
 26 settembre 2017
Geshe Lharampa Lama Gedun Tharchin  

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Benvenuti e buon pomeriggio a tutti.
Il tema di oggi è abbastanza complesso, sia per chi parla che per chi ascolta, ma vi è un segreto che rende ogni comunicazione sempre possibile ed è la capacità di andare al di là dell’espressione fisica delle parole e scendere ad un livello più profondo, intangib
ile, senza forma, questa è la comunicazione spirituale e avviene non solo tra persone, ma anche con l’ambiente in cui viviamo momento per momento.
La conferenza di oggi dunque non vuole essere una passaggio di notizie con parole o con l’espressività dei gesti, ma è una comunicazione profonda dell’anima che trasmette e riceve un valore nel cuore e nella mente, è il metodo usuale di ogni pratica spirituale, è meditazione, mantra, ed è senza interruzione, continua ininterrottamente qualsiasi attività svolgiamo, nella veglia e nel sonno e imprime un sigillo indelebile nel nostro essere.
Questo è il filo del famoso karma che è relazione inscindibile con noi stessi, con gli altri, con l’ambiente, con le emozioni, con la stessa vita, è la nostra comunicazione interiore, insita in noi da sempre, dobbiamo solo accoglierla e imparare a gestirla.
Il senso del mantra consiste nella protezione del nostro cuore-mente e con mente non intendiamo il cervello, ma la nostra essenza più autentica nelle relazioni, una specie di internet interiore.
Generalmente pensando alla mente noi intendiamo qualcosa di fisico, un cervello racchiuso nel corpo, nella testa, ma non è così, la nostra mente pervade tutto l’universo, è immediatamente e sempre collegata con il tutto, è il fenomeno più pieno e veloce.
Questo è il segreto della mente e il mantra è così potente poiché per raggiungere qualsiasi angolo dell’universo non necessita di un mezzo di trasporto, la mente stessa è il veicolo ed è una potenzialità che già possediamo, dobbiamo soltanto imparare a gestirla per svilupparla pienamente.
Io vi dico queste cose che corrispondono alla realtà umana, è un dato di fatto, ma non ho alcuna ricetta predefinita, non so indicarvi dettagliatamente come fare, è impossibile sapere, come è impossibile parlarne o apprendere dai libri o da google, semplicemente dobbiamo cercare meditando la mente in se stessi.
La pratica della meditazione non può essere la fotocopia di una ricerca su internet, è un andare completamente oltre, fuori da qualsiasi dimensione materiale, entrando in quella spirituale all’interno del proprio cit/mann (termine sanscrito che significa mente) che possiede tutte le potenzialità per raggiungere qualsiasi angolo dell’universo oltre il tempo e lo spazio.
Questa capacità non è prerogativa del buddhismo, appartiene a tutti e la ricerca di tale potenzialità, valore interiore, è il percorso di tutte le religioni, nessuna esclusa, sia monoteiste che non e anche al di fuori delle stesse poiché è patrimonio dell’umanità, insita in ogni essere.
Questo cammino dona una grande soddisfazione, non è necessario ricercare eventi eclatanti, miracolosi, illuminazione istantanea, visioni con il terzo occhio ecc…, nulla di così complicato, ciò che cerchiamo è semplicissimo, è la soddisfazione e tutti gli esseri umani hanno questo stesso desiderio, anelano a appagare la propria fame, non solo quella materiale, bensì quella della mente che tende a superare quell’insoddisfazione di fondo che comunque possiede in sé un fattore molto positivo, poiché solo volendo liberarsene ci addentriamo e alleniamo nella ricerca della soddisfazione in un percorso che deve essere compiuto correttamente, evitando ingorghi e rallentamenti inutili.
Questa è la base della filosofia che applica la meditazione al fine di ottenere una soddisfazione piena e duratura.
Nel linguaggio buddhista l’insoddisfazione è definita con la parola dukkha, ed è la sofferenza radicale. Il Buddha nella sua grande saggezza ha indicato il percorso per raggiungere la soddisfazione superando il dukkha tramite la bodhicitta, la compassione, caratteristiche della mente umana.
Secondo la visione del Mantrayāna, il veicolo del mantra, la pratica di meditazione, la soddisfazione sorge dalla protezione della mente, e come si protegge la mente? - recitando mantra come pappagalli pensando di conquistare magicamente l’illuminazione? - ovviamente no, la recitazione dei mantra ha un suo senso profondo e reale, anche se non è certamente facile da spiegare soprattutto in un tempo necessariamente limitato.


In Tibet ci sono molti mantra, ma il più popolare è quello del Buddha della compassione, Avalokiteśvara o Chenrezi in tibetano: “OM MA NI PADME HUM”. 
I buddhisti cinesi pensano di discendere tutti dal Buddha Amitābha mentre i tibetani dal Buddha Avalokiteśvara e per questo prediligono questo mantra, ma al di là della credenza popolare il suo significato è estremamente profondo perché vuole indicare un valore universale, è l’essenza della pratica del Dharma.
OM è formato da tre lettere - A U M - che rispettivamente rappresentano l’essenza di Mente Parola e Corpo, un suono particolarmente significativo non solo nel buddhismo, ma anche nell’induismo che lo descrive come la voce essenziale dell’universo ed è per questo che ogni mantra inizia  con OM.
Quando pronunciamo queste sillabe ovviamente non succede nulla, ma ciò che emerge è la potenzialità della trasformazione di mente, parola e corpo dallo stato ordinario allo stato straordinario.
Questo cambiamento è possibile e la meditazione è la via che realizza nella saggezza la realtà ultima, la vacuità di tutti i fenomeni.
La vacuità dei fenomeni si distingue in vacuità del sé e vacuità di tutto l’esistente, altro da sé, ma ciò di cui dobbiamo divenire consapevoli ad ogni istante è la non distinzione tra queste due tipologie, entrambe hanno lo stesso sapore, posseggono la stessa natura nella visione della saggezza che realizza la realtà ultima, la vacuità di tutti i fenomeni.
La vacuità del nostro corpo, parola e mente diventa Uno, una chiarezza che appare nella consapevolezza stimolata dal suono OM e richiama all’unione della vacuità del sé con quella di tutti i fenomeni.
Non è semplice né spiegare né comprendere questi concetti, e per maggior chiarezza mi soffermo sull’esemplificazione dell’oscurità di quest’epoca che nel buddhismo è definita kāliyuga, cioè il residuo dei tempi degenerati in cui tutto sprofonda nella crisi totale sociale, spirituale, economica, umana.
In tale situazione dobbiamo proteggere la nostra mente, è l’unica possibilità per non essere travolti da questo caos e lo strumento a nostra disposizione è la meditazione, il Dharma, la spiritualità, il valore interiore e, un po’ esagerando, dico che qui ci vuole una meditazione “atomica” così potente da trasformare lo stato ordinario della mente nello stato straordinario tramite la saggezza che realizza la vacuità. 
Il termine vacuità è molto complesso, in sanscrito Śūnyatā e indica da un lato lo zero, il nulla, che però dall’altro diventa dieci, mille, diecimila, milioni, uno spazio infinito, la intrinseca caratteristica della nostra esistenza liberata dalla chiusura mentale.
Se restiamo chiusi nella nostra condizione ordinaria viviamo perennemente terrorizzati da tutto, imprigionati nella piccineria di concetti ristretti che ci rendono schiavi di noi stessi, mentre abbiamo la possibilità e il dovere di liberarci dalla schiavitù di questa condizione ordinaria grazie alla saggezza che ci permette di fare uno sforzo per addentrarci consapevolmente nella ricerca della visione della vacuità del sé e dei fenomeni.
Questa capacità è già insita in noi, è la potenzialità della nostra autodifesa, la protezione non viene dall’esterno, ne siamo noi gli artefici poiché abbiamo tutti gli strumenti per applicarla. La mente è l’unica realtà in grado di proteggere la stessa mente, completamente, qualsiasi ostacolo si possa presentare.
In questa dimensione spirituale la mente-cuore è naturalmente aperta alla grande compassione che genera la Bodhicitta in cui fiorisce il puro altruismo al massimo livello. Questo evento naturale è semplice e possibile, anche se nella quotidianità diventa spesso pesantemente difficile, però sempre realizzabile, come possiamo constatare nelle nostre esperienze.


Questo è il senso di OM, la meditazione profonda da cui scaturisce MA NI, il gioiello che rappresenta la bodhicitta e che genere PADME, il fiore di loto che rappresenta la saggezza.
MA NI e PAD ME non sono fattori separati, bensì inscindibili, costituiscono un’unica realtà, l’unione di saggezza e bodhicitta che determina un cuore indistruttibile e inattaccabile qualsiasi sofferenza.
Alla fine c’è HUM che indica la trasformazione di mente-cuore, corpo, parola, mente tramite l’unione di saggezza e compassione che porta allo stato di libertà nell’infinito, nella natura ultima.
Tutti i mantra iniziano con OM, perché è il movimento di partenza, imprescindibile, da cui tutto deriva.
La trasformazione di cuore-mente è possibile soltanto nell’unione di compassione e saggezza che realizza la vacuità.
In questo mantra alla fine possiamo aggiungere un’altra sillaba HRI che rappresenta il cuore della mente di illuminazione, il centro della bodhicitta. Avendo compiuto il senso delle sei sillabe si giunge a questo HRI.
Approfondiamo ora come poter realizzare la vacuità, la saggezza e il percorso completo è espresso nella pratica di Dharma del Bodhisattva in cui non si danno ulteriori indicazioni se non l’attuazione di sei perfezioni, o pāramitā in sanscrito:
«GENEROSITÀ - ETICA o MORALITÀ - PAZIENZA - PERSEVERANZA ENTUSIASTICA  -  CONCENTRAZIONE  -  SAGGEZZA» 
La perfezione della saggezza è l’ultima in quanto è il frutto delle altre cinque.
Con la generosità si sviluppa una mente di non attaccamento; con la moralità una mente pulita, concretamente altruistica; con la pazienza una mente mossa da forza pacifica; con la perseveranza entusiastica una mente permeata dalla gioia della pratica; con la concentrazione una mente non distratta, meditativa che distrugge tutte le illusioni; infine giungiamo alla mente di saggezza che in questo contesto è la realizzazione della realtà ultima di tutti i fenomeni.
Questa è la via completa approfondita in un testo basilare nel buddhismo, il: “Bodhisattvacaryāvatāra” di Śāntideva, il quale afferma, al capitolo nono se non ricordo male, che l’insegnamento e l’approfondimento delle pāramitā è finalizzato alla realizzazione della saggezza, la principale pratica del Dharma.
In Tibet partendo da queste basi si sono date più interpretazioni che pongono in relazione questo mantra e le pāramitā, in una di queste si attribuirebbe alle sei sillabe il significato delle sei perfezioni: OM > generosità; MA > etica; NI > pazienza; PAD > perseveranza entusiastica;  ME > concentrazione;  HUM > saggezza; e infine HRI > l’unione e realizzazione di tutte sei.
Ciò che è importante è la consapevolezza che le sei pāramitā rappresentano il percorso completo della pratica del Dharma.
Ci sono domande? contributi?
Domanda: E’ incredibile la concentrazione di aspetti così essenziali in un unico mantra di sole sei sillabe e mi chiedo se quando lo si recita è indispensabile aver già maturato lo stato mentale giusto per risvegliare tutte le qualità?
Lama: Secondo la consueta credenza popolare la recitazione del mantra protegge da qualsiasi forma di paura, produce tranquillità, pace e felicità nella mente-cuore e così, come per le preghiere cristiane, questa è una credenza radicata in tutte le religioni, ma oltre la religione stessa l’attitudine spirituale produce realmente un cambiamento interiore. Un ex presidente indiano, Dottor Abdul Kalam, una persona umilissima e molto profonda, una volta disse che la spiritualità è il master, il post laurea che supera ogni religione.
La religione è un mezzo, ma solo nella spiritualità si realizza con consapevolezza la vacuità, la pratica del mantra è spirituale e questa coscienza si riflette in tutto il nostro essere, è la cura di mente e corpo. Conoscendo il nostro corpo quantistico noi abbiamo nelle mani ogni terapia, possiamo sciogliere qualsiasi nodo, conosciamo la sua vacuità, mentre al contrario l’inconsapevole, ma fortemente pesante, attaccamento al corpo grossolano impedisce la visione del corpo sottile, ultimo, reale.
L’incontro tra scienza e religione è fondamentale e oggi finalmente si è trovata la sintonia tra i due aspetti, entrambi si completano e aiutano a progredire e il loro beneficio tangibile è qui e ora.
Domanda: Se ho ben compreso, le sei pāramitā sono dunque un percorso che ci porta a conoscere gli aspetti più caratterizzanti del nostro ego, a livello teorico mi è chiaro, ma pensare che in me alla fine non ci sia altro che spazio mi fa un po’ paura.
Lama: Questa è proprio la paura dell’ignoto, di ciò che non si è mai visto prima, del nuovo, è un’attitudine istintiva, consueta, ma superabile con adeguato allenamento, è soltanto necessario procedere con prudenza, conoscenza e concentrazione, così come ha insegnato Platone. È un cammino che necessita di tempo, non è un obiettivo raggiungibile magicamente in un istante.
Domanda: La volta scorsa hai raccontato che anche tua mamma, come tanti tibetani, recita mantra in continuazione, da tutta la vita, senza conoscerne affatto il significato, ma godendo pienamente dei grandi benefici che questa pratica comporta, però mi chiedo: è possibile ottenere un beneficio superiore recitando questo mantra come punto di arrivo, dopo aver conosciuto e praticato tutte le sādhane e concluso le pratiche preliminari così da poter giungere alla dissoluzione di corpo, parola, mente e ambiente risorgendo come Avalokiteśvara, cioè dissolvere il vecchio sé per ottenere una reale trasformazione, è realizzabile questo dopo aver compiuto tutto il percorso?
Lama: Ognuno raccoglie ciò che ha seminato, ogni pratica deve essere fonte di gioia, soddisfazione che è il risultato dell’accumulazione di meriti, una pratica delle sei pāramitā che non è certamente facile o superficiale e che richiede invece molta determinazione, costanza e coraggio.
Domanda: Il termine sādhana esattamente cosa significa?
Lama: Sādhana indica il metodo, il processo di realizzazione della realtà straordinaria, la realtà del Buddha, dell’illuminazione, della liberazione dalla sofferenza, è il mezzo con cui giungere alla trasformazione dello stato ordinario in quello straordinario.  Sādhana è OM e basta, una pura energia senza inizio e senza fine, è l’essenza stessa della natura, è la spiritualità dell’umanità, uguale per tutti.
Domanda: Prima hai detto che si raggiunge la consapevolezza grazie all’accumulazione dei propri meriti, però spesso riusciamo ad ottenere una maggior consapevolezza grazie ai meriti di altri, ad esempio un amore totalmente gratuito.
Lama: Questa è l’interdipendenza esistente tra tutti i fenomeni, non vi è distacco tra chi dona e chi riceve, entrambi maturano lo stesso merito, chi riceve quello di ricevere e chi dona quello di donare, è la bellezza della pratica del Dharma, non c’è aspettativa da parte di nessuno, tutto splende nella reciproca gratuità.
Domanda: Io ho sempre usato il mantra come un’ancora che mi tiene fermo nella pratica, può avere senso questo? E poi da quanto abbiamo detto oggi deduco che basterebbe la recitazione dell’OM senza necessariamente procedere con le altre sillabe, ho capito bene?
Lama: Recitare il mantra, meditare, pregare, fare prosternazioni, offerte, sono tutte forme con cui applicare le sei pāramitā, ma il loro senso è dato unicamente dalla motivazione, elemento fondamentale poiché è la radice della trasformazione dell’azione. La motivazione deve essere alla base di qualsiasi azione e ne imprime il significato profondo. Sicuramente OM è la chiave del mantra, ne realizza l’accezione che conduce alla realizzazione di qualsiasi obiettivo, è la porta di ingresso.

Siamo giunti al termine di questo incontro e voglio ringraziare per questa opportunità di approfondimento gli organizzatori e gli uditori, è stato bello per me poter essere qui con voi, grazie.

Professore: Ringraziamo noi il generosissimo Geshe per questo importante seminario e per i preziosi spunti di riflessione che ci ha offerto.